Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20282 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20282 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 20/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12888/2022 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME (domicilio digitale: EMAIL;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , e RAGIONE_SOCIALE (ADER), in persona del Presidente pro tempore , entrambe domiciliate in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale sono rappresentate e difese ope legis ;
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELL’ABRUZZO, SEZIONE STACCATA DI PESCARA, n. 760/2021depositata il 9 novembre 2021;
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 5 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto del 30 aprile 2008 la RAGIONE_SOCIALE diveniva cessionaria di un ramo d’azienda della NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE Di Battista RAGIONE_SOCIALE, poi ridenominata RAGIONE_SOCIALE
Successivamente l’Agenzia delle Entrate – Riscossione (ADER), per conto della Direzione Provinciale di Chieti dell’Agenzia delle Entrate, notificava alla società cessionaria, sul presupposto della sua responsabilità solidale ex art. 14 del D. Lgs. n. 472 del 1997, una cartella di pagamento delle imposte dirette e delle sanzioni dovute dalla cedente per gli anni 2004 e 2005.
La RAGIONE_SOCIALE impugnava tale cartella dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Chieti, la quale, pronunciando nel contraddittorio dell’ente impositore e dell’agente della riscossione, accoglieva il ricorso e annullava l’atto esattivo.
La decisione veniva, però, successivamente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, che, con sentenza n. 760/2021 del 9 novembre 2021, in accoglimento dell’appello erariale, rigettava l’originario ricorso della contribuente.
A sostegno della pronuncia adottata il collegio regionale osservava che:
-l’irrogazione delle sanzioni e l’accertamento ( ‘contestazione’ ) delle imposte oggetto di causa avevano avuto luogo nell’anno 2008, nel corso del quale era avvenuta la cessione del ramo d’azienda;
risultava, pertanto, osservato, nel caso di specie, il disposto dell’art. 14, comma 1, del D. Lgs. n. 472 del 1997;
-l’Amministrazione Finanziaria non era decaduta dal diritto di procedere alla riscossione nei confronti della cessionaria, in quanto l’esercizio di tale diritto era soggetto unicamente all’ordinario termine decennale di prescrizione, fondandosi la pretesa tributaria su titoli costituiti da sentenze passate in giudicato.
Contro questa sentenza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Entrate Riscossione (ADER) hanno resistito con unico controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c. .
La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è denunciata la violazione dell’art. 14 del D. Lgs. n. 472 del 1997.
1.1 Si sostiene che la CTR avrebbe offerto un’erronea interpretazione della normativa applicabile alla fattispecie di causa, non avendo essa considerato che: (a) ai sensi del comma 2 del menzionato art. 14 del D. Lgs. n. 472 del 1997, l’obbligazione del cessionario di azienda è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’Amministrazione Finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza; (b) alla data del 30 aprile 2008, in cui era avvenuta la stipula dell’atto con cui la NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE aveva ceduto un ramo della sua azienda alla RAGIONE_SOCIALE non ancora era stato elevato a carico della cedente il processo verbale di constatazione delle violazioni, né erano stati emanati nei confronti della stessa gli avvisi di accertamento posti a base della cartella esattoriale successivamente notificata alla cessionaria; invero, il p.v.c. era stato redatto e consegnato il 17 maggio 2008, mentre gli avvisi di accertamento erano stati notificati il 9 agosto 2008.
Con il secondo motivo, anch’esso proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono prospettate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 25 del D.P.R. n. 602 del 1973.
2.1 Si censura l’impugnata sentenza per aver a torto negato che l’Amministrazione Finanziaria fosse decaduta dal diritto di procedere alla riscossione nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
Nell’ordine logico -giuridico si appalesa prioritario lo scrutinio del secondo motivo, il quale pone una questione di carattere potenzialmente assorbente.
3.1 Esso è privo di fondamento.
3.2 La CTR ha acclarato che la pretesa creditoria azionata dall’Amministrazione Finanziaria nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, nella sua veste di coobbligata solidale della NOME COGNOME & Di Battista RAGIONE_SOCIALE, poi RAGIONE_SOCIALE, trovava fondamento in due sentenze passate in giudicato con le quali erano state «in toto» respinte le impugnazioni da quest’ultima proposte contro altrettanti avvisi di accertamento emessi a suo carico in relazione agli anni 2004 e 2005.
3.3 Muovendo da questa premessa, il collegio regionale (pag. 3 della sentenza) ha rilevato che «la riscossione di un credito tributario fondato su una sentenza passata in giudicato non soggiace più ai termini di decadenza per l’esecuzione degli atti amministrativi, ma al termine di prescrizione decennale di cui all’art. 2953 c.c., atteso che il titolo della pretesa tributaria cessa di essere l’atto e diventa la sentenza che, pronunciando sul rapporto, ne ha valutato la legittimità» .
3.4 Il principio appena richiamato ed affermato dalla CTR si conforma al costante insegnamento nomofilattico di questa Corte, alla stregua del quale: «Il diritto alla riscossione di un’imposta, azionato mediante emissione di cartella di pagamento e fondato su un accertamento divenuto definitivo a sèguito di sentenza passata in giudicato, non è assoggettato ai termini di decadenza di cui all’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, nel testo vigente ratione temporis, né al termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 20 del d. lgs. n. 472 del 1997, operando invece il termine di prescrizione decennale previsto dall’art. 2953 c.c. per l’actio iudicati, anche ove la definitività della pretesa erariale consegua alla declaratoria di inammissibilità dell’originario ricorso del
contribuente» (cfr. Cass. n. 25222/2024; id. , ex ceteris , Cass. n. 30718/2022, Cass. n. 8105/2019, Cass. n. 28576/2017).
3.5 Orbene, poiché il passaggio in giudicato delle sentenze pronunciate nei confronti della cedente NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE risale all’anno 2013, come accertato in fatto dalla CTR, nessun dubbio può sussistere circa la tempestività della notifica della cartella di pagamento oggetto della presente controversia, essendo questa avvenuta in data 8 maggio 2018 (pag. 5 del ricorso per cassazione).
3.6 Non sussiste, pertanto, il dedotto «error in iudicando» .
Anche il primo motivo è infondato.
4.1 Per consolidata giurisprudenza di legittimità, le disposizioni contenute nell’art. 14 del D. Lgs. n. 472 del 1997 introducono misure antielusive a tutela dei crediti tributari, di natura speciale rispetto all’ordinaria disciplina dettata dall’art. 2560, comma 2, c.c., le quali mirano ad evitare che attraverso la cessione dell’azienda o di un ramo di essa, o anche mediante il trasferimento frazionato di singoli beni appartenenti al complesso aziendale, la garanzia generica assicurata dal patrimonio del debitore ai sensi dell’art. 2740 c.c. possa andare dispersa in pregiudizio dell’interesse pubblico alla riscossione delle entrate finanziarie.
4.2 Tali misure, giustificate dalla particolare rilevanza che assume il complesso dei beni destinati all’esercizio di un’attività economica organizzata, si risolvono nella previsione di una responsabilità solidale del cessionario per i debiti tributari gravanti sul cedente, diversamente modulata in correlazione al legittimo affidamento ingenerato nel cessionario medesimo dalle informazioni fornitegli dall’Amministrazione Finanziaria.
4.3 In particolare, l’articolo in commento distingue nettamente l’ipotesi della cessione d’azienda conforme a legge (commi 1, 2 e 3) dal negozio di cessione d’azienda in frode al Fisco (commi 4 e 5).
Nel primo caso, la responsabilità del cessionario viene confermata come sussidiaria, perché assistita dal «beneficium excussionis» , ed è limitata:
nel «quantum» , al valore della cessione dell’azienda o del ramo di azienda;
-nell’oggetto: (a) alle imposte e sanzioni relative a violazioni commesse dal cedente nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti o anche in epoca anteriore, purché ‘già irrogate e contestate’ nel detto triennio; (b) al ‘debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi’, secondo un criterio incentivante volto a premiare la diligenza del cessionario nell’acquisire dagli uffici finanziari, prima della conclusione del negozio traslativo, informazioni sulla posizione debitoria del cedente nei confronti del Fisco.
Nel secondo caso è, invece, espressamente esclusa ogni limitazione di responsabilità del cessionario e trova ingresso la presunzione legale «iuris tantum» di cessione in frode ‘quando il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante’ (cfr. Cass. n. 15948/2024, Cass. n. 10377/2022, Cass. n. 21161/2021, Cass. n. 29722/2020).
4.4 È stato, inoltre, precisato che il comma 1 dell’art. 14, distinguendo fra violazioni ‘commesse’, provvedimenti di ‘irrogazione’ e atti di ‘contestazione’ -termine, quest’ultimo, proprio del procedimento sanzionatorio ( arg. ex art. 16, comma 2, del D. Lgs. n. 472 del 1997), ma che viene qui utilizzato nella sua accezione lata di rilievo o ripresa fiscale, sì da doversi intendere riferito anche all’accertamento delle ‘imposte’ -, mira a fondare una responsabilità oggettiva (per così dire ‘in bianco’) del soggetto cessionario per tutti i debiti fiscali del cedente relativi al periodo considerato dalla norma, anche se al momento della cessione ancora incerti nell’ «an» .
4.5 Tale responsabilità è ancorata alla condotta omissiva del cessionario, sul quale viene fatto ricadere il rischio di rispondere per l’eventuale maggior debito, anche se occultato dal cedente o non ancora accertato dall’Amministrazione al tempo della cessione, ove non si sia premurato di richiedere agli uffici finanziari il rilascio di un’attestazione relativa all’esposizione debitoria del cedente medesimo nel triennio in parola.
4.6 La disposizione in esame viene, infatti, a regolare un’ipotesi autonoma rispetto a quella contemplata dal successivo comma 2, le cui modalità applicative sono disciplinate dal comma 3.
4.7 Invero, il predetto comma 2, riferendosi al ‘debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria’, intende limitare ulteriormente la responsabilità del cessionario che abbia comunicato l’operazione di cessione d’azienda agli uffici finanziari e ottenuto il rilascio del certificato negativo previsto dal comma 3.
4.8 In tal caso, quand’anche nel triennio considerato dal comma 1 fossero state commesse dal cedente violazioni finanziarie non ancora emerse all’atto del trasferimento dell’azienda, il cessionario non potrebbe comunque essere chiamato a rispondere per debiti d’imposta o per sanzioni inerenti a fatti accertati solo successivamente alla cessione.
4.9 Quanto al contenuto del certificato della situazione debitoria del cedente, il comma 3 fa espresso riferimento all”esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti’, operando un inequivoco rinvio alle nozioni di ‘definitività dell’accertamento’ d’imposta e di ‘contestazione in corso’, quest’ultima comprensiva sia dell’accertamento impositivo privo dei caratteri della definitività (ad es., perché ritualmente opposto in giudizio) sia dell’atto di ‘constatazione’ dell’infrazione o del presupposto impositivo.
4.10 Avuto riguardo, quindi, al tenore delle attestazioni che gli uffici sono obbligati a fornire, e sulle quali viene a fondarsi il legittimo affidamento del cessionario in ordine ai limiti della propria responsabilità solidale per i debiti fiscali del cedente, nonché all’effetto liberatorio ricondotto dallo stesso comma 3 al certificato negativo (o alla sua mancata emissione entro quaranta giorni dalla richiesta), appare del tutto illogico ipotizzare una commistione fra le disposizioni dei primi tre commi, per effetto della quale troverebbe sempre e comunque applicazione la limitazione stabilita dal comma 2, anche nell’ipotesi in cui il cessionario non abbia inteso verificare previamente presso gli uffici finanziari la posizione debitoria del cedente.
4.11 Aderendo a tale soluzione interpretativa, verrebbe ad essere di fatto privata di qualsiasi significato precettivo la norma di cui al comma 1, la quale ha invece inteso estendere la responsabilità solidale del cessionario a qualsiasi debito per imposte e sanzioni relativo a ‘violazioni commesse’ dal cedente nel triennio ivi previsto, anche se al tempo della cessione d’azienda non ancora constatate, contestate od accertate (cd. debiti «in itinere» : cfr. Cass. n. 5979/2014, Cass. n. 18117/2021, Cass. n. 9085/2023, Cass. n. 15948/2024).
4.12 Alla stregua dei surriferiti princìpi di diritto, non risultando che la RAGIONE_SOCIALE avesse chiesto al competente Ufficio dell’Agenzia delle Entrate il rilascio di un certificato attestante la posizione debitoria della NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE alla data di stipula dell’atto di cessione di ramo d’azienda, correttamente è stata affermata la sua responsabilità solidale per le imposte accertate e le sanzioni irrogate a carico della cedente con atti notificati nell’anno in cui detta cessione era avvenuta.
Per tutto quanto precede, il ricorso deve essere respinto.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
6.1 Poiché le controricorrenti sono state entrambe rappresentate e difese dall’Avvocatura Generale dello Stato e hanno avuto la stessa posizione processuale, va liquidato in loro favore un compenso unico aumentato nella misura del 30 per cento, giusta il disposto dell’art. 4, comma 2, del D.M. n. 55 del 2014.
Stante l’esito dell’impugnazione, viene resa nei confronti della ricorrente l’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 5.800,00 euro per compensi, oltre ad eventuali oneri prenotati a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposta impugnazione, a norma del comma 1bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione