Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18376 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18376 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 06/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28259/2022 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, NOME (CODICE_FISCALE -ricorrente- contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO -controricorrente- avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del l’Emilia -Romagna, sede di BOLOGNA n. 788/2022 depositata il 22/06/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La ricorrente ha impugnato innanzi alla competente CTR la sentenza n. 137/02/2019, depositata il 26.02.2019, con cui la Commissione tributaria provinciale di Rimini aveva rigettato il ricorso proposto avverso il diniego all’istanza di annullamento in autotutela dell’avviso di rettifica e liquidazione (per imposta di registro) emesso dall’Agenzia delle Entrate, relativo al valore della cessione di azienda di cui alla scrittura privata del 09.08.2016 intercorsa tra l’odierna ricorrente e la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione. Nel dettaglio, la ricorrente ha chiesto, in via principale, di annullare l’avviso di accertamento impugnato, in quanto infondato; in subordine, di non applicare le sanzioni irrogate nell’atto per obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni in materia.
La CTR, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato l’appello, ritenendo che l’imposta di registro si applichi su tutto ciò che costituisce il corrispettivo del trasferimento, inclusi oneri e passività a carico del cessionario.
Avverso la suddetta sentenza di gravame la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate .
Successivamente la parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2555 e 2560 c.c. e degli artt. 21, comma 3, 23 comma 4, 43, comma 2 e 51, commi 1 e 4, del d.P.R. n. 131/1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.: si contesta, in particolare, la determinazione della base imponibile dell’imposta di registro in caso di cessione di azienda, con specifico riguardo al computo di debiti inerenti. T rattandosi di debiti inerenti all’attività aziendale ceduta, le passività aziendali sono state espunte nella determinazione del valore dell’azienda (e dunque della base imponibile) poiché considerate meri
accolli di debiti irrilevanti in virtù dell’art. 43, comma 2, del DPR 131/86.
1.1. Il ricorso è fondato.
Non è in discussione che nella fattispecie non vi era stato alcun accollo ex 43.2 tur, ma solo passività deducibili perché ‘inerenti’ all’attività aziendale.
1.2. Ciò premesso, va rammentato che questa Corte ha già avuto modo di chiarire che in tema di imposta di registro su atti di cessione di azienda (o di diritti reali su di esse), il valore effettivo, rispetto a quello dichiarato, deve essere accertato tenendo conto del criterio di cui all’art. 51, comma 4, del d.P.R. n. 131 del 1986, che non esclude, peraltro, una verifica sulla inerenza delle passività risultanti dalla documentazione contabile rispetto all’attività svolta dall’azienda trasferita, in quanto l’estraneità dei debiti, ancorché appostati in contabilità ed assunti dalla cessionaria, fa sorgere, in capo all’acquirente, una responsabilità ex art. 2560, comma 2, c.c., assimilabile all’accollo che, ai sensi dell’art. 43, comma 2, del d.P.R. n. 131 del 1986, concorre a determinare la base imponibile (Cass. 31/10/2018, n. 27838 (Rv. 650974 – 01)).
Nel corpo della motivazione si legge poi, testualmente, che ‘traslando questo principio di ordine generale nell’ambito della cessione aziendale ex articolo 51 d.P.R. cit., rileva dunque come la presunzione di corrispondenza del valore reale a quello dichiarato dalle parti nell’atto (1″ CO.) possa essere superata dall’amministrazione finanziaria allorquando quest’ultima accerti (4″ co.) che il valore dichiarato ha tenuto conto di passività le quali, per quanto iscritte nei libri contabili obbligatori, non presentino alcun collegamento o inerenza con l’azienda trasferita.
E’ pur vero che in quest’ultima ipotesi sussiste, per il solo fatto che i debiti risultino dai libri contabili obbligatori, la responsabilità dell’acquirente dell’azienda ex articolo 2560, 2^ co., cod.civ.; ma,
allorquando emerga che tali debiti siano in realtà estranei all’azienda, l’assunzione di tale responsabilità da parte dell’acquirente non può che configurare un’ipotesi sostanzialmente riconducibile all’accollo da parte del cessionario del debito del cedente (indipendentemente dalla inerenza soltanto contabile, e non operativa, della posta passiva). Sennonché, tale accolto non rappresenta che una modalità di determinazione e corresponsione del prezzo di acquisto, così come concordato in ragione dell’effettivo valore attribuito dalle parti all’azienda; il quale dovrà pertanto essere individuato, ai fini dell’imposta di registro, non al ‘netto’, ma al ‘lordo’ della passività non inerente (Cass.12215/08).
Il che trova del resto riscontro nel secondo comma dell’articolo 43 2″ co. d.P.R. 131/86, il quale stabilisce che “i debiti o gli altri oneri accollati e le obbligazioni estinte per effetto dell’atto concorrono a formare la base imponibile”.
1.3. Va menzionato altresì il precedente di questa Corte (Cass. n. 539/2022) che ha chiarito che nel ‘ sistema dell’imposta di registro, il calcolo della base imponibile, previsto dall’art. 51, comma 4, T.U.R. è effettuato in base alla c.d. valorizzazione al netto delle passività aziendali, basandosi sull’assunto che le passività aziendali vengono normalmente prese in carico dal concessionario. La disposizione, infatti, precisa che: “per gli atti che hanno per oggetto aziende o diritti reali su di esse il valore di cui al comma primo è controllato dall’ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l’azienda, compreso l’avviamento (..) al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del codice civile”. La norma va letta in combinato disposto con l’art. 43, comma 2, T.U.R., secondo cui: “i debiti e gli altri oneri accollati e le obbligazioni estinte per effetto dell’atto concorrono a fermare la base imponibile”: tale statuizione specifica che gli oneri e le passività che si accolla il concessionario per effetto della vendita costituiscono parte
del corrispettivo, ovvero del vantaggio che il cedente trae dalla cessione aggiunta al prezzo dichiarato. In sostanza, gli oneri e le passività che, per effetto della vendita, saranno caricati al concessionario rappresentano un vantaggio ulteriore che il cedente consegue dalla cessione. Le suddette disposizioni vanno lette anche tenendo conto dell’art. 21, comma 3, del d.P.R. n. 131 del 1986, che consente l’esonero espresso da autonoma imposizione di accolli di debiti connessi ad una cessione, in quanto già tassati sotto forma di corrispettivo della cessione, essendo inclusi nel calcolo della base imponibile. Ne consegue che mentre le passività aziendali di cui all’art. 2560 c.c., inerenti all’esercizio di attività di impresa, vanno scomputate dal calcolo della base imponibile, gli accolli di debiti diversi vanno, invece, inseriti nel medesimo calcolo ‘.
1.4. Alla luce dei principi sopra ribaditi, da cui non vi è ragione di discostarsi, consegue dunque l’accoglimento del motivo , avendo la CTR applicato erroneamente la disposizione in contestazione, mentre avrebbe dovuto considerare le passività aziendali, trattandosi di debiti inerenti all’attività aziendale ceduta e non, invece, di meri accolli di debiti irrilevanti in virtù dell’art. 43, comma 2, del DPR 131/86.
Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente contesta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 6 e 8 d.lgs. 472/1997 nonché degli artt. 8 e 10 l. 212/2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. , in ragione del l’omessa pronuncia su domanda subordinata tempestivamente proposta nel ricorso introduttivo e riproposta in appello.
2.1. La censura, che ha ad oggetto l’omessa pronuncia su domanda subordinata tempestivamente proposta nel ricorso introduttivo e riproposta in appello ed inerente alla non applicazione delle sanzioni irrogate per obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni in materia, è assorbita dall’accoglimento del primo motivo.
In conclusione, il ricorso va accolto con riferimento al primo motivo, assorbito il secondo, e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Emilia-Romagna in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia -Romagna in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, il 13/05/2025 .