Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33123 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33123 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
Oggetto:
Tributi
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 21829/2016 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante COGNOME COGNOME, rappresentata e difesa da ll’ avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso il domicilio digitale PEC EMAIL, come da procura speciale in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-resistente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n. 272/38/2016, depositata il 25.02.2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTR del Piemonte rigettava l’ appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della CTP di Torino, che aveva rigettato il ricorso proposto dalla predetta contribuente avverso l’avviso di accertamento, con il quale l’Agenzia delle entrate aveva disconosciuto il contratto di cessione di ramo d’azienda, concluso dalla società nell’anno 2009, riqualificandolo in cessione di singoli beni, da assoggettare ad IVA;
dalla sentenza impugnata si evince, per quanto ancora qui rileva, che:
secondo la sentenza di primo grado, i beni ceduti dalla contribuente alla RAGIONE_SOCIALEerano rappresentati da immobili (qualificati peraltro come merce) e dalle corrispondenti passività rappresentante da mutui gravanti su di essi ‘ e ‘nessun bene strumentale né attività organizzativa imprenditoriale caratterizzava il conferimento …’;
la cessione riguardava un coacervo di beni che da soli non potevano essere qualificati come cessione di ramo di azienda; ciò era confermato dal fatto che nella perizia di stima non era stato considerato l’avviamento che, invece, ‘rappresentando la capacità dei beni conferiti di produrre reddito, costituisce una qualità fondamentale in caso di trasferimento di azienda ‘;
la società contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato ad un unico articolato motivo;
-l’Agenzia delle entrate si costituiva al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione .
CONSIDERATO CHE
Preliminarmente va rigettata l’istanza della ricorrente di discussione in pubblica udienza, atteso che ‘In tema di giudizio di cassazione, per effetto delle novità introdotte nell’art. 380 bis c.p.c. dal d.l. n. 168 del 2016, conv., con modif., dalla l. n. 197 del 2016, sull’istanza di fissazione dell’udienza proposta ai sensi dell’art. 391, comma 3, c.p.c.
può essere disposta la trattazione del ricorso in camera di consiglio, per essere riservata alla pubblica udienza la decisione delle sole questioni di diritto aventi rilievo nomofilattico’ (Cass. n. 2647 del 2/02/2018);
ciò posto, con l’unico motivo di ricorso, la contribuente deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, 2555 cod. civ. e 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto la CTR si è limitata a riprodurre le considerazioni espresse dall’Agenzia delle entrate , senza esaminare le censure mosse dalla ricorrente, e ha errato nell’interpretare la perizia di stima, dalla quale si evinceva che il conferimento dei beni era stato effettuato secondo il metodo patrimoniale puro che esclude la valorizzazione dell’avviamento ; rileva, inoltre, che la mancanza di avviamento non esclude comunque la capacità dei beni trasferiti di produrre reddito e che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, il mancato trasferimento di immobilizzazioni, di beni strumentali e di personale, non è sufficiente per affermare la mancanza di autonomia organizzativo -strutturale del ramo d’azienda e per escludere la potenziale attitudine del patrimonio immobiliare ceduto a svolgere attività d’impresa , essendo quest’ultima comprovata dal precedente utilizzo di detto patrimonio nell’esercizio della medesima attività di impresa ed essendo l’attuale asserita ‘sterilità’ organizzativa della cessionaria totalmente imputabile alle ostili condizioni di mercato;
il motivo è inammissibile;
a prescindere dai profili di carenza di specificità ed autosufficienza del motivo, la ricorrente deduce solo apparentemente una violazione di norme di legge, ma in realtà mira alla rivalutazione dei fatti, operata dal giudice di merito, che ha accertato come la cessione del
ramo d’azienda dovesse essere qualificata come cessione di singoli beni, fondando tale accertamento su una serie di dati compiutamente descritti nella sentenza impugnata, anche mediante il richiamo ad alcuni passi della motivazione della sentenza di primo grado, evincibili dallo stesso contenuto dell’atto di cessione (i beni conferiti erano rappresentati da immobili, qualificati come beni merce, e dalle corrispondenti passività, rappresentate dai mutui gravanti sugli stessi; non era stato trasferito alcun bene strumentale e il conferimento non era caratterizzato da attività organizzativa imprenditoriale; la possibilità di produrre reddito attraverso la cessione dei beni ceduti non valeva a qualificare lo stesso come reddito d’impresa, ma semplicemente come reddito di fabbricati o come plusvalenza da cessione; la mancanza di un’autonoma organizzazione dei beni ceduti per l’esercizio dell’impresa era comprovata dal mancato trasferimento di immobilizzazioni, di eventuali rapporti giuridici e beni strumentali; la cessionaria, poi, non aveva personale impiegato);
la ricorrente prospetta, quindi, non l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla esclusiva valutazione del giudice di merito ( ex multis , Cass. n. 3340 del 5/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017);
in conclusione, il ricorso va rigettato e nulla va disposto sulle spese nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, non avendo la stessa svolto difese.
La Corte rigetta il ricorso;
ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 9 ottobre 2024