Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14517 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14517 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato ;
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE con sede in Genova, nonché RAGIONE_SOCIALE con sede in Torino, in persona dei rispettivi legali rappresentanti, difesi dall’avv. NOME COGNOME e con elezione di domicilio digitale all’indirizzo pec: EMAIL;
– controricorrenti –
Avverso la sentenza n. 2824/2021 della Commissione Tributaria Regionale della Puglia pronunciata il 19 ottobre 2021 e depositata il 25 ottobre 2021.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 aprile 2025 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.In data 7 giugno 2010 il Tribunale di Bari omologava il concordato fallimentare a mezzo del quale la società RAGIONE_SOCIALE
Cessione crediti
assumeva il debito della fallita società RAGIONE_SOCIALE nei termini di cui alla proposta. Nell’attivo era compreso anche credito fiscale per ritenute operate sul conto della procedura. Quest’ultimo veniva dalla RAGIONE_SOCIALE ceduto a RAGIONE_SOCIALE con atto del 1° aprile 2011.
La cessionaria instava per il rimborso e produceva fra l’altro tutti gli estratti conto intestati al fallimento per il periodo 1° gennaio 200130 settembre 2010 (importo del credito per il periodo € 118.294,11), nonché quelli intestati al concordato fallimentare per il periodo fino al 31 marzo 2011 (importo del credito per il periodo € 6.258,13).
La CTP, a fronte del diniego dell’amministrazione, accoglieva l’istanza, e la relativa decisione veniva confermata anche in sede d’appello dalla CTR.
L’Agenzia ha proposto ricorso in cassazione con due motivi, mentre le contribuenti hanno resistito con un congiunto controricorso, illustrato da memoria in prossimità dell’udienza .
CONSIDERATO CHE
1.Col primo mezzo la difesa erariale denuncia nullità della sentenza per asserita motivazione apparente, in violazione e falsa applicazione dell’art. 1 e dell’art. 36 d. lgs. n. 546/1992, in combinato disposto con l’art. 132, n. 4, c.p.c. e con l’art. 118 disp. att. c.p.c.
Il motivo è inammissibile perché ciò che la difesa erariale rimprovera ai giudici d’appello, come si evince dalla lettura del contenuto del motivo, non è un vizio della sentenza per mancanza od apparenza del requisito motivazionale, bensì l’aver accolto la domanda sulla base di documentazione che viene ritenuta insufficiente o inconferente. Così, però, pur volendo valorizzare il contenuto anziché l’intitolazione del motivo, la difesa erariale ha inteso devolvere al giudice della legittimità un riesame del merito della controversia, avendo infatti la CTR appurato la sussistenza del
credito ceduto e con ciò ritenuto soddisfatto l’onere probatorio gravante sulla cessionaria istante.
L’Agenzia , peraltro, aggiunge che il vizio motivazionale consisterebbe nel non avere la CTR proceduto all’accertamento del credito riguardo al soggetto originario titolare del diritto, che essa individua nell’assuntore.
Ma l’originario titolare non è l’assuntore, che semmai è anch’esso divenuto titolare a seguito dell’omologa del concordato per assunzione, bensì il fallimento (almeno per la gran parte del credito, maturato per il periodo di titolarità dei conti, specificato nella parte in fatto).
Col secondo motivo si deduce violazione degli artt. 2697 cod. civ., 114, 115 e 116 cod. proc. civ., sul presupposto che la decisione impugnata avrebbe esentato il contribuente -richiedente il rimborso dell’imposta – dal proprio onere probatorio.
2.1. La questione è quella già esaminata a proposito del motivo precedente: l’impostazione della difesa erariale è fondata sull’argomentazione che il cessionario dovrebbe provare la permanenza del credito in capo al cedente, che infatti avrebbe potuto procedere a compensazione o detrazione del credito dalle imposte dovute.
Anche sotto tale profilo il ricorso è privo di fondamento.
In effetti il contribuente che agisce per un rimborso di crediti a fronte del diniego opposto dall’amministrazione, deve senz’altro dimostrare la sussistenza del credito, circostanza pacificamente verificatasi a mezzo del deposito di tutti gli estratti conto dai quali emergevano le ritenute operate sugli interessi attivi.
Circa poi la prova che il credito stesso non sia stato oggetto di compensazione o detrazione da parte del cedente, va osservato non solo che tanto semmai sarebbe avvenuto attraverso una dichiarazione integrativa rivolta allo stesso ente debitore, che quindi ne dovrebbe essere a conoscenza, ma poiché la cedente era
l’assuntore (RAGIONE_SOCIALE), la stessa certo non avrebbe potuto materialmente compensare o detrarsi i crediti nell’anno 2010 allorché la dichiarazione finale da parte del titolare originale (cioè il fallimento) non era ancora stata fatta, mentre nel 2011 (allorché questa dichiarazione intervenne) ormai il credito era stato ceduto, il tutto come senza contestazione documentato dalle controricorrenti (cfr. pag. 9-10 del controricorso e riferimenti ai documenti prodotti ivi contenuti).
Il ricorso deve essere, dunque, respinto, con aggravio di spese in capo alla ricorrente soccombente, che si liquidano in dispositivo.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna l’amministrazione ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5 .000,00, oltre rimborso forfettario per spese generali nella misura del 15 % dell’onorario, i.v.a. e c.p.a. se dovute, ed oltre ad esborsi per € 200,00.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2025