Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5253 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5253 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21159/2018 R.G. proposto da :
COGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della LIGURIA-GENOVA n. 52/2017 depositata il 17/01/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
1. Dalla sentenza in epigrafe si evince in punto di fatto che
TRAVERSO NOME ricorreva avverso l’avviso con il quale, ex art. 41 bis del DPR. n. 600/73, era accertata ai fini Irpef la plusvalenza di € 325.117,58, e, ai fini Iva, la omessa fatturazione di quanto realizzato a seguito della vendita d immobile per € 1.015.117,58, il tutto a seguito delle operazioni commerciali (aumento di capitale, stipula di mutuo, cessione di quote, cessione di RAGIONE_SOCIALE, accollo di mutuo fondiario e nuova cessione dell’RAGIONE_SOCIALE) poste in essere rispettivamente in data 13.07.204 e 10.06.2005 .
A sua volta, il ricorso riferisce che
il 13 luglio 2004 il ricorrente rilevava l’azienda della “RAGIONE_SOCIALE” (”Azienda”), società posseduta dai coniugi NOME e NOME COGNOME (”Signori Ferrari”) per euro 130.000 e, dopo circa un anno (il 10 giugno 2005), la rivendeva (alla “RAGIONE_SOCIALE) per euro 150.000 (“Cessione di Azienda”), realizzando una plusvalenza di 20.000 euro.
In precedenza:
i signori COGNOME (luglio 2004), avevano conferito l’immobile adibito all’esercizio dell’Azienda (“Immobile”) nella società del ricorrente (“RAGIONE_SOCIALE“) e ceduto a quest’ultimo le quote ricevute ;
il signor COGNOME aveva, a sua volta, venduto le Quote (acquistate dai Signori COGNOME) alla signora NOME COGNOME per l milione di euro (più precisamente euro 1.015.117,58).
Maggiori elementi di dettaglio si evincono dal controricorso, a termini del quale, l ‘avviso di accertamento scaturiva da una verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza-Comando Compagnia di Chiavari, conclusasi con p.v.c. redatto in data 24.07.2009.
Nell’ambito delle attività ispettive condotte nei confronti del Sig. COGNOME venivano acquisiti alcuni atti redatti in data 13/07/2004 presso il Notaio .
Detti atti avevano ad oggetto un’operazione condotta attraverso i seguenti negozi:
In data 13/07/2004, i sig.ri COGNOME NOME e COGNOME Stefano sottoscrivono l’aumento di capitale della RAGIONE_SOCIALE per € 710.000,00, mediante conferimento dell’immobile sito in Rapallo denominato “RAGIONE_SOCIALE“, pagando un’imposta di registro in misura fissa di € 129,11.
In data 13/07/2004, il sig. COGNOME stipulava un mutuo con il banco San Giorgio per € 1.200.000,00, concedendo a garanzia del capitale l’ipoteca sull’immobile appena conferito nella società.
In data 13/07/2004, i sig.ri COGNOME NOME e COGNOME NOME cedevano al Sig. COGNOME le quote appena avute nella società RAGIONE_SOCIALE al prezzo di € 710.000,00.
In data 13/07/2004, ovvero contestualmente al conferimento dell’immobile, alla stipula del mutuo ed alla cessione delle quote appena sottoscritte, avveniva altresì la cessione da parte dei Sig.ri COGNOME dell’azienda “RAGIONE_SOCIALE” al Sig. COGNOME ad un prezzo di € 130.000,00.
In data 10/06/2005, l’ex moglie del Sig. COGNOME NOMECOGNOME si accollava il mutuo fondiario stipulato dallo stesso per un importo di € 1.165.117,58, in corrispettivo della cessione di quote della RAGIONE_SOCIALE
In data 10/06/2005, ovvero contestualmente alla cessione delle quote, l’azienda “RAGIONE_SOCIALE” veniva ceduta alla RAGIONE_SOCIALE società amministrata dalla Sig.ra COGNOME per € 150.000,00, importo pagato sempre mediante accollo del mutuo da parte della stessa.
Sempre nell’ambito delle attività ispettive condotte nei confronti del Sig. COGNOME veniva, poi, richiesta l’autorizzazione ad acquisire, ai sensi dell’art. 32 comma 1, n. 7 del D.P.R. 600/73 e 51 comma 2, n.7 del D.P.R. 633/1972, informazioni presso le banche e la società RAGIONE_SOCIALE
Dall’analisi dei conti correnti intestati risultava non giustificata e quindi da recuperare a tassazione, per l’anno 2005, la somma di € 27.012,59.
1.1. In esito alle superiori attività della GdF, veniva emesso l’avviso per cui è causa, mediane il quale l’Agenzia, come da ricorso,
contestava all’esponente:
-di aver effettuato le operazioni sopra descritte in veste di imprenditore ;
che la intervenuta cessione di quote doveva considerarsi una “cessione di immobile” con conseguente:
— riconduzione della relativa plusvalenza – determinata in euro 325.117,58 (“Plusvalenza”) – nel reddito d’impresa, e correlativo suo assoggettamento:
Iperf per euro 142.121
ad addizionale regionale Irpef euro 3.155
— imponibilità ad IVA del relativo corrispettivo, e correlativa pretesa di euro 205.725.
La CTP di Genova, adita impugnatoriamente dal contribuente, con sentenza n. 1846/10/2014 del 30 settembre 2014, accoglieva in parte il ricorso, ‘evidenziando preliminarmente -citasi da controricorso -‘la mancata impugnazione del recupero afferente le movimentazioni bancarie non giustificate per € 27.012,59 e ritenendo, per il resto, violato l’art. 37-bis DPR 600/73’. In particolare come da sentenza in epigrafe -la CTP, ‘ritenuto che un accertamento basato sul principio dell’abuso del diritto, emesso in assenza delle garanzie procedurali di cui all’art. 37-bis del DPR. n. 600173, fosse nullo, confermando il recupero afferente l’importo di € 27.012,59 a titolo di movimentazioni finanziarie non giustificate, in parziale accoglimento del gravame, annullava i recuperi effettuati basandosi sul principio dell’abuso del diritto, con compensazione delle spese’.
Proponeva appello l’Agenzia delle entrate, ‘eccependo, in diritto, la violazione e falsa applicazione dell’art. 37-bis del DPR n. 600173, alla luce anche di quanto statuito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 30055/2008, confermando
comunque nel merito la piena legittimità dei recuperi effettuati in presenza di operazion elusive’.
3.1. L’appello veniva accolto dalla CTR della Liguria, con la sentenza in epigrafe, sulla base della seguente motivazione:
Come è dato evincere dall’avviso di accertamento (cfr. pag. 5) l’Ente impositivo ha emesso nei riguardi del contribuente l’avviso di accertamento in questione, facendo espresso richiamo alle previsioni dettate dall’art. 41-bis del DPR. n. 600/73, per cui nessuno specifico adempimento, oltre quelli compiuti, doveva essere obbligatoriamente eseguito nell’adozione dell’atto.
Le garanzie, a cui i Primi Giudici hanno fatto esplicito riferimento, tanto da ritenere nullo l’accertamento, si sarebbero rese necessarie esclusivamente nell’ipotesi in cui l’Ufficio avesse motivato l’avviso richiamando le disposizioni di cui all’art. 37-bis stesso decreto.
È pur vero che il giudice di merito (cfr. Cass. SS.UU. n. 30055 ) risult legittimato a valutare singolarmente ognuna delle prove e poi considerarle nel quadro complessivo, riqualificando la condotta tenuta come abusiva, ma ciò, tuttavia, non può legittimare, a seguito della diversa qualificazione operata in sede contenziosa della fattispecie, l’applicazione di norme accertative diverse da quelle a cui l’Ufficio ha fatto esplicito riferimento, e quindi comportare la nullità dell’atto per violazione di vincoli procedimentali, vincoli insuperabili esclusivamente qualora la motivazione dell’accertamento avesse fatto esplicito riferimento all’art. 37 bis.
Superata la questione di diritto, occorre passare all’esame del merito della controversia.
Ebbene, dagli atti negoziali posti in essere dal contribuente, ‘ictu oculi’ emerge che lo scopo da realizzare tramite le diverse transazioni non fosse altro che il risparmio fiscale ottenuto con l’assoggettamento degli atti all’imposta di registro in misura fissa, anziché in misura proporzionale, nonché mediante la omissione di denuncia della plusvalenza realizzata e la non sottoposizione ad IVA della cessione dell’immobile.
A conferma di quanto sopra vedasi il contenuto di pagina 5 e 6 dell’appello, ove l’Ufficio dà contezza dei reali risparmi conseguiti con le operazioni de quibus.
Pienamente condivisibile è l’assunto della parte pubblica quando precisa che oggetto della controversia non è la rettifica del primo atto di
cessione delle quote sociali della RAGIONE_SOCIALE, ma i successivi atti di cessione quote e d’azienda perfezionatisi tra il COGNOME e la Sig.ra COGNOME e tra lo stesso COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, società amministrata dalla medesima COGNOME, attraverso i quali si è di fatto realizzata la cessione dell’immobile strumentale all’esercizio dell’attività e l’azienda stessa.
Ben poteva l’Ufficio, dall’esame comparato delle singole operazioni, procedere alla diversa riqualificazione fiscale delle stesse onde contestare l’intento elusivo.
La Corte di Cassazione (cfr. sent. n. 25001/15 ha precisato che ‘l’art. 20 del DPR n. 131/86, non è soltanto una norma interpretativa degli atti registrati, ma una disposizione intesa a identificare l’elemento strutturale del rapporto giuridico tributario ‘.
Correttamente l’appellante evidenzia come la dinamica contrattuale posta in essere vada ricondotta nell’ambito del fenomeno elusivo rappresentato dalla cessione di immobili tramite la cessione di quote di una società, il cui intero patrimonio è rappresentato dall’immobile stesso, ottenendo gli stessi effetti della vendita ma con un risparmio fiscale considerevole .
Per quanto concerne, poi, l’ammontare della plusvalenza, di fatto realizzata con la cessione dell’immobile, va detto che, contrariamente a quanto determinato dal contribuente ai fini del calcolo del costo fiscale, è sufficiente fare riferimento alla scrittura privata del 20.05.2004 “‘Promessa di cessione di immobile e di azienda” con la quale, all’art. 4, viene stabilito che il prezzo della cessione dell’immobile e dell’azienda, con esclusione delle merci, è di € 840.000,00 con una plusvalenza, quindi, di € 325.118,5 8, come accertata dall’Ufficio.
Da ultimo, e con riferimento all’IVA va detto che, poiché l’immobile compravenduto era destinato all’esercizio dell’attività di impresa del Sig. COGNOME , detta cessione andava assoggettata al tributo in presenza del requisito soggettivo in capo al Traverso medesimo.
Propone ricorso per cassazione il contribuente con sei motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.
Il contribuente deposita telematicamente:
-in data 22 settembre 2023, istanza ‘affinché la Suprema Corte adita dichiari cessata la materia del contendere in relazione alla metà della pretesa impositiva recata dall’avviso e dei relativi interessi in quanto il relativo (sopra individuato) carico (i.e. la cartella di pagamento n.
NUMERO_CARTA è stato definito mediante Rottamazione -ter’, dando atto, immediatamente prima, di ‘rinuncia parzialmente al giudizio in epigrafe limitatamente al carico, iscritto con ruolo n. 406 del 2011 e intimato con la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA pari al 50% della pretesa impositiva recata dall’avviso e dei relativi interessi’, in conseguenza della cd. rottamazione ex d.l. n. 119 del 2018 della cartella emessa in pendenza di giudizio;
-in data 21 novembre 2024, ampia memoria ulteriormente illustrativa delle proprie ragioni.
Considerato che:
Preliminarmente deve rilevarsi, in riferimento all’istanza del contribuente in data 22 settembre 2023, che essa non possiede i caratteri tipici di una vera e propria rinuncia al ricorso e, quindi, al relativo giudizio, manifestando nondimeno il difetto di interesse del contribuente, in quanto ricorrente, ad insistere nella trattazione e decisione del ricorso medesimo. Il quale ultimo, pertanto, deve essere dichiarato, seppur parzialmente, inammissibile (Sez. L, n. 25625 del 12/11/2020, Rv. 659543 -01) , in relazione, come rappresentato nell’istanza, al ‘carico, iscritto con ruolo n. 406 del 2011 e intimato con la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA
Primo motivo: ‘ Violazione o falsa applicazione dell’art. 2, comma 3), lett. b del D.p.r. n. 633 del 1972 (“cessione di beni” soggett a IVA), nonché della sua ‘matrice’ comunitaria, l’art. 5, par. 8, della Dir. n. 77/388/CEE così come applicata dalla Corte di giustizia. Denunzia ai sensi dell’art. n. 360 n. 3′.
2.1. ‘ Con il presente motivo ci si duole, in sintesi, del fatto che la CTR, anziché considerare, la cessione di quote una “cessione di azienda” fuori campo IVA, l’ha ritenuta (come prospettato dall’Ufficio) una cessione d’immobile soggetta a IVA’. ‘La CTR ha appurato che ‘l’intero patrimonio’ della società oggetto della controversa cessione di quote, ‘è rappresentata dall’immobile stesso’ ritenuto (sempre dalla CTR) ‘strumentale all’esercizio dell’attività”; inoltre, ‘per la CTR’, ‘l’immobile compravenduto ‘era
destinato all’esercizio dell’attività di impresa” ed ‘il contribuente (pur ‘in presenza del requisito soggettivo’ ) ne omesso la fatturazione’. ‘Risulta evidente che, pur a fronte del ricorrere di tutte le circostanze che, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte europea , conducono a qualificare come cessione di azienda la cessione di quote controversa (così come, inutilmente, si è prospettato sin dal 1° grado di giudizio , la CTR ha. invece, erroneamente ritenuto (come maliziosamente prospettato dall’Ufficio) una cessione di immobile’.
2.2. Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
È inammissibile perché sollecita una rivalutazione del merito della vicenda, in violazione di canoni e limiti del giudizio di legittimità, peraltro alla luce di un’incompleta ricostruzione, nella parte introduttiva del ricorso, della sequenza degli eventi rilevanti, sequenza attingibile unicamente ben più completi riferimenti contenuti nel solo controricorso: ciò che evidenzia come il ricorso di per sé incorra, altresì, con eguali esiti di inammissibilità, in difetto di precisione e di autosufficienza (per mancata riproduzione letterale dei singoli documenti in cui il complesso dell’operazione economica è consistita).
È infondato perché, proprio alla luce della sequenza degli eventi rilevanti indicata in controricorso, emerge che i cessionari dell’azienda del contribuente e dell’immobile sono risultati essere, in definitiva, diversi: cessionaria dell’immobile, per il tramite dell’acquisizione delle quote di RAGIONE_SOCIALE, è divenuta la COGNOME, mentre cessionaria dell’azienda “RAGIONE_SOCIALE“, che il contribuente personalmente aveva acquistato dai Ferrari, è divenuta RAGIONE_SOCIALE. Ora, la circostanza che la COGNOME rivestisse la carica amministrativa in RAGIONE_SOCIALE non pone evidentemente nel nulla l’autonoma soggettività della società, tanto più non dedotta e dimostrata, da parte del contribuente, ancora in memoria, la totale fittizietà di
questa. Ciò, invero, è ben presente alla CTR, allorquando osserva, in adesione alla prospettazione agenziale, che ‘oggetto della controversia non è la rettifica i successivi atti di cessione quote e d’azienda perfezionatisi tra il COGNOME e la Sig.ra COGNOME e tra lo stesso COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, società amministrata dalla medesima COGNOME, attraverso i quali si è di fatto realizzata la cessione dell’immobile strumentale all’esercizio dell’attività e l’azienda stessa’: con conseguente separazione, perché ‘ab initio’ ‘avviati’ su binari diversi, dell’uno e dell’altra.
Secondo motivo: ‘ Violazione o falsa applicazione dall’art. 37bis del D.p.r. n. 600 del 1973. Denunzia ai sensi dell’art. n. 360 n. 3’.
3.1. ‘ Con il presente motivo ci si duole, in sintesi, del fatto che la CTR, pur dopo aver rilevato che le rettifiche operate al reddito (qualificato) d’impresa fuoriescono, per stessa ammissione dell’Ufficio, dall’ambito applicativo dell’art. 37-bis del D.p.r. n. 600 del 1973, le abbia, nondimeno, ritenute conformi al diritto’. ‘Occorre, anzitutto, evidenziare che l’Agenzia stessa ha dichiarato in giudizio che ‘l’accertamento è stato emesso sul principio (…) dell’abuso del diritto e non sulla violazione dell’art. 37-bis DPR 600/73′ (cfr. controdeduzioni in CTP dell’Ufficio, pag. 3 fasc. 1° grado)’. Di conseguenza, la CTR ‘avrebbe dovuto ritenere la ripresa a tassazione della plusvalenza del tutto priva di fondamento giuridico’. ‘Va soggiunto che, allo scopo di impedire la dilatazione dell’ambito di applicazione della disposizione antielusiva sancita dall’art. 37bis, da parte dell’A.f. (‘recte’, dai suoi uffici periferici), il legislatore fiscale ha chiarito espressamente che l’operazione nella specie contestata – vale a dire il conferimento di azienda attraverso la successiva cessione delle partecipazioni – non rileva in nessun modo ai fini dell’art. 37-bis t.u.i.r. (cfr. art. 176, comma 3, D.p.r. n. 917 del 1986). Ragione di più, quindi, per ritenere che
l’accertamento operato dall’Agenzia, si colloca al di fuori dell’ambito applicativo dell’art. 37-bis del D.p.r. n. 600 del 1973 e che la sentenza impugnata che l’ha confermato risulta, quindi, in contrasto con i limiti applicativi dell’abuso voluti dal legislatore, confermati dalla Cassazione e dalle stesse istruzioni diramate dalla stessa Agenzia intimata ‘.
3.2. Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
Esso è ancorato all’erroneo presupposto (già confutato in relazione al primo motivo) che la complessiva operazione economica sostanziasse gli effetti di una cessione d’azienda anziché di una cessione d’immobile: l’accertamento in fatto compiuto dalla CTR (che, come visto, si sottrae a censure) depone invece per una qualifica in termini di cessione d’immobile.
Su tale premessa, che fattualmente traccia la cornice del giudizio di legittimità entro cui si agitano le questioni sollevate nel motivo, è a rilevarsi -in disparte l’estrema fugacità e dunque insufficienza del richiamo in questo contenuto alle controdeduzioni agenziali in primo grado, ove l’Ufficio avrebbe sostenuto che ‘l’accertamento è stato emesso sul principio (…) dell’abuso del diritto e non sulla violazione dell’art. 37bis DPR 600/73’ che il ricorso in sé, oltreché il motivo, incorre in difetto di precisione ed autosufficienza a misura che (come già detto) non esplicita l’intera sequenza degli eventi rilevanti, con il corteo dei corrispondenti atti notarili, non affatto menzionati e men che meno riprodotti, né, viepiù, riproduce (quantomeno nelle parti essenziali) la motivazione dell’avviso.
Fermo quanto precede, la tesi, che parrebbe (su tali malferme premesse) espressa nel motivo, secondo cui non avrebbe potuto la CTR ritenere ‘conformi a diritto’ ‘ le rettifiche operate al reddito (qualificato) d’impresa’ perché, venendo in rilievo, secondo l’Ufficio, un’ipotesi di abuso, esse esulerebbero ‘dall’ambito applicativo dell’art. 37bis del D.p.r. n. 600 del 1973’, tesi
risolventesi nella ritenuta impossibilità di contestare la ricorrenza di un’ipotesi di elusione, ‘sub specie’ di abuso del diritto, al di fuori dei casi codificati del previgente art. 37-bis DPR n. 600 del 1973, si dimostra comunque priva di fondamento.
Infatti, come ritenuto già da Cass., Sez. U, n. 30055 del 2008, ‘in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici’. Donde – tanto più, ‘ex post’, al cospetto della prospettiva unificante dell’art 10 -bis st. contr. (introdotta dal D.Lgs. n. 128 del 2015) – l’elusione è una figura di abuso, nel senso che non ne esaurisce le forme di manifestazione ed è, allo stesso tempo, a sua volta, suscettibile di manifestarsi in guise eterogenee, non predefinibili in un ‘numerus clausus’.
Le superiori considerazioni si attagliano tanto più al caso di specie, posto che la CTR, nella sentenza impugnata, ragiona di un ‘intento elusivo’ del contribuente, evidenziando come ‘lo scopo da realizzare tramite le diverse transazioni non fosse altro che il risparmio fiscale ottenuto con l’assoggettamento degli atti all’imposta di registro in misura fissa, anziché in misura proporzionale, nonché mediante la omissione di denuncia della plusvalenza realizzata e la non sottoposizione ad IVA della cessione dell’immobile’, e ribandendo, ancora poco oltre, che, ‘correttamente l’appellante evidenzia come la dinamica contrattuale posta in essere vada ricondotta nell’ambito del fenomeno elusivo rappresentato dalla cessione di immobili tramite la cessione di quote di una società ‘.
4. Terzo motivo: ‘Violazione o falsa applicazione dell’art. 20 del D.p.r. n. 131 del 1986 e dei principi del S.C. che governano il divieto dell’abuso del diritto in materia fiscale, della suddivisione dell’onere della prova (art. 2697 c.c.) nell’ambito di accertamenti fiscali antiabuso secondo i principi elaborati dalla S.C. Denunzia ai sensi dell’art. n. 360 n. 3’.
4.1. ‘Con il presente motivo ci si duole, in sintesi, del fatto che la CTR, senza considerare le ragioni che hanno determinato il contribuente a compiere l’operazione in contestazione (v. motivo di ricorso n. 1 in CTP, pagg. 10 e ss., spec. pag. 14-doc. 4 fascicoletto), abbia qualificato “elusiva” (recte abusiva) l’operazione: -sulla scorta di parametri che la costante giurisprudenza della Suprema Corte adita ha espressamente ritenuto inidonei a dimostrare l’abuso e, comunque, desunti da disposizione non pertinente e (pacificamente) inapplicabile al campo delle imposte dirette (l’art. 20 del D.p.r. n. 131 del 1986); senza che l’Ufficio abbia dimostrato, come, invece, suo preciso dovere, gli indici di abuso elaborati dalla giurisprudenza della S.C. ‘. ‘Occorre premettere che, pacificamente, le contestazioni rivolte al contribuente dall’avviso, confermato dalla sentenza impugnata, non poggiano su alcuna delle fattispecie elusive previste dall’art. 37bis del D.p.r. n. 600 del 1973 (‘ratione temporis’ vigente – la cessione di quote è stata effettuata nel giugno del 2005). L’Agenzia stessa, infatti, ha dichiarato in giudizio che ‘l’accertamento è stato emesso sul principio (…) dell’abuso del diritto e non sulla violazione dell’art. 37bis DPR 600/73”. ‘Negli accertamenti antiabuso, secondo il costante orientamento della S.C., sull’A.f. incombe la dimostrazione dell’abusività della condotta e, in particolare, la prova dell’assenza di ragioni economiche diverse dal mero conseguimento di un vantaggio fiscale . È opportuno, in proposito, ricordare che ‘i criteri elaborati dalla giurisprudenza di legittimità (…) per la dimostrazione
abusività della condotta non vanno ricercati nella causa (funzione economico-sociale) o negli effetti giuridici del negozio o della complessa operazione negoziale (diretti a disciplinare il regolamento di interessi voluto dalle parti)’ ‘. ‘Nell’avviso, la (pretesa) elusività (‘recte’ abusività) della cessione di quote, in quanto dissimulante la cessione dell’immobile, è stata sostenuta dall’Ufficio solamente: a) invocando, genericamente e, peraltro, sulla scorta di disposizioni fiscali (l’art. 20 del D.p.r. n. 131 del 1986 e relativa giurisprudenza del S.C.) non applicabili in materia di imposizione diretta, ‘la causa reale perseguita dai contraenti’ (e ciò in violazione dell’onere della prova gravante sull’A.f.) b) assumendo (senza provarlo) che ‘il signor COGNOME ha effettuato tutte le operazioni (…) (oggetto di contestazione, N.d..) in regime d’impresa”. ‘Si contesta alla CTR di aver ritenuto ricorrente una pratica abusiva sulla scorta di allegazioni: – (in violazione dell’art. 20 del D.p.r. n. 131 del 1986, dell’art. 53 Cast. e dei principi del S.C. che governano il divieto dell’abuso del diritto in materia fiscale) non pertinenti, in quanto agganciate all’applicazione dell’art. 20 del D.p.r. n. 131 del 1986, e, comunque inidonee, in quanto basate soltanto sul richiamo alla ‘causa reale dell’operazione’ ; – (in violazione degli articoli 2727 c.c., 2729 c.c. e dei principi sulla distribuzione dell’onere della prova nell’ambito degli accertamenti antiabuso ai fini dell’imposizione diretta) insufficienti dal momento che l’Ufficio, nell’avviso, si è limitato ad allegare soltanto la (pretesa) ‘causa reale perseguita’ e nonostante il fatto che, agli atti, siano documentate le ragioni che hanno giustificato l’operazione . A diverse conclusioni non conducono, stante il divieto di motivazione postuma dell’atto impositivo – né il fatto che a pagina 5 e 6 dell’appello l’Ufficio abbia (secondo la CTR) dato ‘contezza dei reali risparmi conseguiti con le operazioni de quibus’ ; né il fatto che l’Ufficio (sempre secondo la CTR) abbia evidenziato, nel ricorso d’appello, che la
dinamica contrattuale posta in essere vada ricondotta nell’ambito di una cessione di immobili tramite la cessione di quote di una società’.
4.2. Il motivo è inammissibile.
In violazione del principio di autosufficienza, compie insistiti riferimenti all’avviso di accertamento e agli atti del processo, senza minimamente riprodurli né contestualizzarli.
Dà per presupposto che il contribuente non abbia agito nell’ambito di un’attività d’impresa, senza tuttavia indicare donde documentalmente ciò risulti.
Riafferma, come già asseritamente rappresentato in primo e secondo grado (senza tuttavia un minimo di citazioni letterali), che ‘il tenere ben distinte la cessione di quote dalla cessione di azienda ha permesso di ‘separare la gestione dell’immobile (…) dalla gestione dell’azienda” ed evitare che “la precaria situazione finanziaria dell’azienda ‘RAGIONE_SOCIALE‘ potesse avere risvolti negativi sulla proprietà dell’immobile”: ciò dando per dimostrate le finalità extrafiscali che sosterrebbero le operazioni compiute, tuttavia alla stregua di asserti meramente locutori, totalmente privi di specificazioni e non minimamente supportati dal richiamo di evidenze probatorie, a loro volta, per autosufficienza, da localizzarsi agli atti dei giudizi di merito e congruamente trascriversi.
Anela in definitiva ad una più favorevole, per il contribuente, riedizione del giudizio di merito, debordando dall’ambito del giudizio di cassazione quale momento di controllo della mera legalità delle sentenze ricorse.
D’altra parte -donde comunque l’infondatezza del motivo – non corrisponde al vero che la CTR abbia violato l’art. 20 DPR n. 131 del 1986 ‘ratione temporis’ vigente, assumendo a criterio decisivo ”la causa reale perseguita dai contraenti’ e così sollevando la parte pubblica dall’onere probatorio.
L’evocazione, contenuta nella sentenza impugnata, della giurisprudenza di legittimità sull’interpretazione dell’art. 20 cit. costituisce un’argomentazione meramente rafforzativa dell’affermata possibilità di ‘riqualificazione fiscale’ delle ‘singole operazioni’. Quel che pertanto la CTR ha voluto dire richiamando detta giurisprudenza è semplicemente che è sempre possibile la riqualificazione dei fatti -finanche quando si faccia applicazione dell’art. 20, che di per sé non presuppone ‘una specifica valenza antielusiva’ previo apprezzamento del collegamento tra svariati negozi giuridici, pur asincroni, onde cogliere l’essenza dell’intera operazione economica.
Talché, a differenza di quanto sostenuto nel motivo, la CTR non ha fatto alcuna applicazione dell’art. 20, che per l’effetto neppure può aver violato.
La CTR ha invece atteso ad una (doverosa) ricostruzione unitaria dell’operazione economica, concludendo, con la parte pubblica, che, al di là degli effetti tipici di ciascun negozio, ‘la dinamica contrattuale posta in essere’, valutata per l’appunto unitariamente e diacronicamente, ‘ ricondotta nell’ambito del fenomeno elusivo rappresentato dalla cessione di immobili tramite la cessione di quote di una società ‘.
Un tanto, infine, di per sé esclude che la CTR abbia assolto la parte pubblica dall’onere probatorio su questa incombente. Ed invero la condivisione della ‘riqualificazione’ ‘rectius’, della ricostruzione di tutti i negozi giuridici riguardanti il contribuente -effettuata dall’Ufficio fonda (viepiù senza contestazioni sul punto) sulle evidenze da questo fornite. Evidenze che si estendono anche al requisito del vantaggio fiscale (in rapporto al quale la CTR richiama il contenuto di pagina 5 e 6 dell’appello, ove l’Ufficio dà contezza dei reali risparmi conseguiti con le operazioni de quibus’).
Quarto motivo: ‘Violazione o falsa applicazione dell’art. 115, 1° comma, c.p.c. (in quanto espressivo del principio di non contestazione). Denunzia ai sensi dell’art. n. 360 n. 4’.
5.1. ‘Con il presente motivo ci si duole, in sintesi, del fatto che la CTR, a dispetto della prova (non contestata) dei costi per l’acquisto delle partecipazioni oggetto della cessione di quote controversa, vi abbia sovrapposto il corrispettivo indicato nella scrittura privata del 20 maggio 2004 prodotto in appello dall’Ufficio’. ‘Mentre è pacifico che il corrispettivo della rivendita dell’immobile sia pari a euro 1.015.117,58’, ‘è oggetto del contendere l’ammontare di quanto versato dal contribuente per l’acquisto, poiché: a) secondo l’avviso e la CTR impugnata, esso corrisponde a euro 710.000 e ciò in quanto tale importo risulta indicato: ‘nell’atto di cessione di quote’ del 13 luglio 2004; nella ‘promessa di cessione di immobile e di azienda’ del 20 maggio 2004 (così la sentenza gravata ); b) secondo il contribuente, invece, ammonta ad euro 828.717,83 (cfr. ricorso in CTP, pag. 17 doc. 4 fascicoletto e controdeduzioni in CTR, pag. 20 – doc. 4 fascicoletto), come compravano i pagamenti (versati in atti) che seguono: ‘. ‘A tale ultimo riguardo, l’Ufficio, costituendosi nel giudizio di 1° grado, anziché contestare specificamente le prove dei pagamenti versate in atti dal contribuente, si è limitato ad affermare: ‘con riferimento alla determinazione del costo fiscale dell’immobile, controparte ricostruisce il costo di acquisto, come sopra evidenziato, sommando una serie di pagamenti effettuati dal Sig. COGNOME nei confronti dei cedenti sig.ri COGNOME. Tuttavia tal percorso deduttivo appare palesemente non corretto e comunque è contrario al dato contrattuale ‘. Come si può constatare, insomma, l’Agenzia di Genova non ha confutato la documentazione prodotta a comprova dei costi sostenuti ‘.
5.2. Il motivo è inammissibile e comunque manifestamente infondato.
È inammissibile perché -non riprodotto a monte l’avviso di accertamento -fa riferimento a documenti ed atti del processo senza minimamente, del pari, riprodurli.
Contravviene al principio per cui, ‘ai fini del rispetto del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione con cui viene dedotta la violazione del principio di non contestazione deve indicare sia la sede processuale in cui sono state dedotte le tesi ribadite o lamentate come disattese, inserendo nell’atto la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi, sia, specificamente, il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori scritti difensivi, in modo da consentire alla Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell’art. 115 c.p.c.’ (Sez. 3, n. 15058 del 29/05/2024, Rv. 671191 -01).
Tende palesemente ad una riedizione del giudizio di merito, attraverso la sollecitazione a questa SRAGIONE_SOCIALE di un diretto apprezzamento dei documenti.
È manifestamente infondato perché, alla stessa stregua di quanto riferito nel motivo, l’Agenzia ha effettivamente contestato, a dispetto di quanto in esso invece denunciato, l’efficacia dimostrativa delle ‘prove dei pagamenti versate in atti dal contribuente’.
Detta conclusione è valere tanto più in quanto, da un lato, in generale, ‘il principio di non contestazione concerne solo i fatti costitutivi, modificativi o estintivi del diritto azionato’ (Sez. 2, n. 8967 del 04/04/2024, Rv. 670958 -01), e non anche, dunque, le prove, e, dall’altro, più in particolare, ‘nel processo tributario, caratterizzato dall’impugnazione di una pretesa fiscale fatta valere mediante l’emanazione dell’atto impositivo nel quale i fatti costitutivi della richiesta sono già stati allegati, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti, un onere di
allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato nell’atto impugnato’ (Sez. 5, n. del 14/06/2023, Rv. 668258 -01).
6. Quinto motivo: ‘Violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. (presunzioni semplici) nonché, infine, dell’art. 86, comma 2, D.p.r. n. 917 del 1986 (“plusvalenze” realizzate nell’esercizio dell’impresa). Denunzia ai sensi dell’art. n. 360 n. 3’.
6.1. ‘Con il presente motivo ci si duole, in sintesi, del fatto che la CTR, indicando, quale plusvalenza, tassabile il corrispettivo indicato nella scrittura privata del 20 maggio 2004 (prodotta in appello dall’Ufficio), non abbia fatto buon governo delle disposizioni che ne presidiano il calcolo’. ‘A tenore dell’avviso ‘il signor COGNOME ha effettuato tutte le operazioni sopracitate (fra cui, segnatamente, la cessione di quote controversa, N.d..) in regime di impresa” e ‘tale assunto è stata confermato dalla sentenza impugnata, secondo cui il contribuente ha compravenduto l’immobile in veste di imprenditore’. ‘Per computare correttamente la plusvalenza (tassabile) derivante dalla compravendita di un bene in regime d’impresa, è doveroso tener conto di tutti ‘gli oneri accessori di diretta imputazione”. ‘Mentre è pacifico che il corrispettivo della rivendita dell’immobile si a paria euro 1.015.117,58’, ‘è oggetto del contendere l’ammontare di quanto versato dal contribuente per l’acquisto ‘. Ciò premesso, ‘in primo luogo dalla lettura della pronuncia gravata non è dato comprendere in base a quale regola di esperienza la CTR abbia ritenuto idoneo ad accertare i costi sostenuti per l’acquisto dell’immobile un atto (la promessa di acquisto di immobile del 20 maggio 2004) che costituisce l’antecedente di altro atto (quello di cessione delle partecipazioni) mai perfezionatosi per stessa ammissione dell’Ufficio’. ‘In secondo luogo la CTR ha senz’altro violato l’art. 86, comma 2, D.p.r. n. 917 del 1986, dal momento che, nel computare la plusvalenza (tassabile) derivante dalla compravendita in esame, non ha tenuto conto (come prescritto
dalla citata disposizione) di tutti ‘gli oneri accessori di diretta imputazione’ (analiticamente riportati più sopra, in questo stesso paragrafo)’.
6.2. Il motivo segue le sorti del precedente, che riprende alla lettera e di cui costituisce una sorta di sviluppo.
Sesto motivo: ‘Violazione o falsa applicazione del principio generale del contraddittorio negli accertamenti fiscali, del principio comunitario del contraddittorio preventivo, e/o delle specifiche garanzie a tutela del diritto al contraddittorio sancite dall’art. 37-bis del D.p.r. n. 600 del 1973. Denunzia ai sensi dell’art. n. 360 n. 3’.
7.1. ‘Con il presente motivo ci si duole, in sintesi, del fatto che la CTR, affermando che l’Ufficio non fosse vincolato all’obbligo di accertamento preventivo prima di emettere l’avviso ha violato (per quanto concerne le imposte dirette) il principio del contraddittorio elaborato dalla Corte costituzionale, nonché (per quanto concerne l’IVA) il principio del contraddittorio elaborato dalla Corte di giustizia, o, in ogni caso, le specifiche garanzie a tutela del diritto al contraddittorio sancite dall’art. 37-bis del D.p.r. n. 600 del 1973’.
7.2. Il motivo è inammissibile.
Pur a seguire l’affermazione in linea di principio recentissimamente guadagnata da Sez. 5, n. 22072 del 05/08/2024, Rv. 672344 -02, secondo cui, ‘in tema di contestazioni di tipo antielusivo, anche se non riconducibili alle ipotesi contemplate dall’art. 37 -bis del d.P.R. n. 600 del 1973, le peculiarità dell’accertamento delle fattispecie elusive ed il ruolo decisivo che in esso possono svolgere gli elementi forniti dal contribuente impongono il contraddittorio preventivo, essendo l’Amministrazione finanziaria tenuta, a pena di nullità dell’atto impositivo, a richiedere chiarimenti al contribuente e ad osservare, prima di emettere l’avviso di accertamento, il termine dilatorio di 60 giorni, decorrente della data di ricezione della richiesta’,
affermazione che non è condivisa da altre pronunce (cfr. ad es. Sez. 5, n. 25759 del 05/12/2014, la quale, in motivazione, par. 3.6, afferma che ‘deve escludersi, avuto riguardo alla condotta materiale individuata dalla Commissione tributaria come elusiva, non riconducibile ad alcuna delle operazioni elencate nell’art. 37 -bis, comma 3, la ‘diretta’ applicabilità della disciplina procedimentale concernente il contraddittorio preventivo, dettata dalla disposizione di cui al cit. D.P.R., art. 37 -bis, comma 4, alla diversa fattispecie di abuso del diritto oggetto della presente controversia’), viene in conto – tenuto presente che, nella specie, l’avviso di accertamento, come riferito dal (solo) controricorso, nel totale silenzio (al d là della sentenza impugnata) del ricorso, è conseguito a PVC in esito a verifica – uno schema già percorso dalla giurisprudenza di legittimità.
Detto schema è inteso ad evidenziare
la sostanziale uniformità della disciplina procedimentale di instaurazione del contraddittorio preventivo prevista da D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 -bis, comma 4 e dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 (entrambe le norme stabiliscono il medesimo termine dilatorio di gg. 60 per consentire la comunicazione da parte del contribuente di osservazioni e chiarimenti, rispettivamente, dalla ‘richiesta’ formulata dalla PA, dalla consegna della ‘copia del processo verbale di chiusura delle operazioni di verifica’) , non assumendo rilievo le differenti condizioni nelle quali operano le due norme (il cit. D.P.R., art. 37 -bis, comma 4, impone, indipendentemente dalle modalità di espletamento della attività istruttoria dell’Ufficio -ispezione, verifica, accesso, inviti, ecc. -, la instaurazione del preventivo contraddittorio; la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, presuppone, invece, lo svolgimento di “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio delle attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali … effettuati sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo” -cfr. art. 12, comma 1 -)’ (Sez. 5, n. 25759 del 2014, par. 3.8).
Talché,
avuto riguardo alla operata riconduzione ad unità sistematica, in materia tributaria, del principio del contraddittorio anticipato e delle conseguenze giuridiche invalidanti dell’atto impositivo per la inosservanza
del modello legale, risulta che tanto la disciplina procedimentale delle fattispecie abusive, in materia di imposte dirette, dettata dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 -bis, comma 4, quanto quella prevista dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, debbono essere unitariamente interpretate alla stregua degli specifici riferimenti, tratti dalla giurisprudenza comunitaria, secondo cui ‘il rispetto dei diritti di difesa costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo’ (cfr. Corte giustizia 18.12.2008, causa C -349/07, RAGIONE_SOCIALE; id. 22.10.2013, causa C -276/12, Sabou), con la conseguenza che ‘i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la propria decisione (ivi, par. 3.9) .
Pertanto,
anche nel caso in cui l’Ufficio finanziario intenda contestare fattispecie elusive, indipendentemente dalla riconducibilità o meno delle stesse alle ipotesi ‘tipizzate’ contemplate dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 -bis, comma 3, è tenuto a richiedere preventivamente chiarimenti al contribuente e ad osservare il termine dilatorio di gg. 60, prima di emettere l’atto accertativo che dovrà essere specificamente motivato anche in ordine alle osservazioni, chiarimenti, giustificazioni, eventualmente fornite dal contribuente: risultando inficiato dal vizio di nullità l’atto impositivo emesso in difformità da detto modello procedimentale. La mancanza di una specifica previsione di invalidità dell’atto tributario emesso ‘ante tempus’ non impedisce, infatti, di pervenire in via interpretativa (utilizzando la categoria dogmatica delle nullità virtuali) ad individuare nell’ordinamento giuridico tributario -quale risultante del sistema plurimo delle fonti di produzione normativa -, in relazione alla indicata violazione, un vizio di invalidità dell’atto impositivo per contrasto con ‘norma imperativa’ (L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7) volta a dare diretta attuazione ad un principio generale comunitario inderogabile (nonché ai principi costituzionali indicati negli artt. 3, 53 e 97 Cost.) : con la conseguenza che, essendo stato notificato l’avviso di accertamento -con il quale si contestava la pratica abusiva -anteriormente alla scadenza del termine di gg. 60 dalla consegna alla società di copia del PVC (‘consegna di copia del verbale’ che, come si è visto, assolve alla equivalente funzione della ‘richiesta di chiarimenti’ di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 -bis, comma 4), i Giudici di merito
avrebbero dovuto dichiarare illegittimo l’atto impositivo, relativo alla pretesa concernente le imposte sui redditi (IRPEG ed IRAP) e l’IVA, adottato in violazione della disposizione di legge (ivi, par. 3.12) .
Tornando ‘funditus’ al caso di specie, non v’è ragione di dubitare della piena operatività dell’evidenziata (con le parole di Sez. 5, n. 25759 del 2014) ‘sostanziale uniformità della disciplina procedimentale di instaurazione del contraddittorio preventivo prevista da D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 -bis, comma 4 e dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7’, atteso il previo esperimento della verifica della GdF, ‘conclusasi – come da controricorso – con p.v.c. redatto in data 24.07.2009’, di guisa che (recuperando nuovamente le parole di Sez. 5, n. 25759 del 2014) la ‘consegna di copia del verbale’ assolve alla equivalente funzione della ‘richiesta di chiarimenti’ di cui al D.P .R. n. 600 del 1973, art. 37 -bis, comma 4′.
D’altronde, la non necessità di una precipua ‘richiesta di chiarimenti’ ex art. 37 -bis, comma 4, DPR n. 600 del 1973, è ammessa anche da Sez. 5, n. 22072 del 2024, che, in motivazione, dopo aver enunciato il principio per cui, ‘in materia di contestazioni di tipo anti -elusivo -anche se non riconducibili alle ipotesi contemplate dall’art. 37 -bis del D.P.R. n. 600 del 1973 – l’art. 37 -bis, comma 4, del d.P.R. n. 600/73 impone il contraddittorio preventivo ‘, conclude che, ‘nella sentenza impugnata, la CTR, in ossequio al suddetto principio di diritto , ha ritenuto soddisfatte, nella specie, le esigenze di garanzia dell’effettività della partecipazione endoprocedimentale della società contribuente attraverso l’avvenuto previo invio del questionario e l’emissione degli avvisi nel rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni previsto ‘ex lege’ (con la motivazione del disconoscimento della risposta ove pervenuta nel termine di sessanta giorni dalla ricezione della richiesta)’.
Ora, finalizzando i superiori precipitati della giurisprudenza di questa S.C., nel caso oggetto del presente giudizio, il contribuente,
non solo tace completamente della previa verifica della GdF con redazione del PVC, dei cui, e della data della cui redazione, si ha contezza solo dal controricorso, ma, fatta genericamente ed astrattamente valere la violazione del contraddittorio endoprocedimentale, non si perita, in tutto il ricorso, di indicare la data di emissione dell’avviso di accertamento (non rinvenibile peraltro neppure in controricorso), onde allegare l’emissione di questo ‘ante tempus’, impedendo, ad ogni modo, qualsivoglia verifica al riguardo, né deduce ‘in limine’ la comunicazione all’Ufficio di ‘chiarimenti’ nei 60 giorni dal PVC di cui il non riprodotto avviso non abbia tenuto conto.
In riferimento, poi, alla dedotta violazione del contraddittorio preventivo per le riprese attinenti all’IVA, su cui il contribuente insiste ancora in memoria, la giurisprudenza di legittimità s’è orientata, in coerenza con la giurisprudenza unionale (CGUE, sentenze 1 ottobre 2009, NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE in causa C -141/08, par. 94; 10 settembre 2013, M.G. e N.R., in causa C -383/13, par. 38; 26 settembre 2013, RAGIONE_SOCIALE, in causa C -418/11, par. 84; 3 luglio 2014, NOME RAGIONE_SOCIALE e Da tema RAGIONE_SOCIALE in cause riunite C -129/13 e C -130/13, parr. 78 e 79; 4 giugno 2020, RAGIONE_SOCIALE in causa C -430/19, parr. 35 ss.), per una lettura sostanziale della rilevanza dell’omessa attivazione del contraddittorio, dando per l’effetto rilievo all’allegazione, ovviamente da parte di chi detta violazione invoca, di un possibile diverso esito del procedimento accertativo.
Invero, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, con la sentenza n. 24823 del 09/12/2015, hanno chiarito che la rilevanza della mancata attivazione del contraddittorio va intesa ‘nel senso che l’effetto della nullità dell’accertamento si verifichi allorché, in sede giudiziale, risulti che il contraddittorio procedimentale, se vi fosse stato, non si sarebbe risolto in puro simulacro, ma avrebbe
rivestito una sua ragion d’essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui e, dunque, non puramente fittizi o strumentali’, sicché ‘non è sufficiente che, in giudizio, chi se ne dolga si limiti alla relativa formalistica eccezione, ma è, altresì, necessario che esso assolva l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato , e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio) si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali l’ordinamento lo ha predisposto’.
Talché, in definitiva, la violazione dell’obbligo del contradditorio endoprocedimentale, ove l’accertamento attenga a tributi armonizzati, ‘comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa’ (Sez. 5, n. 20436 del 19/07/2021, cit., Rv. 662002 -01).
Nella specie, non consta avere il contribuente -significativamente silente al riguardo sia nel ricorso che nella memoria – dedotto o articolato, quale parte indefettibile della denuncia di violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, le specifiche e non pretestuose ragioni che, dinanzi all’Amministrazione, avrebbe potuto far valere, con conseguente possibile diverso esito del procedimento.
In aggiunta deve rilevarsi che – raggiunto il contribuente dal PVC – ‘le modalità di realizzazione del contraddittorio’ di per sé ‘non sono a forma vincolata, essendo sufficiente (e necessario) che si realizzi in modo effettivo, quali siano gli strumenti in
concreto adottati, siano essi il ricorso a procedure partecipative o l’impiego di altri meccanismi finalizzati all’interlocuzione preventiva come, ad esempio, l’inoltro di questionari, il riconoscimento dell’accesso agli atti ovvero l’espletamento di altre attività che risultino funzionali a detto obbiettivo’ (Sez. 5, n. 20436 del 04/04/2021, in motiv., pp. 6 e 7).
Donde, come anticipato, l’integrale inammissibilità, del motivo.
8. In definitiva, il ricorso (per la parte superstite alla dichiarazione di parziale inammissibilità come in apertura di motivazione) va integralmente rigettato, con le statuizioni consequenziali (tenuto conto, in punto di spese, della parziale definizione) come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara parzialmente inammissibile il ricorso, in relazione al carico, iscritto con ruolo n. 406 del 2011 e intimato con la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA
Rigetta nel resto il ricorso.
Per l’effetto, condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia le spese di lite, liquidate in euro 7.000, oltre spese prenotate a debito, e, ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 4 dicembre 2024.