Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33109 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33109 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 6429/2016 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’ avvocato NOME COGNOME come da procura speciale in calce al ricorso (PEC EMAIL);
-ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 3514/13/2015, depositata il 29.07.2015. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 ottobre 2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
-La CTR della Lombardia accoglieva l’ appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della CTP di Milano, che
Oggetto:
Tributi
aveva accolto il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso l’avviso di a ccertamento, con il quale veniva recuperata l’ IVA ritenuta indebitamente detratta, per l’anno 20 06;
dalla sentenza impugnata si evince, per quanto ancora qui rileva, che:
il recupero riguardava l’atto di cessione, con il quale la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione aveva ceduto alla RAGIONE_SOCIALE un complesso immobiliare sito nel Comune di Bonate Sopra, riqualificato dall’Agenzia delle entrate come cessione di ramo d’azienda e, quindi, assoggettato solo ad imposta di registro e non ad IVA, con conseguente disconoscimento della detrazione IVA in capo alla contribuente cessionaria;
il motivo di appello relativo all’illegittimità del raddoppio dei termini dell’accertamento era infondato, in quanto si trattava di termini fissati dalla legge, operanti automaticamente in presenza dell’obbligo di denuncia penale per reati tributari previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, a prescindere dalla fondatezza o meno della denuncia;
-l’ulteriore profilo di illegittimità del raddoppio dei termini per la posteriorità della denuncia penale rispetto all’avviso di accertamento, era inammissibile, in quanto eccepito dalla società appellante solo con l’appello incidentale e, quindi, precluso ai sensi dell’art. 57 del d. lgs. n. 546 del 1992;
-l’atto di vendita non aveva riguardato solo gli immobili (terreno e capannone artigianale), ma anche una pluralità di beni accessori, come si desumeva dal contratto stesso (‘fabbricato…dotato altresì di tutti gli accessori’ ) e dalla condotta tenuta dalla contribuente in sede di procedura fallimentare, in occasione della quale aveva censurato le modalità approssimative con le quali era stato redatto l’elenco di detti beni accessori;
accertata la cessione anche di beni accessori, era configurabile la possibilità per la società acquirente di svolgere attività d’impresa mediante i beni trasferiti, essendo ininfluente la circostanza del lungo tempo trascorso tra il fallimento della cedente e la data della cessione, considerato che si trattava di attività immobiliare, caratterizzata da una marginale componente tecnologica dei mezzi di produzione, con un tasso di obsolescenza più limitato, tale da non escludere la possibilità di una ripresa dell’attività del la cedente, fondata, in via maggioritaria, sui beni mobili e immobili acquisiti con l’operazione contestata;
la società contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;
-l’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo, la contribuente deduce , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione delle norme del processo tributario, in particolare del divieto dello ius novorum ex art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, per avere la CTR errato nel considerare nuova una mera argomentazione difensiva, formulata dalla contribuente con l’appello incidentale e riguardante il rilievo sulla tardiva presentazione della denuncia penale, avvenuta successivamente alla notificazione dell’avviso di accertamento, come era stato evidenziato anche dal primo giudice.
-con il secondo motivo, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione de ll’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, per non avere la CTR rilevato la mancanza dei presupposti per la presentazione della denuncia penale e la tardività nell’invio di detta denuncia.
il secondo motivo che, per il principio della ‘ragione più liquida’ ( ex plurimis , Cass. Sez. Un. n. 9936 dell’8/05/2014; Cass. n. 3519 del
6/02/2023; n. 3056 del 2/02/2024), in deroga all’ordine di prospettazione dei motivi, va esaminato per primo, è infondato, con conseguente assorbimento del primo motivo.
come ha già affermato da questa Corte, «in tema di accertamento tributario, i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza» , come peraltro stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 25 luglio 2011, n. 247, «senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31.12.2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati» (Cass. n. 16728 del 2016; Cass. n. 26037 del 2016);
nelle citate pronunce questa Corte ha avuto cura di precisare che «non di raddoppio dei termini in senso proprio si tratta, bensì di un nuovo termine di decadenza », applicabile in ipotesi di sussistenza di seri indizi di reità, che costituisce un dato obiettivo non lasciato alla discrezionalità del funzionario dell’ufficio tributario, ma che deve essere accertato dal giudice;
tale raddoppio non è escluso dalla configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, né dalla intervenuta archiviazione della denuncia, non rilevando «né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale,
anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (in termini, Cass. 15 maggio 2015, n. 9974)» (Cass. n. 16728/16, cit.);
è estraneo, inoltre, al perimetro del presente giudizio lo ius superveniens , consistente nelle modifiche introdotte, dapprima, dall’art. 2, primo e secondo comma, del d.lgs. 3 agosto 2015, n. 128, che ha limitato il raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la denuncia è effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento, e, in seguito, dall’art. 1, commi da 130 a 132, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, che hanno, tra le altre disposizioni, eliminato la fattispecie del raddoppio dei termini ordinari; la prima modifica, infatti, in virtù dell’apposita norma di salvaguardia prevista dall’art. 2, d.lgs. n. 128 del 2015, non si applica alle violazioni punibili constatate in processi verbali notificati prima del 2 settembre 2015 e seguite dalla notifica di atti impositivi entro il 31 dicembre 2015, quali sono quelle in oggetto, in cui la notifica dell’avviso di accertamento, relativo all’anno 2006, è intervenuta nel 2012;
quanto alla seconda modifica, invece, il regime transitorio previsto dalla legge n. 208 del 2015, per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016 – secondo cui il raddoppio dei termini di accertamento, quali stabiliti dal secondo periodo del comma 132, opera, nel caso delle indicate violazioni penali, solo a condizione che la denuncia penale sia presentata o trasmessa dall’Amministrazione finanziaria entro il termine stabilito nel primo periodo del medesimo comma 132 – riguarda solo le fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio, cioè i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo (o di irrogazione di sanzioni) entro il 2 settembre 2015, in quanto, ai sensi dell’art. 3, secondo comma, del d.lgs. n. 128 del
2015, sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle Entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore di tale decreto (Cass. 16/12/2016, n. 26037; 9/08/2016, n. 16728);
ciò premesso, secondo la disciplina applicabile alla fattispecie concreta, il raddoppio dei termini deriva, pertanto, dal mero riscontro di fatti comportanti “l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p.’, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o, di condanna (Cass. 30/05/2016, n. 11171);
la Corte costituzionale (sentenza n. 247/2011) ha, infatti, affermato che l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicché «il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta «prognosi postuma») circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’Amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento» ;
la CTR ha fatto corretta applicazione delle norme come interpretate da questa Corte, posto che nell’avviso di accertamento, come ha indicato la stessa ricorrente, era stato contestato il reato di cui all’art.
4 del d.lgs. n. 74 del 2000 , essendo irrilevante l’eventuale trasmissione successiva della relativa denuncia all’autorità giudiziaria; -con il terzo motivo, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione delle norme in materia di cessione di azienda e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio con riferimento alla sussistenza degli elementi essenziali volti all’individuazione dell’esistenza di una azienda , per avere la CTR configurato la possibilità, per la società acquirente, di svolgere attività di impresa sulla base di elementi non provati, quale l’avvenuto trasferimento di beni accessori, senza verificare la sussistenza dei requisiti stabiliti dall’art. 2555 cod. civ., e per avere omesso di considerare che la società acquirente era una società immobiliare che non aveva bisogno di acquistare l’attività di soggetti terzi per svolgere quanto già previsto dal proprio oggetto sociale e che i beni della società venditrice, anch’essa una società immobiliare, erano verosimilmente danneggiati, essendo stata la cedente sottoposta a procedura fallimentare per oltre venti anni;
– il motivo è fondato;
poiché le leggi fiscali non dettano una nozione di azienda, occorre fare riferimento alle norme civilistiche e, in particolare, all’art. 2555 cod. civ. che definisce l’azienda come il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa, dovendosi verificare, quindi, se i beni ceduti, considerati nel loro insieme, costituiscano un’organizzazione autonoma idonea a consentire di esercitare un’attività imprenditoriale;
questa Corte ha più volte affermato, in tema di distinzione tra assoggettabilità ad imposta di registro della cessione d’azienda e assoggettabilità ad IVA della cessione di singoli beni, che, in presenza di una cessione di beni atti, nel loro complesso e nel loro collegamento, all’esercizio d’impresa, si deve ravvisare una cessione
d’azienda soggetta ad imposta di registro, mentre solo la cessione di singoli beni, inidonei di per sé ad integrare la potenzialità produttiva propria dell’impresa, deve essere assoggettata ad IVA (Cass. n. 897 del 25/01/2002; Cass. n. 23857 del 19/11/2007; Cass. n. 1405 del 22/01/2013; Cass. n. 10740 del 08/05/2013);
la cessione di azienda si ha anche nel caso in cui i beni ceduti nella loro complessità siano potenzialmente utilizzabili per attività d’impresa, senza che abbia rilievo il requisito «dell’attualità dell’esercizio dell’impresa né la mancata cessione delle relazioni finanziarie, commerciali e personali» (Cass. n. 9162 del 16/04/2010; Cass. n. 27290 del 17/11/2017);
– a tale proposito è stato precisato che non occorre che la cessione riguardi la totalità dei beni aziendali o di un determinato ramo aziendale, essendo sufficiente che il complesso degli elementi trasferiti conservi un residuo di organizzazione che ne dimostri l’attitudine, sia pure con la successiva integrazione del cessionario, all’esercizio dell’impresa, dovendo comunque trattarsi di un insieme organicamente finalizzato ex ante all’esercizio dell’attività d’impresa ( ex multis , Cass. n. 22710 del 25/09/2018; n. 34858 del 17/11/2021; n. 22327 del 15/07/2022);
in altri termini, per qualificare il trasferimento come cessione d’azienda o di ramo d’azienda, non è necessaria la cessione di tutti gli elementi che normalmente costituiscono l’azienda, ma occorre verificare se nel complesso dei beni ceduti permanga un residuo di organizzazione, che costituisca un insieme organicamente finalizzato ex ante all’esercizio dell’attività d’impresa, di per sé idoneo a consentire l’inizio o la continuazione di quella determinata attività (Cass. n. 21481 dl 9/10/2009, n. 9575 dell’11/05/2016; n. 22327/2022 cit.);
-con specifico riferimento al trasferimento del ramo d’azienda, previsto dall’art. 2112 cod. civ., poi, la giurisprudenza di questa Corte, formatasi in ambito lavoristico, ha chiarito che, anche in relazione al testo modificato dall’art. 32 del d.lgs. n. 276 del 2003, costituisce elemento costitutivo della cessione l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione ( ex multis , Cass. n. 28593 dell’8/11/2018; Cass. n. 19034 del 31/07/2017);
l’elemento costitutivo dell’autonomia funzionale va poi integrato con il requisito della preesistenza, anche in armonia con la giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo la quale l’impiego del termine “conservi” nell’art. 6, par. 1, commi 1 e 4 della direttiva 2001/23/CE, “implica che l’autonomia dell’entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento” (Corte di Giustizia, 6 marzo 2014, C458/12; Corte di Giustizia, 13 giugno 2019, C-664/2017; Cass. n. 22249 del 4/08/2021; Cass. n. 11678 dell’11/04/2022);
la CTR non ha effettuato una corretta ricognizione degli elementi legali identificativi del trasferimento del ramo d’azienda, non avendo verificato se, in concreto, alla luce dei principi prima indicati, il complesso dei cespiti ceduti fosse effettivamente idoneo a consentire l’autonomo esercizio dell’attività imprenditoriale da parte della società cessionaria, tenuto conto anche del fatto che la società cedente era stata dichiarata fallita e che era trascorso un notevole lasso temporale tra la dichiarazione di fallimento e la data della cessione;
– in applicazione dei principi sopra richiamati, quindi, va accolto il terzo motivo di ricorso, va rigettato il secondo motivo e dichiarato assorbito il terzo; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado territorialmente competente, in diversa composizione, per nuovo esame.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il secondo motivo e dichiara assorbito il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 9 ottobre 2024