Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19974 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 19974 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 9553/2017 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-ricorrente-
contro
COPPOLA LIBETTA NOME COGNOME NOME e COPPOLA NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME NOME (domicilio digitale: EMAIL
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA PUGLIA, SEZIONE STACCATA DI LECCE, n. 661/2016 depositata il 10 marzo 2016
udita la relazione svolta nell’udienza pubblica del 4 giugno 2025 dal Consigliere COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale COGNOME COGNOME il quale ha concluso per la declaratoria
di estinzione parziale del processo con riguardo alle controversie tributarie aventi ad oggetto gli avvisi di accertamento relativi agli anni 1994 e 1995 e per il rigetto, nel resto, del ricorso; udito per la ricorrente l’avvocato generale dello Stato COGNOME FrancescoCOGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette di Lecce emetteva nei confronti di NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME cinque distinti avvisi di accertamento, dei quali due relativi all’anno 1995, uno al 1994, un altro al 1996 e un altro ancora al 1997.
Con tali atti venivano riprese a tassazione, ai fini dell’IRPEF, le plusvalenze asseritamente ottenute dai prefati contribuenti per effetto della vendita delle quote di partecipazione alla RAGIONE_SOCIALE detenute da NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME e dai suoi due figli NOME e NOME, le quali erano state da questi trasferite alla RAGIONE_SOCIALE con due successivi contratti stipulati il 19 dicembre 1994 e il 12 novembre 1996.
Secondo la tesi dell’Ufficio, la vendita frazionata delle suddette quote sarebbe stata compiuta in attuazione di un disegno elusivo ordito dalla famiglia COGNOME COGNOME, in assenza di valide ragioni economiche, al solo scopo di fruire del più favorevole regime fiscale previsto per le cessioni a titolo oneroso di partecipazioni non qualificate.
I contribuenti impugnavano gli avvisi di accertamento in parola spiegando cinque autonomi ricorsi dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Lecce, la quale, con altrettante sentenze di contenuto sostanzialmente identico, riconosceva la fondatezza delle loro ragioni e annullava gli atti impositivi.
I separati appelli successivamente proposti dall’Agenzia delle Entrate, previa loro riunione, erano dichiarati inammissibili
dall’adìta Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sezione staccata di Lecce, per ritenuto difetto di specificità dei motivi.
La decisione era, però, in sèguito cassata con rinvio da questa Corte con sentenza n. 10485/2014 del 14 maggio 2014, in accoglimento del primo, assorbente, motivo di ricorso per cassazione esperito dalla parte pubblica.
Il processo veniva, quindi, riassunto dinanzi al giudice del rinvio, individuato nella medesima CTR, in diversa composizione.
Con sentenza n. 661/2016 del 10 marzo 2016 la Commissione respingeva gli originari appelli dell’Amministrazione Finanziaria.
Contro questa pronuncia l’Agenzia delle Entrate ha proposto nuovo ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
In data 13 gennaio 2025 l’Agenzia delle Entrate ha depositato istanza di estinzione parziale del processo relativamente alle controversie tributarie aventi ad oggetto gli avvisi di accertamento n. 3371013553 (anno 1995), n. 3371013550 (anno 1994) e n. 3371013559 (anno 1995), dando atto che i contribuenti NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME hanno regolarmente definito le anzidette controversie avvalendosi, il primo, della procedura condonistica di cui all’art. 6 del D.L. n. 119 del 2018, convertito in L. n. 136 del 2018, la seconda, di quella prevista dall’art. 1, commi da 186 a 202, della L. n. 197 del 2022.
Il ricorso è stato chiamato all’odierna pubblica udienza per la discussione orale.
Nel termine di cui al comma 1 dell’art. 378 c.p.c. il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME ha depositato memoria, concludendo per il rigetto del ricorso.
Tali conclusioni sono state riformulate in udienza dall’organo requirente, nei termini riportati in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va anzitutto notato che nelle more del giudizio NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME hanno aderito alla definizione agevolata delle controversie tributarie prevista, rispettivamente, dall’art. 6 del D.L. n. 119 del 2018, convertito in L. n. 136 del 2018, e dall’art. 1, commi da 186 a 202, della L. n. 197 del 2022, con riguardo: (a)all’avviso di accertamento n. 3371013553 (anno 1995); (b)agli avvisi di accertamento n. 3371013550 (anno 1994) e n. 3371013559 (anno 1995).
1.1 Tanto emerge dalla comunicazione trasmessa dalla Direzione Provinciale di Lecce dell’Agenzia delle Entrate, la quale ha poi trovato sèguito nell’istanza di estinzione parziale del processo presentata dalla stessa Agenzia il 13 gennaio 2025.
1.2 Detta istanza va, pertanto, accolta, restando solo da precisare che, a mente dell’art. 6, comma 14, del D.L. n. 119 del 2018 e dell’art. 1, comma 202, della L. n. 197 del 2022, la definizione agevolata perfezionata da uno dei coobbligati giova in favore degli altri.
1.3 Il presente giudizio prosegue, dunque, per la decisione delle sole controversie riguardanti gli avvisi di accertamento n. 3371013552 (anno 1996) e n. 3371015749 (anno 1997).
1.4 Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è denunciata la violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4) del D. Lgs. n. 546 del 1992.
1.5 Si sostiene che l’impugnata sentenza risulterebbe affetta da nullità, siccome corredata di una motivazione solo apparente, non essendo dato comprendere dalla sua lettura perché le cessioni di quote della RAGIONE_SOCIALE poste in essere dalla famiglia COGNOME COGNOME non risulterebbero elusive della disciplina fiscale in materia di tassazione delle plusvalenze.
1.6 Il motivo è privo di pregio.
1.7 La CTR ha ritenuto infondato l’assunto dell’Ufficio secondo cui le
contestate cessioni di quote di partecipazione alla RAGIONE_SOCIALE sarebbero state eseguite in attuazione di un disegno elusivo finalizzato ad ottenere un indebito vantaggio fiscale.
1.8 A sostegno della soluzione accolta il collegio regionale ha osservato che le dette cessioni erano avvenute a distanza di due anni l’una dall’altra, arco temporale superiore a quello di dodici mesi indicato dall’art. 81, comma 1, lettera c), del TUIR, vecchia formulazione, e si riferivano a partecipazioni inferiori al 10 per cento, e quindi «non qualificate» agli effetti della norma citata.
Ha, inoltre, sottolineato che erano ravvisabili valide ragioni economiche, rappresentate dalla consistente differenza fra il valore nominale delle quote cedute e il corrispettivo percepito.
Nel descritto contesto, hanno ancora rilevato i giudici di seconde cure, non poteva trovare applicazione l’art. 10, comma 1, della L. n. 408 del 1990, come sostituito dall’art. 28 della L. n. 724 del 1994, il quale consente all’Amministrazione Finanziaria di «disconoscere i vantaggi tributari conseguiti in operazioni di concentrazione, trasformazione, scorporo, cessione di azienda, riduzione di capitale, liquidazione, valutazione di partecipazioni, cessione di crediti o cessione o valutazione di valori mobiliari poste in essere senza valide ragioni economiche allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio d’imposta» .
Gli stessi giudici non hanno, infine, mancato di precisare che incombeva sull’Amministrazione Finanziaria l’onere della prova dell’esistenza di un disegno elusivo realizzato attraverso modalità di manipolazione e alterazione degli schemi negoziali classici, nonchè dell’indebito beneficio fiscale derivatone, e che tale onere non era stato assolto.
1.9 Da quanto precede risulta palese come la motivazione della gravata sentenza sia tutt’altro che apodittica, fondandosi sulla ricognizione della disciplina normativa applicabile alla fattispecie esaminata, sull’accertamento delle circostanze rilevanti ai fini della
decisione e sul prudente apprezzamento delle prove offerte dalla parte pubblica onerata.
1.10 Essa, pertanto, attinge pienamente la soglia del cd. «minimo costituzionale» di cui all’art. 111, comma 6, della Carta fondamentale, che nel quadro normativo risultante dalle modifiche apportate all’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. dall’art. 54, comma 1, lettera b), del D.L n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, segna il limite entro il quale è ancora ammissibile il sindacato di legittimità sulla motivazione dei provvedimenti (cfr. Cass. Sez. Un. nn. 8053-8054/2014).
1.11 Sul punto si reputa opportuno ribadire quanto già più volte affermato da questa Corte regolatrice, ovvero che il nuovo testo del citato art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. è applicabile anche al ricorso per cassazione avverso una sentenza emessa a sèguito di rinvio disposto a norma dell’art. 383 c.p.c. (cfr. Cass. n. 26654/2014, Cass. n. 10693/2016, Cass. n. 31051/2022, Cass. n. 15349/2024). 2. Con il secondo motivo, introdotto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono lamentate la violazione e la falsa applicazione
dell’art. 81 del D.P.R. n. 917 del 1986.
2.1 Si argomenta che avrebbe errato la CTR nell’escludere che le quote della RAGIONE_SOCIALE alienate da NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME in favore della RAGIONE_SOCIALE con atti del 19 dicembre 1994 e del 12 novembre 1996 dovessero essere valutate in modo unitario e globale, al fine di appurare se si fosse o meno realizzata la cessione di partecipazioni qualificate.
2.2 La censura è infondata.
2.3 La norma summenzionata, nel testo applicabile «ratione temporis» , così recita:
«Sono redditi diversi, se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, nè in relazione alla qualità di lavoratore dipendente:
…le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali, escluse quelle acquisite per successione, superiori al 2, al 5 o al 10 per cento del capitale della società secondo che si tratti di azioni ammesse alla borsa o al mercato ristretto, di altre azioni o di partecipazioni non azionarie. La percentuale di partecipazione è determinata tenendo conto di tutte le cessioni effettuate nel corso di dodici mesi ancorché nei confronti di soggetti diversi (…)» .
2.4 Dal chiaro tenore letterale della norma si ricava che le cessioni cumulabili fra loro al fine di stabilire se le partecipazioni non azionarie alienate superino il limite del 10 per cento del capitale sociale, oltre il quale devono ritenersi «qualificate», sono soltanto quelle «effettuate nel corso di dodici mesi ancorché nei confronti di soggetti diversi» .
2.5 Nel caso in esame, dopo aver accertato in fatto che le singole quote vendute da NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME non superavano la soglia del 10 per cento nell’arco temporale di dodici mesi, la CTR ha negato la possibilità di cumulare le varie cessioni allo scopo di verificare se le stesse, globalmente considerate, avessero dato luogo al trasferimento di una partecipazione qualificata.
2.6 La decisione adottata dalla Commissione regionale appare giuridicamente corretta.
2.7 La «ratio» del menzionato art. 81 (ora 67), comma 1, lettera c), del TUIR è quella di evitare che il titolare di partecipazioni societarie qualificate possa, mediante plurime cessioni poste in essere nell’arco temporale di dodici mesi, anche in favore di soggetti diversi, sottrarsi alla tassazione della plusvalenza ottenuta. 2.8 La disposizione in commento, come innanzi ricordato, considera redditi diversi soggetti all’imposta sostitutiva di cui all’art. 5, comma 2, del D. Lgs. n. 461 del 1997- soltanto le plusvalenze realizzate mediante la cessione onerosa di partecipazioni
«qualificate», per tali dovendo intendersi quelle «superiori al 2, al 5 o al 10 per cento del capitale della società secondo che si tratti di azioni ammesse alla borsa o al mercato ristretto, di altre azioni o di partecipazioni non azionarie».
2.9 Onde impedire il facile aggiramento della disciplina fiscale, si è espressamente previsto che le cessioni fatte dallo stesso contribuente nel corso di dodici mesi, pur se in favore di soggetti diversi, debbano essere valutate nel loro insieme per accertare se sia stato o meno superato l’anzidetto limite del 2, del 5 o del 10 per cento del capitale della società partecipata.
2.10 La lettera della norma non autorizza, tuttavia, la diversa interpretazione propugnata dall’Ufficio, secondo la quale, sempre ai fini della verifica in questione, andrebbero fra loro cumulate anche le cessioni contestuali di partecipazioni societarie compiute nell’indicato periodo di tempo da più persone con un unico atto.
2.11 Appaiono, in proposito, condivisibili le osservazioni svolte dal Pubblico nella memoria ex art. 378, comma 1, c.p.c., in cui è stato sottolineato che <> , mentre <> .
2.12 In maniera altrettanto condivisibile l’organo requirente ha messo in risalto che: <> ; -<> .
2.13 Non giova alla contraria tesi sostenuta dall’Agenzia delle Entrate il precedente giurisprudenziale di legittimità da essa richiamato, costituito dalla sentenza n. 9602/2003, con la quale è stato enunciato il seguente principio di diritto: «In tema di imposte sui redditi, posto che ai sensi dell’art. 81, 1° comma, lett. c), D.P.R. n. 917 del 22 dicembre 1986sono ‘redditi diversi’ le ‘plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate’ e che, per assumere rilievo fiscale, è necessario che la cessione delle azioni riguardi ‘una partecipazione al capitale’ di importo ‘superiore al cinque per cento’, detta percentuale ‘è determinata tenuto conto di tutte le cessioni effettuate nel corso di dodici mesi, ancorché nei confronti di soggetti diversi’; ove tali cessioni si realizzino nell’àmbito di una operazione di fusione per incorporazione, la quale finisca per coinvolgere complessivamente la suddetta percentuale di partecipazione, costituiscono plusvalenze tassabili ai sensi della citata norma le cessioni frazionate di quote azionarie da parte dei vari singoli soci, anche se singolarmente prese non raggiungano la suddetta percentuale» .
2.14 Trattasi, invero, di pronuncia resa con riferimento a fattispecie peculiare non sovrapponibile a quella che qui ci occupa.
Con il terzo mezzo, inquadrato nel paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è prospettata la violazione dell’art. 10 della L. n. 408 del 1990, dell’art. 37 -bis del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 2697 c.c..
3.1 Si censura la gravata decisione per aver erroneamente ritenuto che le contestate cessioni fossero giustificate da valide ragioni economiche, costituite dalla «notevole differenza tra il valore nominale delle quote cedute ed il corrispettivo conseguito» .
3.2 I giudici regionali avrebbero, infatti, tralasciato di considerare che negli anni oggetto di accertamento NOME COGNOME NOME
NOME e NOME COGNOME erano soci sia della RAGIONE_SOCIALE che della RAGIONE_SOCIALE
3.3 Il motivo è infondato.
3.4 Ai sensi dell’art. 10, comma 1, della L. n. 408 del 1990, sostituito dall’art. 28 della L. n. 724 del 1994 e applicabile «ratione temporis» all’odierna controversia, «è consentito all’amministrazione finanziaria disconoscere i vantaggi tributari conseguiti in operazioni di concentrazione, trasformazione, scorporo, cessione di azienda, riduzione di capitale, liquidazione, valutazione di partecipazioni, cessione di crediti o cessione o valutazione di valori mobiliari poste in essere senza valide ragioni economiche allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio d’imposta» .
3.5 La norma è stata poi trasfusa con alcune modifiche nei primi tre commi dell’art. 37 -bis del D.P.R. n. 600 del 1973, introdotto dall’art. 7, comma 1, del D. Lgs. n. 358 del 1997, in vigore dall’8 novembre 1997, in sèguito abrogato e sostituito dall’art. 10 -bis della L. n. 212 del 2000.
3.6 Ciò posto, va tenuto presente che, per consolidato orientamento nomofilattico, il divieto di abuso del diritto in materia tributaria si traduce in un principio generale antielusivo che preclude al contribuente il raggiungimento di benefici fiscali mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici.
3.7 Per quanto, in particolare, concerne i tributi non armonizzati (fra i quali rientra l’IRPEF), tale principio trova fondamento in quelli costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, oltre che nella raccomandazione n. 2012/772/UE sulla pianificazione fiscale aggressiva, e non contrasta con il
principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge medesima, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali (cfr. Cass. Sez. Un. n. 30055/2008, Cass. n. 3938/2014, Cass. n. 11529/2018, Cass. n. 26505/2021, Cass. n. 8297/2022, Cass. n. 4631/2023, Cass. n. 14674/2024).
3.8 Sul tema in discussione è stato puntualizzato che incombe sull’Amministrazione Finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a un indebito risparmio d’imposta, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate (cfr. Cass. n. 16675/2016, Cass. n. 5090/2017, Cass. n. 18769/2020, Cass. n. 17743/2021).
3.9 Orbene, nel caso in esame, il collegio d’appello ha osservato che sussistevano «effettive ragioni economiche sottese alle effettuate operazioni negoziali» , individuabili nella «notevole differenza tra il valore nominale delle quote cedute ed il corrispettivo conseguito» , traendone la conclusione dell’inapplicabilità della norma recata dall’art. 10, comma 1, della L. n. 408 del 1990, per essere le suddette operazioni spiegabili «altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta» .
3.10 Nel percorso argomentativo seguìto dalla CTR non si ravvisa il dedotto «error in iudicando» , avendo essa acclarato che le cessioni di partecipazioni societarie di cui si discetta non erano puramente artificiose e prive di sostanza economica e che l’Agenzia delle Entrate, sulla quale incombeva il relativo onere probatorio, non era riuscita a dimostrare la loro natura abusiva; né in questa sede può essere sindacato l’apprezzamento di merito espresso dai giudici «a
quibus» .
Tirando le fila del discorso fin qui condotto, sulle conformi conclusioni del Pubblico Ministero, come riformulate in udienza:
-deve essere dichiarata l’estinzione del processo, ai sensi dell’art. 6, comma 13, primo periodo, del D.L. n. 119 del 2018 e dell’art. 1, comma 198, primo periodo, della L. n. 197 del 2022, relativamente alle controversie riguardanti, rispettivamente, l’avviso di accertamento n. 3371013553, anno 1995, e gli avvisi di accertamento nn. 3371013550 e 3371013559, anni 1994 e 1995;
-va respinto, nel resto, il ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle Entrate.
Le spese relative alle controversie oggetto di definizione agevolata restano a carico delle parti che le hanno anticipate, giusta quanto disposto dall’art. 6, comma 13, ultimo periodo, del D.L. n 119 del 2018 e dall’art. 1, comma 198, secondo periodo, della L. n. 197 del 2022.
5.1 Le ulteriori spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Non deve farsi luogo all’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, essendo l’Agenzia delle Entrate esentata, mediante il meccanismo della prenotazione a debito previsto in favore delle amministrazioni pubbliche ( arg. ex artt. 12, comma 5, del D.L. n. 16 del 2012, convertito in L. n. 44 del 2012, e 158, comma 1, lettera a, del D.P.R. n. 115 del 2002), dal pagamento delle imposte e tasse gravanti sul processo (cfr. Cass. n. 4752/2025, Cass. n. 28204/2024, Cass. n. 27301/2016).
P.Q.M.
La Corte dichiara estinto il processo, ai sensi dell’art. 6, comma 13, primo periodo, del D.L. n. 119 del 2018, convertito in L. n. 136 del
2018, e dell’art. 1, comma 198, primo periodo, della L. n. 197 del 2022, relativamente alle controversie tributarie aventi ad oggetto gli avvisi di accertamento nn. NUMERO_CARTA e NUMERO_CARTA; rigetta, nel resto, il ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle Entrate; condanna la predetta Agenzia, in persona del Direttore pro tempore , a rifondere alla controparte le spese del presente giudizio di legittimità inerenti alle controversie tributarie non oggetto di definizione agevolata, liquidandole in complessivi 5.200 euro (di cui 200 per esborsi), oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione