Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14031 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 14031 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/05/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 1875/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende.
–
ricorrente –
nonchè
COGNOME NOME, COGNOME NOME, in qualità di esercente la responsabilità genitoriale di COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che li rappresenta e difende.
–
contro
ricorrente ricorrente incidentale –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso l’ RAGIONE_SOCIALE DELLO STATO (P_IVA), che ex lege la rappresenta e difende.
–
contro
ricorrente –
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. del Lazio n. 1567/2020, depositata il 10/06/2020.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.
Udito l’ AVV_NOTAIO che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
Udito l’AVV_NOTAIO che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e, con successivo ricorso, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in quanto esercente la potestà genitoriale di NOME COGNOME , rispettivamente, con tre e con due articolati motivi d’impugnazione chiedono la cassazione della sentenza n. 1567/2020, depositata in data 10/6/2020, con cui la Commissione tributaria regionale del Lazio ha confermato la decisione della Commissione tributaria provinciale di Roma (sentenza n. 3284/2019), favorevole all’erario ed appellata dai contribuenti.
La vicenda trae origine dalla impugnazione, respinta in prime cure, dell’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, avendo i contribuenti contestato, sotto vari profili, la legittimità della qualificazione, ex art. 20, d.P.R. n. 131 del 1986, come cessione di RAGIONE_SOCIALE, dell’operazione posta in essere, in data 27/6/2014, con atto registrato in data 8/7/2014, con il quale il COGNOME, parte venditrice, trasferiva al COGNOME, parte acquirente, la quota rappresentante il 100% del capitale sociale di RAGIONE_SOCIALE, gravata da pegno, per il dichiarato prezzo di euro 1.686.269,00.
La Commissione tributaria regionale del Lazio, con la sentenza oggi impugnata, ha respinto gli appelli (poi riuniti) coi quali i contribuenti avevano censurato la sentenza di primo grado, motivando che l’art. 20, d.P.R. n. 131 del 1986, come autenticamente interpretato dal legislatore con le legge di bilancio 2018, riconosce all’Ufficio il potere di attribuire una diversa natura giuridica all’atto proposto per la registrazione, ma solo sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo e non più utilizzando elementi extratestuali o diversi atti ad esso collegati e che, nel caso esaminato, legittimamente «l’RAGIONE_SOCIALE ha considerato l’avvenuta cessione della (totalità) RAGIONE_SOCIALE quote rappresentative dell’intero capitale sociale dell’RAGIONE_SOCIALE da equipararsi, ai fini della tassazione de qua , ad un vero e proprio conferimento di RAGIONE_SOCIALE e non come un mero trasferimento di quote della stessa.» Ha aggiunto il giudice di appello che «(i)l contratto di cessione totalitaria RAGIONE_SOCIALE quote di una società è dunque assimilabile, ai fini dell’imposta di registro, al contratto di cessione dell’RAGIONE_SOCIALE sociale, senza che al riguardo sia necessario che l’RAGIONE_SOCIALE fornisca in giudizio la ‘prova certa dell’intento elusivo’.»
L’RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo il ricorrente COGNOME deduce, in relazione all’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 20, d.P.R. n. 131 del 1986, 1, comma 87, l. n. 205 del 2017 (Legge di Bilancio 2018), nonché dell’art. 11 della Tariffa, parte prima, d.P.R. n. 131 del 1986, poiché il
richiamato art. 20, anche nella nuova formulazione, non esclude il limite all’attività riqualificatoria rappresentato dal principio secondo cui, quando l’ordinamento prevede forme giuridiche alternative per i risultati pratici perseguibili, l’Amministrazione finanziaria non può sostituire una foma giuridica legittima, scelta dalle parti, con un’altra, soltanto perché ha un onere fiscale maggiore, a meno che l’Ufficio non dimostri una situazione di concreto abuso ex art. 10 bis della l. n 212 del 2000.
Col secondo motivo deduce in relazione all’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 10 bis , l. n. 212 del 200, 53 bis , d.P.R. n. 131 del 1986, e RAGIONE_SOCIALE norme che disciplinano l’abuso del diritto o l’elusione fiscale, neppure invocato ed allegato dall’Ufficio, che non ricorre nell’ipotesi di mero vantaggio fiscale.
Col terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 7, l.n.212 del 2000 e RAGIONE_SOCIALE norme che impongono all’Amministrazione finanziaria, con riferimento ai presupposti di fatto e di diritto, la riqualificazione dell’atto presentato alla registrazione, ed invece nell’avviso impugnato si limita ad operare una apodittica assimilazione della fattispecie negoziale della cessione totalitaria RAGIONE_SOCIALE quote sociali alla cessione d’RAGIONE_SOCIALE.
Col primo motivo il ricorrente COGNOME deduce, in relazione all’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 53, d.P.R. n. 131 del 1986, 7 e 7 bis , l. n. 212 del 2000, poiché, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di appello, la cessione totalitaria RAGIONE_SOCIALE quote di una società costituisce un atto tipico previsto dall’ordinamento che produce effetti sostanziali giuridici diversi da quelli della cessione d’RAGIONE_SOCIALE, né la motivazione dell’avviso di liquidazione fa cenno all’elusione fiscale.
Col secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art.91 cod.proc.civ., in quanto la disposizione sulle spese processuali non era applicabile poiché l’RAGIONE_SOCIALE si era costituita in giudizio con propri funzionari, senza avvalersi della difesa tecnica.
Va, preliminarmente, ricordato (Cass. n. 27680/2021) che «i l principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta
che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso. Tuttavia, quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti) risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 cod.proc.civ., indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’annuale) di impugnazione in astratto operativi. Detto termine decorre dall’ultima notificazione dell’impugnazione principale nel caso in cui tale impugnazione sia stata notificata anche alla parte che propone l’impugnazione incidentale».
Le censure veicolate con i due ricorsi, che possono essere esaminate congiuntamente, sono fondate, ad eccezione della censura sul regolamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali, oggetto del secondo motivo del ricorso proposto dal COGNOME, che resta conseguentemente assorbita.
La tecnica motivazionale della CTR, caratterizzata da estrema sinteticità, riprende un iter logico-giuridico, per quanto concerne la qualificazione della ‘cessione di quote’ societarie (negozio posto in essere alle parti ed oggetto di tassazione) in ‘cessione d’RAGIONE_SOCIALE‘, fondato sull’art. 20, d.P.R. n. 131 del 1986.
L’indirizzo interpretativo della disposizione è quello secondo cui l’Amministrazione sarebbe legittimata a disconoscere, agli effetti tributari, gli effetti civili tipici degli atti o negozi posti in essere dalle parti contraenti, ogni qual volta tali effetti non appaiono conformi alla ‘causa reale’ dell’operazione economica realizzata e, dunque, prescindendo dal nomen iuris attribuito all’atto, in applicazione del principio giurisprudenziale della “prevalenza della sostanza sulla forma”.
Tale impostazione, fondata sulla valorizzazione dell’art. 20 citato come norma generale antielusiva, non appare più percorribile, perché in contrasto con la più recente elaborazione giurisprudenziale di legittimità e con le sentenze della Corte Costituzionale n. 158/2020 e n. 39/2021, in tema d’interpretazione del
novellato art. 20, d.P.R. n. 131 del 1986 (da ultimo, sul tema per cui è causa, Cass. n. 34955/2023; n. 34917/2023).
Non può revocarsi in dubbio che l’Amministrazione finanziaria, in forza di tale disposizione, non sia affatto tenuta ad accogliere acriticamente la qualificazione prospettata dalle parti, ovvero quella “forma apparente” al quale lo stesso art. 20 fa riferimento.
Tale attività qualificatoria, tuttavia, non può travalicare lo schema negoziale tipico nel quale l’atto risulta inquadrabile, mediante l’artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa da quella voluta dai contraenti e comportante, per di più, effetti giuridici differenti, in ragione – per quanto è dato leggere nel controricorso dell’RAGIONE_SOCIALE – di una assai opinabile equivalenza economica tra la cessione totalitaria di quote societarie e la cessione di RAGIONE_SOCIALE e della circostanza che «si verifichi la situazione in cui proprio l’indebito risparmio di imposta costituisca l’effetto realmente voluto dalle parti contraenti (v in tal senso Cass. n. 4406/18).»
Il giudice di merito, cui spetta vagliare la corretta interpretazione dei negozi giuridici, avrebbe dovuto analizzare le ragioni dell’accertamento dell’Ufficio, relativamente alla operata qualificazione dell’atto tassato, escludendo ovvero affermando la decisività di talune pattuizioni, laddove in grado di snaturare l’essenza del tipo contrattuale adottato dalle parti.
Così posta la questione, va pure considerato che chi aliena un’RAGIONE_SOCIALE soggiace ad una peculiare disciplina legale perché, ad esempio, ha l’obbligo di astenersi dall’intraprendere una nuova attività imprenditoriale che si ponga in concorrenza con l’RAGIONE_SOCIALE ceduta per oggetto o ubicazione (art. 2557 cod. civ.) e, nel contempo, cede all’acquirente crediti, debiti e rapporti contrattuali inerenti all’RAGIONE_SOCIALE ceduta ed all’impresa con essa esercitata (artt. 2558, 2559, 2560 e 2112 cod. civ.) e neppure è liberato dei debiti anteriori al trasferimento se i creditori non vi abbiano acconsentito.
Con la compravendita RAGIONE_SOCIALE quote societarie (art. 2479 cod. civ.), invece, il cessionario continua, naturalmente, l’attività della società in cui è subentrato come socio ed esercitando i relativi diritti, mentre i debiti della società gravano
su di essa, con totale liberazione del soggetto che ha ceduto la partecipazione, anche senza il consenso dei creditori.
Significativo appare, anche, il peculiare regime di responsabilità solidale del cessionario dell’RAGIONE_SOCIALE o del ramo d’RAGIONE_SOCIALE, per i debiti tributari concernenti le annualità pregresse, dettato dall’art. 14, d.lgs. n. 472 del 1997.
Assolutamente privo di rilievo è il riferimento, contenuto nella sentenza della CTR del Lazio, all’assimilabilità della vendita dell’intero capitale sociale «ad un vero e proprio conferimento di RAGIONE_SOCIALE», in quanto «entrambi i contratti tendono (…) a realizzare l’effetto giuridico del (e trovano la loro causa concreta nel) trasferimento dei poteri di godimento e disposizione dell’RAGIONE_SOCIALE sociale da un gruppo di soggetti (i partecipanti alla società che cedono le loro quote) ad un altro soggetto (o gruppo di soggetti (l’acquirente, o gli acquirenti, della totalità RAGIONE_SOCIALE quote sociali).»
L’affermazione del giudice tributario di secondo grado, al più, individua le ragioni economiche e commerciali che hanno determinato la cessione oggetto di causa, in relazione all’interesse perseguito dall’alienante di “monetizzare” il valore del complesso dei beni RAGIONE_SOCIALEli, aspetto che, per quanto detto, perde di rilievo nel momento in cui i contraenti hanno scelto di adottare, anche in vista di un risparmio fiscale, un tipo negoziale in luogo di un altro, diverso anche negli effetti giuridici.
Come ribadito dalla Consulta, non si deve ricercare un presunto effetto economico dell’atto, tanto più se, come nel caso di specie, tale effetto è quello del negozio tipico prescelto (trasferimento della proprietà di quote societarie contro prezzo), in assenza di clausole che ne abbiano modificato la tipicità codicistica.
L’Ufficio, infatti, non indica nell’avviso impugnato (prodotto in giudizio in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione) quali sarebbero gli elementi del regolamento negoziale adottato dalle parti che ne avrebbero immutato la sostanza, facendone scaturire effetti giuridici diversi (e non economici), equivalenti a quelli del trasferimento d’RAGIONE_SOCIALE (v. artt. 2556 e ss.gg. cod. civ.), suscettibili di una differente e più onerosa imposizione tributaria, tant’è che neppure la sentenza della CTR ne parla.
L’Ufficio, invece, si limita ad affermare, apoditticamente, che le parti contraenti sarebbero state mosse dal comune intendo «di dissimulare l’avvenuta cessione di RAGIONE_SOCIALE per la quale è dovuta imposta proporzionale di registro, in luogo di quella assolta in misura fissa sull’atto di vendita di quote.»
Ed allora, come la Corte (Cass. n. 10688/2021) ha avuto modo di precisare, «( i )n conclusione, se una diversa lettura dell’art. 20, d.p.r. n. 131 del 1986, così come risulta autenticamente interpretato dal Legislatore, non appare più consentita dopo la sentenza n. 158/2020 della Corte Costituzionale, ciò non di meno il ricordato principio giurisprudenziale della “prevalenza della sostanza sulla forma” può sempre essere fatto valere dall’Amministrazione finanziaria, sia pure entro i limiti imposti all’attività ermeneutica dalla richiamata disposizione, mentre ove ricorra l’abuso del diritto, mediante l’applicazione dell’art. 10 bis AVV_NOTAIO Statuto del Contribuente, stante l’espresso richiamo contenuto nell’art. 53 bis, d.p.r. n. 131 del 1986, che richiede, per superare la qualificazione formale dell’atto, la prova dell’illegittimo risparmio fiscale, oltre che il rispetto RAGIONE_SOCIALE garanzie procedimentali di cui si è in precedenza detto.»
Conseguentemente, la sentenza impugnata va cassata e la causa, non necessitando di ulteriori accertamenti in fatto, può essere decisa con l’accoglimento degli originari ricorsi dei contribuenti.
Sussistono giustificate ragioni, avuto riguardo all’orientamento giurisprudenziale al tempo uniforme nonché ai successivi interventi del legislatore ed alle richiamate pronunce della Consulta, per disporre la compensazione RAGIONE_SOCIALE spese dei giudizi di merito ed invece la condanna in favore del COGNOME e dei COGNOME, secondo soccombenza, di quelle del giudizio di legittimità, che sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il primo, secondo e terzo motivo del ricorso principale ed il primo del ricorso incidentale, dichiara assorbito il secondo motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai mezzi accolti e decidendo la causa nel merito, accoglie gli originari ricorsi dei contribuenti. Dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito e condanna la
contro
ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio, che in favore di ciascuna parte ricorrente liquida in euro 4.000,00 per compensi, euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 13 febbraio 2022.