Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6254 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 6254 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 08/03/2024
veniva disposto il rinvio della causa per consentirne la trattazione congiunta con il ricorso n. 29392/2020 di ruolo generale, proposto
da RAGIONE_SOCIALE ed avente ad oggetto il medesimo avviso di accertamento.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso l’istante ha dedotto, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ. la «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 della l. 212/2000 e dell’art. 52, comma 2 bis del d.p.r. 131/1986 -carenza di motivazione dell’avviso di rettifica e liquidazione dell’imposta di registro e conseguente illegittima estensione del perimetro decisorio in violazione dell’art. 112 c.p.c. a causa della mutatio libelli operata dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE entrate in corso di causa » (v. pagina n. 28 del ricorso).
La censura, dopo aver riportato per intero i contenuti dell’avviso impugnato, ha sviluppato le ragioni per le quali- diversamente da quanto ritenuto dal Giudice regionale -esso doveva considerarsi ab origine nullo per difetto di motivazione, siccome privo di elementi rappresentativi della pretesa e caratterizzato da motivazioni opposte, avendo l’Ufficio ritenuto, « nell’arco di poche righe, di rideterminare il prezzo di cessione del ramo di azienda di cui in narrativa aumentandolo del valore del debito COGNOME–RAGIONE_SOCIALE in quanto (i) stralciato, ovvero (ii) estinto ovvero ancora (iii) accollato, come se le tre fattispecie fossero tra loro fungibili», senza peraltro contenere « affatto la parola ‘inerenza’ NÉ alcun riferimento ad essa » (v. pagina n. 32 del ricorso).
Sotto altro, ma connesso profilo, l’istante ha posto in evidenza l’illegittima integrazione della motivazione operata dall’Ufficio nel corso del giudizio di primo grado, aggiustando il tiro della contestazione, nel senso che solo nelle controdeduzioni « RAGIONE_SOCIALE VOLTA ha disconosciuto la natura del debito, ritenendo che non si tratterebbe di ‘un vero e proprio debito, ma, di una posta di bilancio provvisoria, in quanto da riversare al soggetto acquirente’ e sempre RAGIONE_SOCIALE VOLTA ha parlato di non inerenza del debito, mentre tale contestazione non è rintracciabile nell’Avviso di rettifica e liquidazione, il quale si ribadisce -fa
riferimento in modo confuso ora all”estinzione di obbligazione’ ora all”accollo di debito» (v. pagina n. 34 del ricorso).
Ancora, l’istante ha dedotto che erroneamente il Giudice regionale aveva ritenuto che l’RAGIONE_SOCIALE avesse solo precisato la pretesa, assumendo -di contro -che soltanto in corso di causa è stata introdotta l’inerenza quale elemento costitutivo dell’imposizione, così integrando la motivazione dell’atto con un fatto radicalmente diverso da quello posto a fondamento dell’avviso, basato, invece, esclusivamente sulla riqualificazione RAGIONE_SOCIALE passività aziendali come accollo e istituti similari.
Infine, la difesa della contribuente ha reputato prive di pregio le successive affermazioni dei Giudici del gravame circa la non inerenza del predetto debito e la qualificazione dello stesso.
Con la seconda doglianza, la ricorrente ha lamentato, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ. la «nullità della sentenza e/o del procedimento per vizio di extrapetizione ex art. 112 c.p.c. per illegittima estensione del perimetro decisorio a causa della mutatio libelli operata dall’RAGIONE_SOCIALE in corso di causa » (v. pagine nn. 27 e 42 del ricorso).
La difesa della società, riprendendo le ragioni sopra illustrate circa l’introduzione da parte dell’Ufficio nel corso del giudizio del nuovo tema di indagine circa la non inerenza del citato debito ceduto, ha contestato la legittimità dell’integrazione della motivazione dell’avviso, volta a giustificarlo sulla base di un fatto radicalmente diverso (per petitum e causa petendi ) da quella posta a base dell’atto impugnato, considerando erronea la valutazione del Giudice regionale nella parte in cui aveva reputato sussistere solo una specificazione dell’originaria domanda e prive di pregio le argomentazioni con cui aveva considerato la non inerenza del menzionato debito e qualificato lo stesso come una sorta di contropartita dell’attività di depurazione svolta da RAGIONE_SOCIALE nei confronti degli utenti.
Con la terza censura, la contribuente ha denunciato, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ. la «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 43, comma 2, del d.p.r. 131/1986 error in iudicando -errata qualificazione giuridica del ‘debito’ oggetto di ripresa ai fini dell’imposta » (v. pagine n. 27 e 50 del ricorso).
Il motivo ha posto in rilievo che l’importo di 9.509.447,74 € contabilizzato come posta passiva verso RAGIONE_SOCIALE non era un debito, ma una posta di bilancio provvisoria, originata dal fatto che NOME, riscuotendo, prima della cessione, per conto di RAGIONE_SOCIALE, le somme dovute dagli utenti per l’attività di depurazione RAGIONE_SOCIALE acque svolta da tale ultima società a loro favore, operava, in assenza di un rapporto contrattuale, come una «sorta di intermediario della riscossione » (v. pagina n. 51 del ricorso) , restando poi tenuta a riversare tali importi alla RAGIONE_SOCIALE.
In tali termini, detta posta doveva considerarsi neutrale ai fini della determinazione del prezzo della cessione e la contribuente ha, quindi, eccepito la violazione dell’art. 43, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (secondo cui «I debiti o gli altri oneri accollati e le obbligazioni estinte per effetto dell’atto concorrono a formare la base imponibile»), assumendo, sulla base della dedotta insussistenza del debito, che non poteva individuarsi né un accollo (per mancanza di oggetto e perché esso prevede la presenza di tre soggetti ) e tantomeno un’ipotesi di estinzione dell’obbligazione.
Con la quarta ragione di impugnazione la società ha contestato, in relazione all’art. 360, primo comma 1, num. 3, cod. proc. civ. la «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2560, comma 2, cod. civ. e degli artt. 43, comma 2, e 51, comma 4, del d.p.r. 131/1986 » (v. pagine n. 27/55 del ricorso).
Il ragionamento sviluppato sul punto muove dalla premessa che il Giudice regionale aveva ritenuto il debito verso RAGIONE_SOCIALE non inerente al ramo di azienda ceduto perché connesso all’attività di depurazione svolto da tale ultima società, per cui, non potendo, ai
sensi dell’art. 2560 cod. civ., il cessionario rispondere di tali passività, la considerazione di tale posta nell’atto di cessione aveva indotto a considerare che RAGIONE_SOCIALE si fosse accollata tale debito, con la conseguenza che esso ha finito con il concorrere nella determinazione della base imponibile ai fini dell’imposta di registro.
4.1. La ricorrente ha reputato tale valutazione contraria alle citate disposizioni, osservando, in primo luogo, che, a tutto voler concedere, soltanto una parte del predetto debito non sarebbe stato inerente (considerando che il debito verso RAGIONE_SOCIALE non era costituito esclusivamente dalla tariffazione e riscossione RAGIONE_SOCIALE quote relative al servizio di depurazione dell’acqua svolto da tale società, ma anche da obbligazioni derivanti da attività proprie di NOME, come la tariffazione e la riscossione RAGIONE_SOCIALE quote relative al servizio di erogazione dell’acqua e di fognatura, gli incrementi tariffari di acquedotto e fognatura e le quote di investimenti in opere per l’erogazione dell’acqua), lamentando, quindi, sul punto che l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non si fosse « preoccupata di esaminare la composizione del debito in questione e, caso mai, emarginare la parte ritenuta non inerente » (v. pagina n. 57 del ricorso).
4.2. In seconda battuta, l’istante ha ritenuto sussistere la violazione RAGIONE_SOCIALE citate disposizioni, evidenziando la loro diversità e ponendo soprattutto in rilievo che, in base all’art. 51, comma 4, d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, le passività aziendali sono di norma assunte dal cessionario, salvo il caso in cui l’alienante si sia espressamente impegnato ad estinguerle, come precisato dalla pronuncia del 16 gennaio 2019, n. 888 di questa Corte, aggiungendo sul punto che « il concetto di inerenza deve essere riferito a come i debiti si relazionano all’oggetto dell’impresa » (v. pagina n. 58 del ricorso) e segnalando che la passività in questione, di origine composita e storica ed insita nella natura dei rapporti tra le due società (una RAGIONE_SOCIALE quali ha poi con la cessione unificato il servizio di acquedotto e fognatura), era da considerarsi funzionalmente collegata al ramo di azienda.
Tutto ciò, per ribadire che né contabilmente, né giuridicamente, la fattispecie in esame potrebbe ricondursi ad un accollo del debito ex art. 1273 cod. civ. o ad una estinzione del debito per remissione ex art. 1236 cod. civ. o ancora per confusione ex art. 1253 cod. civ., «poiché le parti non hanno voluto trasferire i singoli beni o rapporti giuridici, né hanno inteso escludere con specifica pattuizione i ‘debiti verso RAGIONE_SOCIALE‘, né hanno in qualche misura ‘rinunciato a’ o ‘compensato’ eventuali poste creditorie e debitorie » (v. pagina n. 60 del ricorso) .
4.3. Ancora, l’istante ha ravvisato la violazione dell’art. 51, comma 4, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, nella parte in cui la Commissione regionale ha affermato che detta disposizione non esclude una verifica sull’inerenza RAGIONE_SOCIALE passività risultanti dalla documentazione contabile rispetto all’attività svolta dall’azienda trasferita, facendo osservare sul punto che « Nel caso di trasferimento di ramo aziendale, come evincibile dalla lettura del ‘Contratto di Cessione’ in questione, è l’intero ramo aziendale come un unicum e nella sua universalità di beni e rapporti giuridici, a passare al cessionario, tra cui per espressa previsione contenuta nell’art. 4.1, lett. d), anche il debito verso RAGIONE_SOCIALE » (v. pagina n. 60 del ricorso).
In tale direzione -ha continuato la difesa della società – non può configurarsi un accollo, ricorrendo semmai una « modificazione del lato passivo dell’obbligazione NOME –RAGIONE_SOCIALE per effetto della successione inter vivos che ha avuto luogo con la stipula del contratto di cessione di ramo d’azienda che ha comportato il subentro del cessionario (RAGIONE_SOCIALE), ai sensi degli artt. 2558 e 2559 cod. civ., in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi del ramo ceduto COGNOME» (v. pagine nn. 60 e 61 del ricorso), rimarcando che «I ‘debiti verso RAGIONE_SOCIALE‘ non sono un’obbligazione assunta personalmente tramite convenzione o accordo, ma il debito faceva parte del ramo trasferito a RAGIONE_SOCIALE per consentirle proprio il funzionamento come sistema integrato (SII), quindi sarebbe piuttosto da equipararsi a un onere ‘reale’, il quale segue
necessariamente la cosa trasferita, nel caso di lite il ramo, alla stessa stregua di una servitù, conseguentemente in tali circostanze l’Imposta di Registro, che colpisce soltanto le obbligazioni ‘personali’, non può colpire gli oneri ‘reali’ » (v. pagina n. 61 del ricorso).
Sul punto, la ricorrente ha concluso citando la pronuncia di questa Corte (Cass., Sez. T, 16 gennaio 2019, n. 888), assumendo che:
-« le disposizioni relative alla cessione di azienda contenute nel testo unico dell’imposta di registro, nell’attribuire espressamente, ai fini della valorizzazione dell’azienda, una rilevanza alle passività aziendali trasferite all’acquirente, a prescindere dalla necessità o meno di una specifica pattuizione contrattuale definibile nei termini di un accollo (interno), depongono nel senso di una considerazione unitaria della cessione dell’azienda, la cui consistenza – ai fini della individuazione della ricchezza trasferita – comprende beni e rapporti giuridici, attivi e passivi»;
-« i debiti aziendali trasferiti nell’ambito della vicenda circolatoria dell’azienda concorrono, dunque, a determinare, se inerenti, in negativo il valore dell’oggetto della cessione, SENZA che possa trovare applicazione rispetto ad essi il principio di cui all’art. 43, comma 2, D.P.R. n. 131 del 1986.
Ne deriva che, ai sensi dell’art. 51, comma 1, D.P.R. n. 131 del 1986, l’imposta di registro deve essere applicata alla cessione di azienda sulla base del valore dichiarato in atto o (in mancanza o se superiore) del corrispettivo pattuito, che ben le parti possono parametrare al valore netto dell’azienda, senza che ad esso si debbano aggiungere le passività aziendali trasferite (non trovando applicazione -come precisato -l’art. 43, comma 2)» (v. pagine nn. 62 e 63 del ricorso).
L’istante ha, infine, richiamato anche la previsione dell’art. 21, comma 3, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (secondo cui «Non sono
soggetti ad imposta gli accolli di debiti e oneri collegati e contestuali ad altre disposizioni nonché le quietanze rilasciate nello stesso atto che contiene le disposizioni cui i riferiscono») per evidenziarne la sua applicazione, in luogo della previsione dell’art. 43, comma 2, d.P.R. citato, tenuto conto della unitarietà del concetto di azienda, come unicum e nella sua universalità di beni e rapporti giuridici.
Con il quinto motivo di impugnazione RAGIONE_SOCIALE s’è doluta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ. della «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. -illegittima inversione dell’onere probatorio » (v. pagina n. 64 del ricorso).
A tal proposito, la società ha messo in evidenza che l’avviso non conteneva alcuna contestazione circa la non inerenza del debito, ma la sua esistenza, in quanto, a vario titolo, «’stralciato’ o ‘ accollato ‘ o ‘ estinto ‘ » (v. pagina n. 65 del ricorso), per cui sarebbe spettato all’Ufficio fornire prova di tali circostanze, non essendo sufficiente il prospetto F allegato alla cessione, che contiene un semplice elenco dei beni trasferibili con il ramo di azienda, evidenziando, a tal proposito, che diversamente da quanto opinato dalla Commissione, l’onere di dimostrare la non inerenza della passività trasferita competeva all’amministrazione, come chiarito dalla pronuncia di questa Corte n. 10218 del 18 maggio 2016.
Con il sesto motivo di ricorso, l’istante ha eccepito, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. la « nullità della sentenza e/o del procedimento per vizio di extrapetizione ex art. 112 c.p.c. sulla domanda relativa all’ultronea applicazione da parte dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE entrate dell’art. 20 del d.p.r. 131/1986 » (v. pagine nn. 66 e 67 del ricorso).
La contribuente, a tal proposito, ha ribadito la menzionata natura composita dell’asserito debito di 9.509.447,74 € verso RAGIONE_SOCIALE, precisando di aver riproposto in sede di appello la dedotta violazione dell’art. 20 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 come da interpretarsi per effetto della successiva, ma retroattiva, modifica
attuata al citato art. 20 dalla legge del 27 dicembre 2017 n. 205, art. 1, comma 87, di interpretazione autentica – nella parte in cui «l’Ufficio non si era limitato a interpretare il contratto ai sensi dell’art. 20 del TUR, ossia quale ‘Contratto di cessione del ramo’ qual era (sia per nomen iuris che per volontà di legge e conseguentemente RAGIONE_SOCIALE parti), ma aveva desunto elementi aliunde (per l’esattezza dal prospetto di ripartizione dei debiti, allegato al contratto sotto la lettera F) e dunque illegittimamente in base ad elementi extratestuali, per di più sulla scorta di una loro distorta interpretazione, avendo « attribuito effetti differenti, riconducibili ad un’ipotetica diversa volontà di estinzione del debito, che sarebbe stata preordinata ad ottenere un indebito vantaggio economico e/o fiscale » (v. pagina n. 68 del ricorso).
L’istante ha lamentato, nello specifico, «La discrasia tra il chiesto e il pronunciato, atteso che la domanda della Società appellante mirava a ottenere un esame sulla corretta applicazione dell’art. 20 del TUR nei termini sopra esposti, mentre la pronuncia della CTR ha riguardato la diversa questione della sussistenza dei requisiti minimi motivazionali dell’atto impositivo » (v. pagina n. 70 del ricorso).
Con il settimo ed ultimo motivo, la ricorrente ha dedotto, sempre in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la « nullità della sentenza e/o del procedimento per motivazione ‘apparente’ in violazione dell’art. 112 c.p.c. con riferimento alla domanda sulla carenza motivazionale dell’avviso di rettifica e liquidazione dell’imposta di registro derivante dalla mancata indicazione della metodologia adottata per rettificare il valore del ramo d’azienda ceduto » (v. pagina n. 71 del ricorso).
In particolare, la contribuente ha bollato la motivazione della Commissione regionale come meramente apparente, articolata con formule di mero stile, non avendo un contenuto circostanziato e riferito alla fattispecie sottoposta al giudizio, in cui la rettifica operata dall’Ufficio aveva determinato il disconoscimento del prezzo di cessione pattuito sulla base di una semplice operazione
matematica, con cui ha ritenuto semplicemente di addizionare le passività anziché di sottrarle, sulla scorta di confuse e opposte argomentazioni (quali, l”estinzione di debito’ e/o l”accollo di debito’), prive di riscontro probatorio.
Tanto ricapitolato, ritiene la Corte che il ricorso non possa essere accolto per le seguenti ragioni, subito avvertendo che:
la diversità (almeno formale) della sentenza impugnata rispetto a quella oggetto del ricorso per cassazione recante il n. 29392/2020 di ruolo generale (come detto proposta dalla cessionaria ramo di azienda) esonera dall’obbligatoria riunione prevista dall’art. 335 cod. proc. civ., mentre la trattazione parallela dei due ricorsi consente di esaminare congiuntamente le questioni poste dai motivi di ricorso, solo in parte analoghi.
l’esame dei motivi di impugnazione viene riordinato per ragioni logico-giuridiche, cominciando dallo scrutinio del settimo motivo, che attiene al dedotto deficit motivazionale della sentenza impugnata.
Sul settimo motivo di impugnazione.
L’istante, come sopra esposto, ha lamentato la sussistenza di una motivazione del tutto apparente della pronuncia in rassegna.
Si tratta di critica ingenerosa ed infondata.
9.1. Sul piano dei principi va ricordato che costituisce orientamento ampiamente consolidato di questa Corte ritenere che l’ipotesi di motivazione apparente ricorra allorché essa, pur graficamente e, quindi, materialmente esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento, non consentendo, in tal modo, alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice, lasciando all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.
Siffatta motivazione si considera -come suol dirsi – non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., il che rende nulla la sentenza per violazione (censurabile ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.) anche dell’art. 132, secondo comma, num. 4), cod. proc. civ. o, nel processo tributario, ex 36, comma 2, n. 4, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, mentre va esclusa (in seguito alla riformulazione dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54, comma 1, lett. b) del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile al caso in esame) qualunque rilevanza al semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr., su tali principi, tra le tante, Cass., Sez. T, 31 gennaio 2023, n. 2689 e, a partire da Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053, Cass., Sez. Trib., 19 gennaio 2023, n. 1615, Cass., 1° marzo 2022, n. 6626; Cass., Sez. Trib, 8 agosto 2022, n 24449; Cass., Sez. U., 19 giugno 2018, n. 16159 (p. 7.2.), che menziona Cass., Sez. U. 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. Sez. U., nn. 22229, 22230, 22231, del 2016, Cass., Sez. U, 24 marzo 2017, n. 766; Cass., Sez. U., 9 giugno 2017, n. 14430 (p. 2.4.); Cass., Sez. U., 18 aprile 2018, n. 9557 (p. 3.5.), Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476 (che cita, in motivazione, Cass., Sez. U., 18 aprile 2018, n. 9558 e Cass., Sez. U., 31 dicembre 2018, n. 33679), Cass., 18 settembre 2019, n. 23216; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., 18 settembre 2019, n. 23216; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. Sez. U., 24 marzo 2017, n. 7667; Cass., Sez. T. 24 giugno 2021, n. 18103).
9.2. Nella fattispecie il Giudice del gravame -come risulta dalla esposizione che precede – ha dato pienamente conto RAGIONE_SOCIALE ragioni poste a fondamento del decisum, riepilogando i dati fattuali della vicenda, dando conto del contenuto essenziale, ai fini che occupano, del contratto oggetto di verifica, considerando che non vi era stata la contestata mutatio libelli da parte dell’Ufficio nel corso del giudizio, reputando l’atto impugnato motivato e non dimostrata l’inerenza al ramo aziendale ceduto del suindicato debito verso la cessionaria, rappresentando, infine, le ragioni giuridiche, tramite l’interpretazione degli artt. 2560, secondo comma, cod. civ., 43, comma 2 e 51, comma 4, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, sui cui ha basato la decisione, considerando il
debito oggetto di cessione non inerente al ramo di azienda ceduto e quindi computabile nella determinazione della base imponibile ai sensi dell’art. 43, comma 2, cit.
9.3. Ogni altra censura sulle ragioni della decisione attiene al merito della stessa, non anche alla motivazione della sentenza.
Sul primo e sul secondo motivo di impugnazione
I menzionati motivi, concernenti il difetto di motivazione dell’avviso impugnato e la modifica dell’originaria contestazione da parte dell’Ufficio in corso di causa, vanno esaminati congiuntamente, in quanto connessi.
10.1. Giova ricordare, sul piano dei principi, che la valutazione sui contenuti della motivazione dell’avviso impugnato integra un’interpretazione di merito, non censurabile in sede di legittimità, se compiuta nel rispetto dei principi previsti dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (cfr. Cass., Sez. V, 19 aprile 2013, n. 9582).
Non solo. Sempre sul versante giuridico, questa Corte ha chiarito che l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l’ an ed il quantum dell’imposta.
In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito RAGIONE_SOCIALE ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (cfr. Cass., Sez. T., 27 luglio 2023, n, 22702, che richiama Cass., 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., 30 gennaio 2019, n. 2555; Cass., 8 novembre 2017, n. 26431; Cass., 10 novembre 2010, n. 22841;
Cass., 15 novembre 2004, n. 21571; ed ancora, tra le tante, Cass., Sez. T., 8 agosto 2022 n 24449 che richiama Cass., 26 gennaio 2018, n. 1961; Cass., 6 giugno 2016, n. 11560; Cass., 25 marzo 2011, n. 6914; Cass., 1° dicembre 2006, n. 25624 ed altre ancora, nonché Cass., Sez. V., 29 ottobre 2021, n. 30887).
Per tale via, l’obbligo della motivazione dell’avviso di accertamento o di rettifica deve ritenersi assolto con l’enunciazione dei presupposti adottati e RAGIONE_SOCIALE relative risultanze, mentre le questioni attinenti all’idoneità del criterio applicato in concreto attengono al diverso piano della prova della pretesa tributaria (cfr., nel caso di accertamento RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi in base ai parametri di cui alla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 181, e dal successivo d.P.C.m. 29 gennaio 1996, v. Cass., Sez. T., 4 novembre 2008, n.26458; e cfr. pure, in senso sostanzialmente conforme all’affermazione generale, Cass. , Sez. T., 1° dicembre 2006, n. 25624; Cass. , Sez. T., 12 maggio 2003, n. 7231-; e cfr. anche Cass., Sez. T., 20 settembre 2013, n. 21532).
10.2. Tutto ciò, non esclude, peraltro, il potere del giudice (ed anche dell’amministrazione) di qualificare autonomamente la fattispecie posta a fondamento della pretesa fiscale, ma sempre che non ne resti alterata la sostanza dell’accertamento in ordine agli elementi da cui esso risulti esser stato informato (cfr. tra le tante Cass., Sez. T., 9 dicembre 2009, n. 25726¸ Cass., Sez. T., 21 ottobre 2005, n. 20398; Cass., Sez. T., 14 novembre 2005, n. 22932).
10.3. Non è, poi, dubitabile che al divieto di domande nuove sia soggetto (anche) l’ufficio finanziario, al quale non è consentito, dinanzi al giudice di primo grado e d’appello, avanzare pretese diverse, sul piano del fondamento giustificativo e, dunque, sul versante della causa petendi , da quelle recepite nell’atto impositivo, non potendo porre a base della pretesa norme non invocate nella fase dell’imposizione, da cui derivi la necessità di svolgere distinti apprezzamenti in punto di fatto, giacché altrimenti ne verrebbe
vulnerata la concreta possibilità per il contribuente di esercitare il diritto di difesa tramite i motivi di ricorso, i quali necessariamente vanno rapportati a ciò che nell’atto risulta esternato.
10.4. Nella fattispecie in rassegna, l’avviso di liquidazione tassava l’atto ai sensi dell’art. 43, comma 2, d.P.R. 131/1986, prendendo in esame le osservazioni RAGIONE_SOCIALE contribuenti, rese a seguito dell’instaurato contraddittorio endoprocedimentale, motivando le ragioni del dissenso rispetto alla rappresentazione di parte, che aveva sostenuto l’inerenza del debito verso RAGIONE_SOCIALE al ramo di azienda ceduto, ponendo a base della rettifica il rilievo, integrante il nucleo essenziale della motivazione, secondo cui il vantaggio conseguito dalla cedente era costituito dal prezzo dichiarato, nonchè dall’estinzione del debito verso RAGIONE_SOCIALE e ritenendo che tale ultima obbligazione dovesse costituire base imponibile a mente dell’art. 43, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.
10.5. Corretta o meno che sia, sul piano giuridico, tale motivazione, essa tuttavia esiste ed è chiara, tenendo conto del predetto nucleo concettuale della stessa, che ha reso manifeste le ragioni della pretesa, considerando ed implicitamente negando, tramite l’applicazione dell’art. 43, comma 2, d.P.R. citato, anche l’inerenza del menzionato debito al ramo aziendale ceduto.
10.6. Con specifico riguardo al secondo motivo di impugnazione e, dunque, alla censura relativa all’integrazione della motivazione dell’avviso in sede contenziosa circa la non inerenza del debito verso RAGIONE_SOCIALE al ramo di azienda ceduto, si osserva che le considerazioni che precedono consentono di ritenere che non via sia stata nel corso del giudizio la modifica della contestazione nel senso dell’asserita introduzione di un fatto radicalmente nuovo.
Deve evidenziarsi su punto che l’inerenza era stata, in realtà, già dedotta dalla contribuente in sede amministrativa nelle proprie memorie e che di tanto ne aveva dato atto l’ente impositore, come
emerge dal contenuto dell’avviso riportato nel ricorso, per poi -come detto – implicitamente negarla.
In tali termini, va riconosciuto che la questione dell’inerenza o meno del predetto debito aveva costituto oggetto di un previo contraddittorio tra le parti, di cui l’avviso impugnato ha dato contezza, provvedendo alla rettifica dell’imposta autoliquidata, basandola proprio sulla non ritenuta inerenza del debito.
10.6. In siffatti termini, va allora riconosciuto che l’avviso impugnato ha, quantomeno implicitamente, contestato la non inerenza del debito, mentre in sede contenziosa l’RAGIONE_SOCIALE ha solo chiarito le ragioni della pretesa, senza modificarla, restando immutata l’applicazione dell’art 43, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 ed articolando, con esso, una contestazione che presupponeva implicitamente il rilievo secondo cui le passività non potessero concorrere alla determinazione della base imponibile dell’atto di cessione perché estranee al ramo di azienda ceduto .
10.7. Deriva, dunque, da quanto precede che non ricorreva alcuna situazione giuridica non prospettata prima e, in particolare, non è emerso in giudizio un fatto costitutivo radicalmente differente, con introduzione di un nuovo tema d’indagine e modifica dei termini della pretesa tributaria, essendo stata articolata una mera emendatio, che ha modificato soltanto l’interpretazione o la qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto.
Per tali ragioni, il tema della non inerenza del predetto debito, per come infine affrontato, non può considerarsi nuovo, essendo già stata ricompresa nella pretesa dell’amministrazione, siccome complessivamente risultante dall’atto impugnato, già delimitato quanto a petitum ed a causa petendi .
11. Sul terzo motivo di impugnazione.
Ricapitolando, in sintesi, il termini della questione, come sopra illustrato, le ragioni essenziali della decisione della Commissione regionale riposano sulla valutazione secondo la quale il debito della
contribuente verso RAGIONE_SOCIALE (pari a 9.509.447,74 €), indicato nell’atto come posta oggetto di trasferimento, non fosse inerente al ramo di azienda ceduto, essendo invece riconducibile ad un impegno a riversare alla cessionaria quanto ricevuto (da RAGIONE_SOCIALE) dagli utenti del servizio di depurazione (svolto da RAGIONE_SOCIALE) per effetto della gestione da parte della ricorrente del relativo servizio di riscossione della tariffa, desumendo ancora la non inerenza «dal fatto che il debito in questione è una sorta di contropartita dell’attività di depurazione che RAGIONE_SOCIALE svolge nei confronti degli utenti» (così nella sentenza impugnata priva di numerazione), come tale, da non includere tra le componenti negative dello stesso, considerando quindi corretta la rettifica del prezzo di cessione, incrementando con detta passività la base imponibile dell’imposta di registro a mente della citata disposizione.
Di conseguenza, il Giudice regionale ha condiviso l’operato dell’Ufficio che ha ritenuto non corretto il valore di cessione dichiarato nell’atto (pari a 1.315.788,00 €), determinato, a mente dell’art. 51, comma 4, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, sulla base del valore complessivo dei beni del ramo aziendale, compreso l’avviamento, al netto RAGIONE_SOCIALE passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del codice civile.
11.1. Secondo la ricorrente il Giudice d’appello avrebbe erroneamente qualificato tale posta come debito, in realtà inesistente, trattandosi di posta di bilancio provvisoria perché relativa a somme incassate dall’istante come intermediaria di RAGIONE_SOCIALE e da riversare a questi, per cui non sarebbe concepibile un accollo del debito (che prevede comunque la presenza di tre soggetti), né la sua estinzione perché mancherebbe il debito, così come errata risulterebbe la qualificazione operata dalla Commissione regionale di tale voce come una sorta di contropartita dell’attività di depurazione svolta da RAGIONE_SOCIALE.
11.2. Ciò posto, va innanzitutto ricordato che «l’interpretazione del contratto è un’attività ermeneutica riservata al giudice di merito, che è soggetta a censura con il ricorso per cassazione soltanto entro limiti ben definiti», risultando consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui «l’interpretazione del contratto data dal giudice del merito può sindacarsi in cassazione qualora si deduca che sono stati violati i criteri ermeneutici posti dagli art. 1362 e segg. c.c. (cfr. Cass. 27136/2017; Cass. 27419/2020), con onere per la parte di indicare gli specifici canoni legali violati nel caso concreto, e il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato sul piano applicativo e motivazionale (cfr. Cass. 27136/2017; Cass. n. 17168/2012; Cass. n. 22230/2014)» (così, tra le tante, Cass., Sez. T., 3 luglio 2023, n. 18670 e, nello stesso senso, Cass., Sez. I, 12 dicembre 2023, n. 34687; Cass., Sez. I, 28 giugno 2018, n. 16181).
Ebbene, parte ricorrente non ha formulato la censura in questi termini, prospettando invece il vizio di violazione di norme di diritto (art. 43, comma 2, TUR), che – come si dirà -non ricorre.
11.3. La ricostruzione fattuale operata dalla Commissione circa l’origine e la natura del predetto debito della ricorrente (come detto, impegno a riversare nelle casse di RAGIONE_SOCIALE quanto ricevuto dagli utenti del servizio di depurazione assicurato) risulta in linea con quanto rappresentato dalla stessa società secondo cui « RAGIONE_SOCIALE, che fatturava all’utenza, riscuoteva anche per conto dei soggetti, quali la RAGIONE_SOCIALE, che gestivano altri segmenti del servizio» (ndr. RAGIONE_SOCIALE l’attività di depurazione RAGIONE_SOCIALE acque) e «Per tale attività veniva quindi remunerata la COGNOME che poi ribaltava gli introiti alla RAGIONE_SOCIALE. Da ciò si comprende in prima battuta che non si trattava di un vero e proprio debito, ma di una posta di bilancio provvisoria, in quanto da riversare al soggetto acquirente. In altre parole la COGNOME incassa per conto della RAGIONE_SOCIALE dall’utenza e poi riversa nelle casse di quest’ultima parte dell’incasso, relazionato alla attività di depurazione» (v. pagina n. 51 del ricorso).
In tale direzione, la società ha sostenuto, nell’essenziale ragione di contestazione, che l’illegittimità del provvedimento impugnato sta nel fatto che «si tratta della ripresa tassazione di ‘una posta di bilancio provvisoria, in quanto da riversare al soggetto al soggetto acquirente’ che ‘non ha una obbligazione sottostante’ atteso che la società RAGIONE_SOCIALE operava, ai fini della riscossione della tariffa, ‘per conto di RAGIONE_SOCIALE‘; ne deriva quindi che l’importo di euro 9.509.447,74 – iscritto solo provvisoriamente nel bilancio di COGNOME in funzione del ritrasferimento della somma a RAGIONE_SOCIALE – era già di competenza di quest’ultima al momento della cessione del ramo di azienda ed è per questo motivo che non doveva essere in alcun modo ricompreso nel prezzo di cessione né tantomeno nella base imponibile ai fini del registro: semplicemente non è stato oggetto di cessione perché già nella sfera giuridica di RAGIONE_SOCIALE seppur nella temporanea detenzione da parte di COGNOME» (così a pagina n. 53 del ricorso).
11.4. Senonchè, la delineata ricostruzione fattuale operata dalla società e considerata dal Giudice regionale conferma – a giudizio della Corte la legittimità dell’operato dell’Ufficio e l’inesistenza della dedotta violazione dell’art. 43, comma, 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, per come formulata, alla luce RAGIONE_SOCIALE considerazioni che seguono, che integrano -o se si vuole -correggono la motivazione del Giudice regionale ai sensi dell’art. 384, quarto comma, cod. proc. civ.
11.5. Risulta pacifico che nell’atto di cessione del ramo d’azienda siano stati indicati come oggetto del trasferimento, tra l’altro, «i debiti verso il fornitore RAGIONE_SOCIALE» e (in termini, almeno apparentemente, distinti) «gli altri debiti correnti relativi all’attività del Ramo di Azienda» (v. pagina n. 6 del ricorso).
L’incontroversa disponibilità materiale RAGIONE_SOCIALE somme riscosse da parte della ricorrente nell’interesse e per conto di RAGIONE_SOCIALE ed il dovere di riversare tale posta nelle casse di quest’ultima altro non integrava che un obbligo restitutorio, idoneo qualificare, per lo meno
ai fini che occupano, la sussistenza del ‘debito’, come tale appostato (al passivo) nella situazione patrimoniale allegata alla cessione e come indicato nello stesso atto di cessione.
Tanto risulta riconosciuto dalla medesima difesa della contribuente nella parte in cui assume che « si tratterebbe della restituzione da parte di COGNOME di un credito proprio di RAGIONE_SOCIALE per il servizio da questi reso ai propri utenti » (v. pagina n. 49 del ricorso), omettendo tuttavia di trarne le dovute conseguenze connesse al fatto che con la citata cessione del ramo aziendale tale obbligo restitutorio, non adempiuto al momento della stipula del citato contratto, sia venuto meno, giacchè nemmeno la ricorrente sostiene la sua permanenza dopo tale atto.
11.6. In tale prospettiva, la tesi sviluppata dalla società nel motivo in esame, come sopra riportata nel suo concettuale essenziale, non può essere condivisa per almeno tre ordini di considerazioni.
La prima. La dedotta sussistenza di un « importo meramente detenuto, in attesa di ritrasferimento» (pagina n. 54 del ricorso) segna il contenuto specifico di un obbligo specifico di restituzione, al pari di quello imposto al mandatario (cfr., in arg., Cass., Sez. I, 23 settembre 2022, n. 27957 in relazione alla previsione dell’art. 156 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152), il che ha giustificato l’appostazione contabile della voce come debito, che ha costituto l’oggetto proprio della cessione del ramo di azienda .
La seconda. L’imposta di registro è un’imposta d’atto e, ai sensi dell’art. 20 TUR, la sua interpretazione va operata in relazione al suo contenuto intrinseco, dovendo escludersi qualsiasi operazione di riqualificazione basata su elementi extratestuali.
La terza. Il vantaggio che la cedente-ricorrente ha tratto dalla cessione, in linea coerente con la tassazione prevista dall’art. 43,
comma 2, TUR, sta nel fatto che, per effetto di tale cessione, il debito di restituzione verso RAGIONE_SOCIALE, come sopra evidenziato, è venuto meno, il che ha consentito all’Ufficio di considerarlo, nella logica dell’art. 43, comma 3, TUR, estinto, computandolo come parte del prezzo di cessione, così concorrendo a formare la base imponibile dell’atto tassato.
12. Sul quarto motivo di impugnazione.
L’istante ha dedotto la violazione o falsa applicazione degli artt. 2560, secondo comma, cod. civ. e 43, comma 2, 51, comma 4, TUR.
Nello specifico, come sopra esposto, la contribuente ha assunto che «i debiti verso RAGIONE_SOCIALE non sono costituiti esclusivamente dalla tariffazione e riscossione di quote relative al servizio di depurazione dell’acqua svolo da RAGIONE_SOCIALE ANCHE dalla tariffazione e riscossione RAGIONE_SOCIALE quote relative al servizio di erogazione dell’acqua e di fognatura (proprie dell’attività di COGNOME); da incrementi tariffari di acquedotto e fognatura (propri dell’attività di COGNOME); e da quote di investimenti in opere per l’erogazione dell’acqua (proprie dell’attività di RAGIONE_SOCIALE)» (v. pagina n -. 57 del ricorso), per cui «a tutto voler concedere, soltanto quota parte di esso sarebbe non inerente (v. pagina n -. 57 del ricorso), insistendo, poi, per l’inerenza del complessivo debito ceduto.
12.1. Senonchè, sotto il primo dei menzionati profili, il motivo coinvolge la Corte in un inammissibile sindacato di merito sulla dedotta, variegata, composizione del predetto debito.
12.2. Anche sotto il secondo aspetto, la censura traduce un uso improprio del paradigma censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ. nella parte in cui sollecita la Corte l’inammissibile riesame della questione concernente l’inerenza del debito al ramo aziendale, espressamente esclusa dal Giudice dell’appello, giacchè, come chiarito da questa Corte, la valutazione del requisito della inerenza concreta « una tipica quaestio facti » (cfr. Cass., Sez. T., 18 maggio 2016, n. 10218).
Sul punto la Commissione regionale ha sviluppato la decisione, considerando sia l’art. 2560 cod. civ., che l’art. 51 d.P.R. TUR, negando che la contribuente avesse offerto prova (tramite il solo deposito del libro cespiti e dei depositi cauzionali) dell’inerenza del debito, assumendo che «Non risulta fornita la documentazione di supporto, dalla quale possa ricavarsi, oltre che l’importo, la ragione della spesa» (così nella sentenza impugnata), con apprezzamento, quindi, di merito, non riesaminabile, sotto il profilo fattuale, nella sede che occupa, risultando, invece, corretta sul piano giuridico, avendo questa Corte chiarito che l’onere di provare l’inerenza del debito « non può ritenersi assolto mediante esclusivo e formale richiamo all’annotazione contabile, richiedendosi l’allegazione di documentazione di supporto attestante l’effettiva pertinenza, strumentalità e finalizzazione della passività al bene trasferito (da Cass. 12330/01, fino a Cass. nn. 5860/16, 2048/17, 5079/17, 9888/17, 11241/17; n. 29151/2018 ed altre)» (cfr. Cass., Sez. T., 16 gennaio 2019, n. 888).
Tutto ciò, ritenendo, quindi, implicitamente quanto chiaramente, non decisiva, ai fini che occupano, la circostanza della riscossione della tariffa dell’attività di depurazione affidata alla ricorrente ai sensi dell’art. 156 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 1952, considerando imprescindibile la citata documentazione di supporto, prova questa reputata non fornita dalla contribuente sulla base di un apprezzamento di merito, non riesaminabile, sotto il profilo fattuale, nella sede che occupa.
Esclusa, dunque, dalla Commissione regionale la dedotta inerenza del debito in esame, anche il riferimento alla pronuncia del 16 gennaio 2019, n. 888 di questa Corte non giova alla tesi dell’istante, ove si consideri che con essa è stato chiarito che:
-il quadro disciplinare dell’imposta di registro è « caratterizzato, in linea generale, da un principio di tassazione dei beni e diritti oggetto di atti/contratti a titolo oneroso traslativi o costitutivi di diritti reali sulla base del loro valore “al lordo”», tenuto
conto della disposizione dell’art. 43, comma 2, d.P.R. 16 aprile 1986, n. 131 (secondo cui «i debiti e gli altri oneri accollati e le obbligazioni estinte per effetto dell’atto concorrono a formare la base imponibile»);
-« le passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie, o da atti aventi data certa a norma del codice civile, debbono essere dedotte dalla base imponibile dell’imposta di registro solo se inerenti all’azienda, non essendo sufficiente la loro registrazione nelle scritture contabili»,
-« laddove si riscontri il trasferimento al cessionario dell’azienda di un debito privo di collegamento funzionale con l’azienda stessa, estraneo quindi alla definizione della consistenza di quest’ultima nella vicenda circolatoria, esso potrà rilevare, nel caso, quale modalità di pagamento del prezzo della cessione, ai sensi dell’art. 43, 2° comma, citato ( Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30055; Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30057; Cass., sez. V, 25 maggio 2009, n. 12042; Cass n., n. 22099/2016; nn 2048, 2019 e 21767 del 2017 » (così Cass., Sez. T., 16 gennaio 2019, n. 888).
Per tali complessive ragioni, il motivo in esame va disatteso, appena aggiungendo che non risulta pertinente alla fattispecie in esame il riferimento operato all’art. 21 TUR con riguardo agli accolli di debiti, agli oneri collegati ed alle quietanze, di cui, ai fini che occupano, non vi è traccia nell’avviso impugnato.
13. Sul quinto motivo di impugnazione.
Detta censura, fondata sulla violazione dell’art. 2697 cod. civ. con riguardo ai criteri di riparto dell’onere probatorio in merito all’inerenza del suddetto debito, non è fondata.
13.1. Va ancora una volta osservato che la Commissione regionale ha ritenuto corretta la valutazione operata dall’Ufficio, il quale ha escluso l’inerenza del suddetto debito al ramo aziendale ceduto, in quanto, in sintesi, riconducibile al pacifico servizio di
riscossione della tariffa relativa al servizio di depurazione svolto da RAGIONE_SOCIALE e che il debito verso tale società indicato nell’atto era riferibile all’obbligo di restituzione RAGIONE_SOCIALE somme incassate in ragione di tale servizio di cassa.
In siffatti termini, dunque, l’operato dell’Amministrazione non si è posto in contrasto con quanto affermato da questa Corte con la pronuncia citata dalla ricorrente (Cass., Sez. T, 18 maggio 2016, n. 10218), che pone a carico dell’Ufficio la prova della non inerenza del debito, quale fatto costitutivo della pretesa ai sensi dell’art. 43, comma 2, TUR.
Vero è piuttosto che la Commissione, alla luce di tale contestazione da parte dell’Ufficio e della ritenuta dimostrazione dell’estraneità della menzionata voce dal ramo di azienda ceduto, ha considerato che la contribuente non avesse offerto prova della inerenza del debito.
13.2. Così ricostruita la vicenda processuale, quanto al riparto dell’onere probatorio, va richiamato «l’indirizzo consolidato di legittimità secondo cui in presenza di contestazione di inerenza da parte dell’amministrazione finanziaria – il relativo onere probatorio è posto a carico del contribuente che deduca la passività. E tale onere, come detto, non può ritenersi assolto mediante esclusivo e formale richiamo all’annotazione contabile, richiedendosi l’allegazione di documentazione di supporto attestante l’effettiva pertinenza, strumentalità e finalizzazione della passività al bene trasferito (da Cass. 12330/01, fino a Cass. nn. 5860/16, 2048/17, 5079/17, 9888/17, 11241/17; n. 29151/2018 ed altre)» (cfr. Cass., Sez. T. 16 gennaio 2019, n. 888 cit.).
Nel caso di specie la Commissione tributaria regionale si è attenuta a tale orientamento, assumendo, da un lato, che le passività potessero incidere a decurtazione del valore del ramo aziendale ceduto solo se inerenti e, dall’altro, che tale requisito dovesse essere dimostrato dalla società contribuente sulla base di elementi diversi ed ulteriori dalla citata contabilità.
14. Va, infine respinto, anche il sesto motivo di impugnazione con il quale la contribuente ha denunciato il vizio di cui all’art. 112 cod. proc. civ. o meglio « la discrasia tra il chiesto ed il pronunciato , atteso che la domanda della società mirava ad ottenere un esame sulla corretta applicazione dell’art. 20 del TUR , mentre la pronuncia della CTR ha riguardato la diversa questione della sussistenza dei requisiti minimi motivazionali dell’atto impositivo» (v. pagina n. 70 del ricorso).
Effettivamente non vi è stata pronuncia sulla predetta domanda (riassunta ai fini del requisito dell’autosufficienza alle pagine nn. 14 e 22 del ricorso), avendo la Commissione focalizzato la sua attenzione sulla motivazione dell’avviso impugnato, ma a tale omissione può porsi ora rimedio, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ. (cfr., tra le tante, Cass., Sez. T, 24 novembre 2022, n. 34689, che richiama Cass. Sez. U, 2 febbraio 2017, n. 2731, nonché Cass., Sez. T., 4 dicembre 2019, n. 31605, che richiama «Cass. n. 2313 del 01/02/2010; ex pluribus conf. Cass. n. 16171 del 28/06/2017; Cass. n. 9693 del 19/04/2018»), non occorrendo accertamenti in fatto ed essendo l’eccezione infondata sul versante giuridico.
Dalla stessa prospettazione della ricorrente, infatti, si apprende che « l’Ufficio non si era limitato a interpretare il contratto ai sensi dell’art. 20 del TUR, ossia quale ‘Contratto di cessione del ramo’ qual era (sia per nomem iuris che per volontà di legge e conseguentemente RAGIONE_SOCIALE parti), ma aveva desunto elementi aliunde ( per l’esattezza dal prospetto di ripartizione dei debiti, allegato al contratto sotto la lettera F) » (v. pagina n. 68 del ricorso).
Senonchè, alla luce di tale versione, il motivo si rivela infondato, sol considerando che il citato prospetto allegato all’atto doveva considerarsi, proprio per tale ragione, parte integrante del contratto oggetto di tassazione, sicchè correttamente la sua interpretazione è stata sviluppata sulla base degli elementi desunti dalle relative
evidenze, che indicavano tra l’oggetto della cessione «i debiti verso il fornitore RAGIONE_SOCIALE».
Alla luce RAGIONE_SOCIALE complessive considerazioni svolte, che assumono valore assorbente rispetto ad ogni altra argomentazione svolta dalle difese RAGIONE_SOCIALE parti, il ricorso va, dunque, respinto.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.
Va, infine, dato atto che, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per la proposizione del ricorso.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del presente grado di giudizio, che liquida in favore dell’RAGIONE_SOCIALE nella somma di 8.000,00 € per competenze, oltre accessori, nonché al rimborso RAGIONE_SOCIALE spese che risulteranno dai registi di cancelleria prenotate a debito.
Dà atto che ricorrono le condizioni per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per la proposizione dell’impugnazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 ottobre 2023.