Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6060 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6060 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/03/2025
ART. 20 D.P.R. N. 131/1986
sul ricorso iscritto al n. 2377/2024 del ruolo generale, proposto
DA
l’ RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato (codice fiscale CODICE_FISCALE.
– RICORRENTE –
CONTRO
NOME (codice fiscale CODICE_FISCALE, nato il 21 luglio 1964 a Brunico (BZ), in proprio ed in qualità di legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE), con
sede legale in Campo Tures (BZ), alla INDIRIZZO rappresentati e difesi, congiuntamente e disgiuntamente, in forza di procura speciale e nomina poste in calce al controricorso, dagli avvocati NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE) del Foro di Bolzano
– CONTRORICORRENTI – per la cassazione della sentenza n. 34/1/2023 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado di Bolzano, depositata in data 19 giugno 2023, notificata il 3 luglio 2023.
UDITA la relazione svolta all’udienza camerale del 26 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Oggetto di controversia è l’avviso di liquidazione in atti con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione l’imposta di registro in misura proporzionale, riqualificando come cessione di azienda l’atto denominato ‘cessione di quote’ del 19 luglio 2017, con cui NOME COGNOME quale socio della RAGIONE_SOCIALE acquistava dai rispetti due soci le quote sociali dell’intero capitale di RAGIONE_SOCIALE
Con l’impugnata sentenza , la Corte di giustizia di secondo grado di Bolzano accoglieva l’appello proposto dai contribuenti contro la pronuncia n. 88/2022 della Commissione tributaria provinciale di Bolzano ed annullava l’avviso di accertamento impugnato, premettendo la diversità tra la ‘cessione di quote’ e la ‘cessione di azienda’, essendo « negozi giuridici diversi e distinti con causa ed oggetti diversi: l’una attribuisce un diritto personale di partecipazione alla vita
societaria, l’altra attribuisce un diritto reale sul patrimonio societario».
Il Giudice regionale richiamava, quindi, la nuova versione dell’art. 20 d.P.R. n. 131/1986, quale risultante dall’art. 1, comma 87, della legge n. 205/2017 e dall’art. 1, comma 1089, della legge n. 145/2018 (secondo cui ‘l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati…)’, come poi validata dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 158/20, nonché la relazione illustrativa della legge di bilancio del 2018 nella parte in cui si è precisato che « l’intervento di riforma dell’art.20 mira ad escludere che possa continuare a darsi rilievo nell’interpretare l’atto a ‘gli interessi oggettivamente e concretamente perseguiti dalle parti nei casi in cui gli stessi potranno condurre ad una assimilazione di fattispecie contrattuali giuridicamente distinte (non potrà, ad esempio, essere assimilata ad una cessione di azienda la cessione totalitaria di quote)’ che è esattamente la situazione giuridica del caso oggetto del presente procedimento (cfr. da ultimo Cass. civ. VI 25.01.23 n. 2252)» (così nella sentenza impugnata).
Tutto ciò per concludere nel senso che «Non è quindi condivisibile l’assunto dell’Agenzia, recepito dal primo Giudice , secondo cui sarebbe possibile tassare l’atto di cessione di quote come cessione di azienda, in pratica, sull’assunto erroneo per cui vi sarebbe identità di effetti giuridici tra la prima e la seconda. L’Agenzia, infatti, per sostenere la propria tesi fa riferimento ad una serie di atti precedenti e contemporanei alla cessione che sono di fatto negozi giuridici
collegati, dai quali si deve tuttavia prescindere in base alla nuova versione dell’art. 20; alla luce di quanto sopra non vi sono pertanto ragioni giuridicamente sostenibili per non considerare l’atto notarile oggetto del presente procedimento come cessione totalitaria di quote».
Con atto notificato in data 18 gennaio 2024, nel rispetto del termine di sospensione previsto dall’art. 1, comma 199, della legge 197/2022, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione contro la menzionata pronuncia, articolando tre motivi d’impugnazione.
NOME COGNOME e la Farmacia Dr. COGNOME RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE. -Apotheke Dr. COGNOME KG des NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE. resistevano con controricorso depositato il 23 febbraio 2024.
Con ordinanza del 22 maggio 2024 il Consigliere delegato proponeva la definizione agevolata del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c..
6 . Con istanza depositata il 2 luglio 2024 l’Agenzia ha chiesto la decisione.
Le parti contribuenti hanno depositato, in data 12 novembre 2024, memoria ex art. 380bis .1., c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Per ragioni di ordine logico-giuridico e per il suo carattere -in tesi – assorbente rispetto alle altre doglianze, va esaminato, in prima battuta, il secondo motivo di impugnazione con il quale l’Agenzia ha denunciato, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per motivazione apparente e dunque la violazione degli artt. 111, sesto comma, Cost., 32, 112, e 132
c.p.c., avendo omesso di esporre le ragioni di accoglimento del gravame e decidendo la controversia « prescindendo dalla causa reale del contratto sottoposto a registrazione, sulla scorta di argomento privi di specifica concludenza» (così a pagina n. 17 del ricorso).
1.1. Il motivo è palesemente infondato.
Sul piano dei principi va ricordato che questa Corte (a partire da Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053) ha ripetutamente precisato che deve ritenersi apparente la motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè munita di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento, così impedendo ogni effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.
Resta, invece, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (v., tra le tante, Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass., Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16599; Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. Sez. U., 24 marzo 2017, n. 7667; Cass., Sez. U., 9 giugno 2017, n. 14430; Cass., Sez. U., 19 giugno 2018, n. 16159; Cass., Sez. U., 18 aprile 2018, n. 9558 e Cass., Sez. U., 31 dicembre 2018, n. 33679; Cass., 18 settembre 2019, n. 23216; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., Sez. T, 31 gennaio 2023, n. 2689; e da ultimo Cass., Sez. T., 29 luglio 2024, n. 21174).
1.2. Nella fattispecie in esame, la Commissione regionale ha chiaramente espresso le ragioni della decisione nei termini sopra illustrati, evidenziando l’ontologi ca differenza sussistente tra la cessione di quote e la cessione di azienda e negando che, in base alla nuova formulazione dell’art. 20 TUR, possa ancora darsi seguito ad un’interpretazione dell’atto in base agli interessi effettivamente perseguiti dalle parti.
Per tale via, la motivazione non può considerarsi apparente, mentre il motivo surrettiziamente cela, sotto tale canone censorio, le ragioni della non condivisione dell’apparato argomentativo offerto dal Giudice regionale, in termini quindi inammissibili e che disvelano un uso improprio del parametro prescelto.
Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 20 d.P.R. n. 131/1986, degli artt. 1362 e ss. c.c. e dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 2697 c.c., sostenendo che la riqualificazione dell’atto come cessione di azienda fosse coerente con la nuova versione dell’art. 20 d.P.R. n. 131/1986 (da ora anche TUR), giacchè « una cessione totale delle quote di una società a responsabilità limitata e del suo intero patrimonio, sottenda(e) l’alienazione della correlativa azienda, in quanto complesso di beni organizzati funzionalmente per l’esercizio dell’attività economica imprenditoriale’ (cfr. infra Cass. sez. trib. sent. n. 88 del 16/01/2019)» e «gli elementi che sono stati considerati in sede di tassazione sono contenuti nello stesso atto portato alla registrazione e rappresentano il contenuto stesso delle volontà contrattuali» (v. pagina n. 10 del ricorso), avendo quindi il Giudice errato nel ritenere che l’atto tassato avesse fatto riferimento ad altri atti precedenti, in quanto esso
si componeva di un negozio di cessione di quote e di un collegato contratto istitutivo della società RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Secondo l’Agenzia, dunque, «L’Ufficio non ha fatto altro che focalizzare l’attenzione sui reali effetti giuridici dell’atto di conferimento sottoposto a registrazione rispetto alla sua qualificazione giuridica ( nomen iuris ) ed alla sua forma apparente, privilegiando ragionevolmente il dato giuridico effettivo» fondando « la propria riqualificazione solo ed esclusivamente sull’atto sottoposto a registrazione, alla luce della causa reale del medesimo», in linea con la nuova formulazione dell’art. 20 TUR, che « impone di considerare la causa reale e la regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti , valorizzando la causa reale, il risultato giuridico finale del negozio sottoposto a tassazione » (v. pagina nn. 14 e 15 del ricorso).
2.1. Il motivo di impugnazione non ha fondamento ed anzi va dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 360 -bis. c.p.c., in quanto il provvedimento impugnato ha deciso la questione processuale di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte ed i motivi del ricorso non offrono elementi per mutare detto orientamento.
2.2. È superfluo ripercorrere analiticamente in questa sede l’evoluzione normativa ed interpretativa dell’art. 20 TUR, richiamata dal Giudice regionale e caratterizzata da interventi legislativi, del Giudice delle leggi ed anche da molteplici pronunce di questa Corte (tra le tante, Cass. n. 24941/2023; Cass. n. 33368/ 2023; Cass. n. 34955/2023; Cass. 34917/2023, Cass. 24647/2021).
La ragione specifica su cui l’Agenzia fonda la propria censura risiede nel fatto che in sede di riqualificazione, operata per intrinseco, dell’atto di cessione totalitaria delle quote in questione, emergerebbe comunque un risultato del tutto corrispondente a quello di cessione aziendale, e come tale tassabile in misura proporzionale.
Sennonchè, tale specifico ordine di idee è stato smentito da questa Corte, considerando che:
-« fermo restando che nella lettera e nella ratio dell’art. 20 Tur (‘L’imposta deve essere applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente’) sopravvive in effetti il basilare principio di prevalenza della sostanza sulla forma (e sul nomen attribuito dalle parti all’atto), va tuttavia considerato che questa prevalenza deve comunque originare (si è detto, per intrinseco vertendosi, de jure condito , di ‘imposta d’atto’) dalla valutazione degli ‘effetti giuridici’ e non economici dell’atto medesimo»;
-« sia sulla esclusiva rilevanza ex art. 20 in generale – degli effetti giuridici, sia sul fatto che -in particolare – sul piano appunto di questi effetti, quelli di trasferimento aziendale e di cessione totalitaria di quote sono negozi diversi e non riqualificabili il primo nel secondo, basterà richiamare la più recente giurisprudenza di legittimità che ha dato conto del mutato quadro applicativo», sottolineandosi « in Cass. 34917/23 che l’espediente riqualificatorio costituito dalla valorizzazione a fini tributari della causa ‘reale’ o ‘concreta’ del negozio (vale a dire, in sostanza, dei suoi effetti ‘economici’) è stato superato salva la peculiare ipotesi dell’abuso, qui neppure dedotta -proprio dalla Corte Costituzionale, la quale
ha avuto modo di osservare (sent. 158/20 cit.) che una siffatta valorizzazione non appare coerente con la sopravvenuta introduzione nell’ordinamento dell’articolo 10 -bis della legge 212 del 2000 »;
-« l’opera di classificazione e qualificazione negoziale deve essere finalizzata all’individuazione del regime di imposizione applicabile all’atto tenuto conto, da un lato, della sua intrinseca natura e dei suoi effetti giuridici (non economici) e, dall’altro, della sua atomistica ed autosufficiente analisi. Risultando in ciò insuperabile (Cass. da ultimo cit.) il fatto che ‘la cessione della partecipazione societaria, (…) non è produttiva degli effetti giuridici propri della cessione aziendale (…), discostandosene quanto ad estraneità di istituti tipici (v. artt. 2556 segg., 2112 cod.civ.)’»;
-« anche in linea con quanto desumibile dalla Relazione illustrativa all’art. 1 co. 87 l. 205/17 in ordine al reale intendimento del legislatore -il diverso oggetto del trasferimento (la partecipazione sociale in un caso, il compendio di beni organizzati ex art. 2555 cod. civ. dall’altro) nonchè la diversa disciplina alla quale tale oggetto è sotto vari profili sottoposto, anche mediante la previsione di istituti dedicati e caratterizzanti (la successione nei crediti-debiti e nei contratti; la responsabilità per i debiti aziendali; il divieto di concorrenza; il trasferimento delle posizioni lavorative ecc…) bastano a denotare la giuridica non assimilabilità, ex art. 20, della cessione aziendale a quella della partecipazione sociale, per quanto totalitaria; quest’ultima attributiva non di un compendio organizzato, quanto di un vero e proprio status (di socio) e del resto assoggettata ex lege ad imposta di registro in misura fissa (art. 11 tariffa parte prima all. d.P.R. 131/86) anche in ragione di vincoli unionali»;
-«Già si era osservato in Cass. n. 24647/21 che: ‘come ribadito anche dalla Consulta, non (si) deve ricercare pertanto un presunto effetto economico dell’atto tanto più se e quando – come nel caso di specie – lo stesso è il medesimo per due negozi tipici diversi per gli effetti giuridici che si vogliono realizzare»;
-« ancorché da un punto di vista economico si possa ipotizzare che la situazione di chi ceda l’azienda sia la medesima di chi cede l’intera partecipazione, posto che in entrambi i casi si “monetizza” il complesso di beni aziendali, si deve riconoscere che dal punto di vista giuridico le situazioni sono assolutamente diverse»;
-« il che ha trovato, da ultimo, ulteriore riscontro nell’assunto (Cass.n.7495/24) per cui: ‘(…) dovendo sempre darsi la prevalenza agli effetti giuridici sugli effetti economici del singolo atto. Pertanto, dovendo essere considerati soltanto gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, così come da esso desumibili, non può assumere rilevanza lo scopo economico perseguito dalle parti, quand’anche fosse quello di acquistare in via indiretta l’azienda della società compravenduta’, con affermazione del seguente principio di diritto: ‘Anche in caso di cessione totalitaria della partecipazione al capitale di una società di persone o di capitali, l’imposta di registro deve essere sempre liquidata in misura fissa ai sensi dell’art. 11 della tariffa – parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, essendo preclusa all’amministrazione finanziaria -in assenza di elementi extratestuali o atti collegati – la riqualificazione della fattispecie nei termini di cessione indiretta di azienda, in forza dell’art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (nel testo novellato dall’art. 1, comma 87, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, secondo
l’interpretazione autentica dell’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018 n. 145), restando estraneo a tale contratto, in coerenza con la sua «intrinseca natura» ed i suoi «effetti giuridici», il trasferimento dell’azienda appartenente alla società di persone o di capitali’» (così Cass. n. 10214/2024 e, nello stesso senso, Cass. n. 14031/2024 e Cass. 17628/2024 pure in controversia avente ad oggetto un caso di riqualificazione, quale cessione di azienda, dell’atto di cessione (totalitaria) del capitale sociale di RAGIONE_SOCIALE).
3. Anche il terzo motivo non può essere accolto.
Con esso l’Agenzia ha lamentato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo, dolendosi che la Corte territoriale non avrebbe esaminato il contratto di costituzione della RAGIONE_SOCIALE istituita al fine di condurre farmacie.
Sennonchè ed a tacer d’altro – la presunta omissione del predetto contenuto dell’atto costitutivo non può assumere alcun valore decisivo ai fini che occupano, sol considerando che la dedotta circostanza risulta funzionale alla ricerca della causa reale del negozio, del risultato economico finale del negozio sottoposto a tassazione, operazioni queste che, per le ragioni sopra svolte, non sono più consentite nell’interpretazione dell’atto da sottoporre a tassazione ai fini dell’imposta di registro.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo, con un unico compenso, stante l’unica difesa da parte dei difensori (cfr., ex multis , Cass. n. 1650/2022), e senza aumento delle competenze, non essendovi stato alcun ulteriore impegno difensivo in ragione della pluralità dei soggetti difesi.
5 . Ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., l’istante va condannata al pagamento, in favore della parte controricorrente, della somma di cui all’art. 96, terzo comma, c.p.c., equitativamente determinata secondo un multiplo delle spese di lite (cfr. Cass., Sez. III, 20 novembre 2020, n. 26435) nell’importo di 4.000,00 €, nonché, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c., al versamento in favore della cassa ammende della somma di 2.000,00 €.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenza delle Entrate al pagamento delle spese di lite, che liquida a favore della parte controricorrente nella misura di 4.000,00 €, nonché al pagamento in favore della medesima parte controricorrente della somma di cui all’art. 96, terzo comma, c.p.c., equitativamente determinata nell’importo di 4.000,00 €, nonché, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c., al versamento in favore della cassa ammende della somma di 2.000,00 €.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26