Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24673 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24673 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16328/2017 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) –RAGIONE_SOCIALE– contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-controRAGIONE_SOCIALE–
avverso SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO n. 8696/10/2016 depositata il 19/12/2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/06/2024
dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Regionale del Lazio ( hinc: CTR) con la sentenza n. 8696/2016 pubblicata in data 19/12/2016, ha respinto l’appello proposto dal RAGIONE_SOCIALE ( hinc: RAGIONE_SOCIALE) contro la sentenza n. 10664/2015, con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Roma ( hinc: CTP) aveva rigettato il ricorso contro l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO.
La CTR ha ritenuto infondati i motivi di appello, evidenziando, in primo luogo, che era legittimo l’avviso di accertamento che aveva richiamato gli elementi risultanti dai verbali di polizia tributaria (dovendosi ritenere condivisa la valutazione di rilevanza espressa nei verbali stessi).
In secondo luogo, aveva evidenziato che, in caso di affidamento a un consorzio della gestione di determinati affari d’interesse comune da parte di più imprese che ne sostenevano le relative spese pro quota, l’impresa consorziata non era spogliata della propria soggettività giuridica e fiscale, né assumeva una natura puramente neutrale. Di conseguenza, sia il consorzio che le singole imprese consorziate sono assoggettate all’imposta sul reddito RAGIONE_SOCIALE persone giuridiche e il reddito derivante dall’esercizio RAGIONE_SOCIALE rispettive imprese commerciali è soggetto ad imposta, nei modi stabiliti dall’art. 51 ss. d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (Cass., 28/10/2009, n. 22790). Ciò premesso era stato correttamente eseguito il recupero in relazione a tre fatture emesse dal consorzio nei confronti della RAGIONE_SOCIALE con la descrizione “la presente fattura viene emessa a fronte dei costi assunti per vostro conto fino al 31.12.2009”. Si tratta, in
particolare, di fatture contabilizzate non tra i ricavi, ma nella sezione “avere” dello stato patrimoniale e per le quali il contribuente non aveva fornito alcun elemento per spiegarne la modalità di contabilizzazione con riferimento all’anno 2008.
In terzo luogo, la CTR ha ritenuto corretto il recupero a tassazione dell’imponibile IRES di Euro 888.000, evidenziando che era onere del contribuente provare l’impedimento alla produzione della documentazione, una volta che l’amministrazione aveva chiesto, ai sensi dell’art. 52 d.P.R. n. 633 del 1972, l’esibizione di documentazione contabile.
In quarto luogo, ha ritenuto infondate le censure relative alla ripresa IVA, pari a Euro 573.526,94, in merito a sette fatture emesse in regime di sospensione ex art. 6, comma 5, d.P.R. 26/10/1972, n. 633, evidenziando che la normativa invocata dalla parte appellante in merito alla differibilità del pagamento IVA, c.d. regime per cassa (introdotta ad opera dell’art. 32bis d.1. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con modif. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134), non fosse applicabile al caso di specie, in quanto entrata in vigore in data 01/12/2012, successivamente alle operazioni che vengono in rilievo nel caso in esame.
Contro la sentenza della CTR il RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso in cassazione, con due motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato la memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ.
Considerato che:
Il primo motivo di ricorso riporta la seguente contestazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.: « omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio già oggetto di discussione tra le parti relativamente alla censura sollevata dall’appellante,
odierno RAGIONE_SOCIALE, in merito alla nullità dell’avviso di accertamento per violazione e falsa applicazione dell’art. 42 D.P.R. 600/73. »
1.1. La parte RAGIONE_SOCIALE contesta che la CTR abbia erroneamente interpretato l’eccezione relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 42 e 39 d.P.R. 600 del 1973 come richiesta di una non meglio e precisata esenzione dalla tenuta e dalla conservazione RAGIONE_SOCIALE scritture contabili. In realtà, tanto in primo che in secondo grado, la RAGIONE_SOCIALE aveva lamentato il mancato esame (dapprima in sede di verifica e poi in sede di accertamento) dei patti consortili e della natura dei rapporti tra il RAGIONE_SOCIALE, le imprese consorziate ed eventuali terzi, per stabilire il corretto inquadramento dell’attivi tà del consorzio stesso. In altre parole, era stata chiesta la valutazione della neutralità fiscale del RAGIONE_SOCIALE in relazione al «ribaltamento» degli elementi positivi e negativi di reddito in capo ai soci consorziati, tenuto conto di quanto previsto nella risoluzione 30/05/1986, n. 888. Su tale questione la CTR, interpretando tale richiesta in termini di esenzione dalla tenuta e conservazione RAGIONE_SOCIALE scritture contabili, ha dato una motivazione meramente apparente.
Rileva, poi, che la natura consortile non è ostativa allo svolgimento da parte dell’ente di una distinta attività commerciale con scopo di lucro, con la conseguenza che compete all’amministrazione finanziaria l’accertamento dei patti consortili e dei rapporti giuridici e fattuali tra consorzio e soci consorziati (ed eventuali terzi) e, in presenza di situazioni particolari, come quella che si è verificata nel caso di specie (dove il consorzio assegnava ai consorziati i lavori che venivano, poi, rifatturati al committente con una percentuale di ricarico), compete al consorziato fornire la prova che l’eventuale differenza non fosse costituita da ricavi o che fosse, invece, composta da provvigioni o servizi resi dal consorzio stesso.
Con il secondo motivo il RAGIONE_SOCIALE ha contestato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972.
2.1. La parte RAGIONE_SOCIALE evidenzia che nell’avviso di accertamento sono stati recuperati a tassazione (in esito alla valutazione del partitario di contabilità ‘Iva vendite in sospensione’ relativo al periodo di imposta 2009) Euro 573.526,95 in sospensione d’imposta ex art. 6, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972. In particolare, gli importi di Euro 132.805,20 ed Euro 232.548,20 sono relativi a sette fatture emesse nel 2009 nei confronti di enti pubblici ai sensi dell’art. 6, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, mentre l’importo di Euro 205.173,54 è relativo a fatture emesse -sempre in regime di sospensione -in anni precedenti al 2009, ma non ancora incassate.
2.2. I primi due importi (Euro 132.805,20 ed Euro 232.548,20) sono stati ripresi a tassazione, poiché il RAGIONE_SOCIALE li ha ceduti pro solvendo alla RAGIONE_SOCIALE Ad avviso dell’amministrazione finanziaria la cessione di crediti relativi a fatture emesse in sospensione di imposta ex art. 6, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972 comporta l’immediata esigibilità dell’imposta da parte dell’erario. Secondo la parte RAGIONE_SOCIALE, tuttavia, nessuna norma prevede l’effetto invocato dall’amministrazione fin anziaria e cioè l’immediata esigibilità dell’imposta. Richiama, quindi, la circolare ministeriale del 15/02/2013, n. 1 in relazione all’interpretazione dell’art. 32 -bis d.l. 22/06/2012, n. 83.
2.3. La RAGIONE_SOCIALE rileva, poi, che l ‘importo di Euro 206.173,54 ripreso a tassazione, poiché asseritamente non documentato, è da riferire a fatture emesse con IVA in sospensione di imposta in anni precedenti al 2009. Più precisamente, si tratta di fatture per le quali l’amministrazione finanziaria non ha dimostrato, né in sede di
verifica ispettiva, né in sede di accertamento l’avvenuto pagamento da parte del cessionario nel corso del periodo di imposta 2009.
L’RAGIONE_SOCIALE nel controricorso ha rilevato l’inammissibilità del primo motivo in relazione a quanto previsto nell’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ. in relazione alla cd. doppia conforme, evidenziando altresì come la controparte non specifichi quali sarebbero gli elementi fattuali relativi ai rapporti tra il consorzio e le proprie imprese consorziate, la cui valutazione sarebbe stata pretermessa.
3.1. Con riferimento al secondo motivo ha poi evidenziato che: a) l’importo di Euro 206.173,54 è riferito al ‘bilancio di apertura’, cioè all’IVA in sospensione relativa alle fatture emesse nell’anno o negli anni precedenti non ancora incassate, sulle quali il RAGIONE_SOCIALE, in sede di contraddittorio con l’amministrazione finanziaria, no n ha fornito alcun chiarimento; b) gli importi di Euro 134.805,20 ed Euro 232.548,20 erano riferiti a IVA su fatture cedute dal RAGIONE_SOCIALE alla cessionaria RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sRAGIONE_SOCIALE, ai sensi della legge n. 52 del 1991, nell’ambito di un’operazione che prevedeva la cessione di crediti derivanti da un appalto tra la Provincia di Reggio Calabria e l’RAGIONE_SOCIALE. di cui faceva parte il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE).
3.2. La controRAGIONE_SOCIALE evidenzia, poi, come il RAGIONE_SOCIALE in merito all’IVA di Euro 206.173,54 avesse ricondotto il regime di sospensione, durante il giudizio di primo grado, a un’operazione di cessione del credito che non aveva documentato e che solo nel giudizio d’appello aveva sostenuto (con argomentazione inammissibile, in quanto qualificabile come motivo nuovo ai sensi dell’art. 54 d.lgs. 31/12/1992, n. 546 ) la non accertabilità dell’IVA nell’annualità del 2009, poiché riferibile ad anni precedenti.
3.3. In merito agli importi di Euro 134.805,20 e di Euro 232.548,20 è stato, poi, evidenziato come la cessione di un credito
vantato nei confronti della P.A. -derivante da fatture ad esigibilità differita -comporta l’immediata esigibilità dell’imposta, che viene, quindi, a coincidere con la cessione del credito: in termini finanziari il cedente realizza, infatti, l’equivalente di quanto dovuto dal debitore ceduto. Solo in tal modo il cedente è messo in grado di conoscere anche l’esatto momento in cui adempiere gli obblighi contabili e di fatturazione, a differenza dell’ipotesi in cui l’esigibilità sia collegata al momento dell’effettivo pagamento del debitore ceduto . Tale ricostruzione, ad avviso dell’amministrazione controRAGIONE_SOCIALE , risulta confermata dalla mancata previsione di obblighi informativi nell’atto di cessione del credito.
3.4. La controRAGIONE_SOCIALE ha, poi, rilevato che la ratio della normativa che ha previsto l’esigibilità differita dell’IVA è da ricondurre alla necessità di non gravare chi emetta fatture nei confronti di un committente pubblico del versamento dell’imposta a debito prima dell’incasso effettivo. Tale esigenza è, tuttavia, neutralizzata nel caso dell’operazione di factoring , che ha una causa finanziaria autonoma, incentrata sul pagamento di una somma di denaro al cedente all’atto della cessione, consentendo a quest’ultimo l’immediata realizzazione del credito. Evidenzia, quindi, che nel caso di operazioni rientranti nel regime di sospensione di cui all’art. 6, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972 il perfezionamento del trasferimento del credito concretizza l’onere per il soggetto cedente -di corrispondere l’IVA tramit e il concorso alla liquidazione del periodo in cui avviene l’incasso del corrispettivo.
3.5. La controRAGIONE_SOCIALE rileva, infine, che, nel caso di specie, era stata riscontrata (anche) la non corretta tenuta della contabilità da parte del RAGIONE_SOCIALE, dal momento che i crediti ceduti avrebbero dovuto essere eliminati dalla contabilità del cedente come se fossero stati incassati.
Il primo motivo di ricorso -oltre ai profili di inammissibilità riconducibili a ll’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ., considerato che la sentenza della CTR è interamente confermativa della sentenza di primo grado -è soprattutto infondato. La parte RAGIONE_SOCIALE afferma, infatti, a pag. 5 del ricorso che: « ha chiesto al giudice adito, nel ricorso introduttivo prima, e successivamente nel ricorso di appello, di pronunciarsi in merito alla circostanza relativa al mancato esame, in sede di verifica e successivamente in sede di accertamento, dei patti consortili e della natura dei rapporti tra il RAGIONE_SOCIALE, le imprese socio consorziate, ed eventualmente i terzi, al fine di stabilire il corretto inquadramento dell’attività del consorzio medesimo, e quindi, di conseguenza, il corretto regime contabile e fiscale da applicare. » Tuttavia, l’asserita « neutralità fiscale » del RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto essere provata dalla stessa parte RAGIONE_SOCIALE che si afferma soggetta a « ribaltamento» degli elementi positivi e negativi di reddito in capo ai soci consorziati. Non solo non è stata data tale prova, ma non risultano indicati, nell’esposizione del primo motivo di ricorso, quali fossero gli elementi dai quali, in concreto, avrebbe dovuto essere ricavata la pretesa neutralità fiscale del RAGIONE_SOCIALE.
5. Il secondo motivo di ricorso è, in parte, inammissibile, per difetto di specificità (art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.) con riferimento all’IVA di Euro 206.173,54 ripres a a tassazione e contestata dalla parte RAGIONE_SOCIALE, rilevando che si tratta di fatture in regime di sospensione anteriori all’anno 2009. La RAGIONE_SOCIALE non precisa, infatti, di quali fatture si trattasse, a quali prestazioni si riferisse e chi fosse il relativo committente (al fine di rientrare nel regime di sospensione ex art. 6, comma 5, d.P.R. n. 633 del 1972). Tale difetto di specificità preclude alla Corte l’esame della censura.
5.1. Diversamente, il secondo motivo è ammissibile in merito alle riprese di Euro 134.805,20 e di Euro 232.548,20 per le quali è pacifico che si trattasse di prestazioni rese in favore della P.A., come tali astrattamente riconducibili al regime di sospensione previsto nell’art. 6, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972. Tale norma stabilisce che: « per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti, di cui al quarto comma dell’articolo 4, nonché per quelle fatte allo Stato, agli organi dello Stato ancorché dotati di personalità giuridica, agli enti pubblici territoriali e ai consorzi tra essi costituiti ai sensi dell’articolo 25 della legge 8 giugno 1990, n. 142, alle RAGIONE_SOCIALE, agli istituti universitari, alle unità sanitarie locali, agli enti ospedalieri, agli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico, agli enti pubblici di assistenza e beneficenza e a quelli di previdenza, l’imposta diviene esigibile all’atto del pagamento dei relativi corrispettivi. »
5.2. Nel caso di specie i crediti derivanti dalla prestazione dei servizi in regime di sospensione sono stati ceduti, nell’ambito di un’operazione di factoring , facendo sorgere la questione se tale trasferimento possa far venir meno il regime di sospensione, sia in ragione della realizzazione del corrispettivo da parte del cedente, sia in ragione del venir meno della ratio che presiede all’ipotesi di sospensione disciplinata nell’art. 6, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972 ( i.e. evitare che il contribuente che sia in credito verso la PRAGIONE_SOCIALEA. debba versare a quest’ultima l’IVA per una prestazione resa in suo favore e non ancora pagata), sia in relazione alla contabilizzazione dell’IVA nel periodo in cui il credito relativo alla prestazione di un determinato ser vizio viene, di fatto, realizzato nell’ambito di un’operazione di factoring . Tanto più che, nel caso in esame, non può venire in rilievo -come correttamente evidenziato nella
sentenza impugnata -l’art. 32 -bis d.l. 22/06/2012, n. 83, conv. con modif. dalla legge 07/08/2012, n. 134, trattandosi di previsione entrata in vigore in data 01/12/2012, cioè successivamente alle operazioni che vengono in rilievo nel caso in esame. Non solo: i rapporti tra l’ art. 6, comma 5, d.P.R. n. 633 del 1972 (applicabile all’ipotesi di esecuzione della cessione o della prestazione in favore dello Stato o di enti pubblici che, assoggettati a regime di contabilità speciale possono incorrere in eventuali ritardi o impedimenti nei pagamenti, v. Cass., 22/09/2006, n. 22540) e l’art. 32 -bis d.l. 22/06/2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 07/08/2012, n. 134 (che riguarda le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rese da soggetti passivi, con volume d’affari non superiore a due milioni di euro, « nei confronti di cessionari o di committenti che agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professione» ) sono da ricostruire, in ragione della tipologia differenziata dei destinatari RAGIONE_SOCIALE cessioni o RAGIONE_SOCIALE prestazioni di servizi resa dal soggetto passivo, più in termini di alternatività che di specialità.
5.3. Per risolvere la questione se la cessione, nell’ambito di un’operazione di factoring , dei crediti derivanti dalla prestazione di un servizio o dalla cessione di beni faccia venir meno il regime di sospensione disciplinato nell’art. 6, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, sono preliminari alcune sintetiche considerazioni relative all’operazione negoziale tra il soggetto passivo dell’imposta e il factor . Come evidenziato da questa Corte: « Il “factoring” è un contratto atipico complesso, il cui nucleo fondamentale prevede sempre un accordo in forza del quale un’impresa specializzata (il ‘factor’) si obbliga ad acquistare (‘pro soluto’ o ‘pro solvendo’), per un periodo di tempo determinato e rinnovabile salvo preavviso, la totalità o una parte dei crediti di cui un imprenditore è o diventerà titolare. Il “factor” paga all’imprenditore i crediti ceduti secondo il
loro importo nominale, decurtato di una commissione che costituisce il corrispettivo dell’attività da esso prestata, oppure gli concede RAGIONE_SOCIALE anticipazioni sui crediti ceduti, nel qual caso spettano al “factor”, oltre alla commissione, anche gli interessi sulle somme anticipate. » (Cass., 07/07/2017, n. 16850).
L’atipicità che connota il contratto di factoring (anche a seguito della regolazione contenuta nella legge n. 52 del 1991, v. Cass. 17/08/2004, n. 17116) e la variegata colorazione causale che può assumere nella pratica (v. Cass., 15/02/2013, n. 3829) si accompagna al dato ineliminabile che il suo « nucleo essenziale è costituito dall’obbligo assunto da un imprenditore (cedente o fornitore) di cedere ad un altro imprenditore (factor) la titolarità dei crediti derivanti dall’esercizio dell’impresa, pro soluto o pro solvendo, con effetto traslativo variabile nel tempo a seconda del modo di atteggiarsi dell’accordo.» (Cass., 02/10/2015, n. 19716).
La giurisprudenza di questa Corte ha poi precisato come, a seguito, della cessione, l’adempimento da parte del debitore ceduto non costituisca pagamento di un debito nei confronti del cedente, ma bensì del cessionario , escludendo, pertanto, l’applicazione dell’art. 44 l.fall. nell’ipotesi in cui il pagamento del debito ceduto sia successivo alla dichiarazione di fallimento del cedente (« Il contratto di “factoring”, ove postuli una cessione dei crediti a titolo oneroso in favore del “factor”, attribuisce a quest’ultimo la titolarità dei crediti medesimi e, quindi, la legittimazione alla loro riscossione in nome e per conto proprio, e non in qualità di semplice mandatario del cedente, sicché il pagamento eseguito dal debitore ceduto si configura quale adempimento di un debito non del cedente verso il “factor” ma proprio del debitore ceduto verso quest’ultimo, per cui, seppur eseguito dopo il fallimento del cedente, non comporta alcuna sottrazione di risorse alla massa e non è sanzionato con l’inefficacia
prevista dall’art. 44 l.fall. », Cass., 02/10/2015, n. 19716). Tale orientamento conferma, quindi, che il tratto distintivo del contratto di factoring sia da individuare nel trasferimento del credito dal cedente al factor, che diventa, quindi, titolare esclusivo del credito ceduto. Il pagamento eseguito dal debitore ceduto è, pertanto, eseguito nei confronti del factor, senza che la fase di realizzazione del credito (attraverso il pagamento del servizio reso da parte del destinatario della prestazione) determini una triangolazione tra cedente, cessionario e debitore ceduto, totalmente assente anche nel momento di perfezionamento del contratto di factoring e RAGIONE_SOCIALE singole cessioni attuate nella fase esecutiva di quest’ultimo.
5.4. Ciò premesso, sono fondate le argomentazioni della controRAGIONE_SOCIALE: la cessione del credito nei confronti della P.A. nell’ambito di un’operazione di factoring comporta la realizzazione del credito derivante dalla prestazione di un servizio (la cui titolarità passa, in via definitiva, al factor , v. Cass., 02/10/2015, n. 19716), con il conseguente venir meno del regime di sospensione previsto nell’art. 6, comma 5, d.P.R. n. 633 del 1972. Tale regime è, infatti, posto a tutela del contribuente, al fine di evitare che quest’ultimo sia tenuto a pagare l’IVA in relazione alla prestazione di un servizio reso in favore della P.A. (che integra il fatto generatore dell’imposta) nonostante il mancato pagamento del corrispettivo di quest’ultimo . Questa Corte ha, infatti, precisato che la disciplina dell’art. 6, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972: « non trova fondamento nell’oggetto o nella causa del contratto di cessione, ma nella qualità soggettiva del cessionario, ente pubblico sottoposto all’osservanza della normativa in materia di contabilità pubblica, e mira a porre il cedente al riparo da ritardi o impedimenti nell’esecuzione dei pagamenti, derivanti dall’applicazione di detta normativa. » (Cass., 22/09/2006, n. 20540.
Questa Corte, sempre con riferimento al regime di sospensione delineato nell’art. 6, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, ha, inoltre, affermato che: « In tema di IVA, nel caso di cessioni allo Stato ed agli enti pubblici previsti dall’art. 6, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, il termine per il versamento dell’imposta decorre dalla data di effettivo incasso del corrispettivo da parte del cedente e non da quella di emissione del mandato di pagamento o del bonifico bancario da parte del cessionario: tale disciplina di favore è volta, infatti, a tutelare coloro che contrattano con soggetti pubblici, ponendoli al riparo da eventuali ritardi nell’effettuazione dei pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione. » (Cass. 05/10/2018, n. 24454).
Deve, quindi, ritenersi che, la cessione del credito derivante dalla prestazione del servizio reso in favore di uno dei soggetti indicati nell’art. 6, comma 5, d.P.R. n. 633 del 1972 nell’ambito di un’operazione di factoring e il conseguimento del prezzo di tale cessione da parte del cedente faccia venire meno la situazione di ritardo o impedimento nel pagamento del corrispettivo, che giustifica il regime di sospensione previsto nella norma appena richiamata. È attraverso la cessione ( attuata nell’ambito di un’operazione complessa come quella di factoring , che assolve -come nel caso di specie dove il factor è una banca -anche a una funzione di finanziamento) il soggetto passivo realizza, infatti, il credito derivante dall’esecuzione della prestazione resa in favore di uno dei soggetti menzionati nell’art. 6, comma 5, d.P.R. n. 633 del 1972.
5.5. Peraltro, i l differimento di esigibilità dell’imposta rispetto al momento in cui si materializza il fatto generatore di quest’ultima (individuato dall’art. 63 Dir. 2006/112/CE « nel momento in cui è effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi» è consentito,
in virtù della deroga prevista nell’art. 66, par. 1, lett. b) Dir. 2006/112/CE, « non oltre il momento dell’incasso del prezzo ».
L’eventuale differenziale temporale dell’esigibilità dell’imposta rispetto al momento in cui si perfeziona il fatto generatore del credito non può che essere, tuttavia, riferito al medesimo soggetto passivo e non a terzi che si rendano cessionari di crediti derivanti dalla prestazione del servizio da cui scaturisce l’obbligo di pagamento dell’imposta.
5.6. A tal fine non può neppure avere rilievo la circostanza che il corrispettivo per la cessione del credito possa essere inferiore al valore nominale del credito, considerato che la differenza esprime il costo della prestazione resa dal factor che non va ad intaccare il fatto generatore dell’imposta. Quest’ultimo non viene neppure intaccato dalle garanzie che possano accompagnare la cessione del credito e, in particolare, quella che riguardi l’eventuale insolvenza del debitore (cd. cessio pro solvendo ). L’even tuale insolvenza del debitore ceduto non determina, infatti, l’eliminazione dell’effetto traslativo del credito che si attua in base al principio consensuale (art. 1376 cod. civ.) e il pagamento ricevuto dal cedente (elemento sufficiente a determinare il venir meno dei presupposti per l’applicazione del regime di sospensione ex art. 6, quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972).
5.7. Deve essere, quindi, affermato il seguente principio di diritto: « La cessione del credito derivante dalla prestazione di un servizio reso in favore di uno dei soggetti indicati nell’art. 6, comma 5, d.P.R. 26/10/1972 , n. 633 nell’ambito di un’operazione di factoring e il conseguimento del corrispettivo da parte del cedente determinano la cessazione del regime di sospensione del pagamento dell’imposta sul valore aggiunto, al cui versamento il soggetto passivo è,
pertanto, tenuto, senza dover attendere il pagamento del debitore ceduto in favore del factor .»
5.8. Il motivo di ricorso è da ritenere, pertanto, infondato in relazione alle riprese di Euro 134.805,20 e di Euro 232.548,20.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso deve essere rigettato, con la condanna della parte RAGIONE_SOCIALE al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite in favore della parte resistente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore della controRAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.700 per compensi oltre le spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del RAGIONE_SOCIALE principale, dell’ulteriore importo a titolo di co ntributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 25/06/2024.