Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32338 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 32338 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 10486/2023 R.G. proposto da Agenzia delle Entrate , in persona del direttore pro-tempore , domiciliata ope legis in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende; -ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME con domicilio eletto presso il suo studio, sito in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5119/22 della Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado del Lazio, depositata il 15.11.2022; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26 settembre 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME udito il P.M., dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso; udito per la ricorrente, l’avv. NOME COGNOME
udito per il controricorrente, l’avv. NOME COGNOME
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale III di Roma, notificava al Notaio NOME COGNOME l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro n. NUMERO_DOCUMENTO, in applicazione della aliquota dello 0,50% sul valore di 4.000.000,00, in ordine ad una cessione di crediti pro solvendo dalla RAGIONE_SOCIALE dal 1918′ alla Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. di crediti maturati e maturandi nei confronti del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, a garanzia dell’apertura di credito concessa dalla Banca Montepaschi al cedente, fino alla somma di euro 3.500.000,00.
Il notaio proponeva ricorso avverso l’avviso di liquidazione deducendo, in particolare, che nella natura finanziaria dovesse essere ricompreso ogni tipo di finanziamento ed operazione connessa.
Nella sentenza di primo grado, la CTP accoglieva il ricorso, affermando che, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, l’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 imponeva una qualificazione oggettiva degli atti secondo la causa concreta dell’operazione negoziale complessiva, qualificazione ed interpretazione che doveva essere compiuta dal giudice guardando all’operazione economica complessivamente posta in essere dalle parti. Osservava, inoltre, come nel caso di specie dall’esame del contratto di cessione di credito si evinceva chiaramente che lo stesso trovava una giustificazione causale nell’apertura di credito concessa dalla cedente.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello e la Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado del Lazio, sezione 5, con la sentenza n. 519/22, confermava la decisione di primo grado sul presupposto che la cessione di crediti a scopo di garanzia potesse essere considerata una ‘prestazione accessoria’ al finanziamento, posto in
essere dal medesimo soggetto che aveva ricevuto il finanziamento bancario, e, dunque, soggetta ad IVA.
Contro questa sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per ottenerne la cassazione, che ha affidato a un unico motivo.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1.Con l’unico motivo, rubricato ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 10 d.P.R. 633/1972 e dell’art. 6 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 131/1986, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.’, l’Agenzia delle Entrate, facendo leva sul testo del contratto di cessione (e, in particolare, sull’espressa previsione nella quale si dava conto del fatto che, al momento della stipula della cessione, la linea di credito era già stata concessa), censura la decisione impugnata, per aver il giudice di secondo grado erroneamente ritenuto che il semplice collegamento negoziale sussistente tra il contratto di finanziamento e la cessione dei crediti in garanzia potesse giustificare l’applicazione dell’imposta fissa anche in relazione alla cessione dei crediti, che rappresenta un negozio a causa variabile, la cui tassazione non può essere influenzata dalle intenzioni delle parti.
Secondo la CTR, il regime della cessione sarebbe conformato da quello dell’apertura di credito, in quanto i due contratti sarebbero confluiti in un’unica operazione (si legge nella sentenza impugnata che la linea di credito sarebbe stata ottenuta ‘dietro cessione di credito’), da trattare unitariamente sotto il profilo fiscale. Il che propizierebbe l’applicazione del principio di alternatività tra imposta di registro ed imposta sul valore aggiunto, essendo l’apertura di credito esente da Iva, con la conseguente assoggettabilità della cessione del credito all’imposta di registro in misura fissa. L’applicazione del principio non è difatti condizionata all’effettiva sottoposizione ad Iva dell’operazione, essendo sufficiente che essa
rientri in tale ambito, cosicché vale anche nel caso in cui sia poi prevista in concreto l’esenzione (in termini, Corte cost. 12 dicembre 2014, n. 279).
3.- La censura è fondata e merita accoglimento.
3.1. In generale, per consolidato principio espresso da questa Corte, il discrimine tra tassazione unica e tassazione separata è ancorato alla distinzione fra negozio complesso e negozi collegati, posta dall’art. 21 del d.P.R. n. 131 del 1986, in virtù del quale il primo è contrassegnato da una causa unica, mentre, in caso di collegamento, distinti ed autonomi negozi si riannodano ad una fattispecie pluricausale, della quale ciascuno realizza una parte, ma pur sempre in base ad interessi immediati ed autonomamente identificabili: di qui la tassazione separata di ciascuno di essi (Cass. n. 16417 del 2015, Rv. 636101-01). Tale soluzione interpretativa ha trovato ulteriore conferma nella giurisprudenza della Corte Costituzionale che ha ribadito la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro (C. Cost. n. 158 del 2020, n. 39 del 2021).
3.2.- In particolare, peraltro con riguardo a una fattispecie in cui l’atto sottoposto a tassazione era una cessione di crediti a garanzia di un finanziamento contestualmente erogato dalla banca (Sez. 5, Ordinanza n. 25620 del 2022, non massimata), si è precisato che il criterio da utilizzare nell’interpretazione è quello diretto alla verifica degli effetti che i negozi sono destinati a produrre: si è quel caso stabilito che le disposizioni soggette a tassazione unica sono soltanto quelle fra le quali intercorre, in virtù della legge o per esigenza obiettiva del negozio giuridico, e non per volontà delle parti, un vincolo di connessione, o compenetrazione,
immediata e necessaria.
3.3. Nella fattispecie in esame non emergono elementi, in base ai quali affermare che la cessione del credito si sia andata ad inserire come elemento qualificante nella struttura del contratto bancario, la causa del quale consiste nell’affidamento: ciò, in quanto la banca
accreditante s’impegna a tenere a disposizione del cliente accreditato una determinata somma di danaro, per un dato tempo o a tempo indeterminato.
Anzi, emergono elementi in senso contrario, dati dalla circostanza, che emerge dalla premessa del contratto di cessione riprodotto in ricorso (a pag. 7), e che rinviene conferma al punto 11 del controricorso, che il contratto di apertura di credito e quello di cessione di credito sono autonomi e che, quando è avvenuta la cessione, l’apertura di credito era già stata stipulata.
Il che, giustappunto in relazione alla richiamata natura d’imposta d’atto dell’imposta di registro, è d’ostacolo alla ricerca di una causa reale ed unitaria di un complessivo regolamento negoziale, al fine della riqualificazione dei due distinti atti, in base all’art. 20 del d.P.R. 131 del 86: la cessione del credito, per la sua finalità di garanzia risulta vicenda accidentale rispetto all’operazione di finanziamento, sia pure ad essa collegata. Anzi, come questa Corte ha già osservato (anche al fine di escludere l’applicazione dell’art. 15 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601), nel caso in cui ci si trovi di fronte ad una situazione nella quale oggetto di regolamento negoziale è la cessione del credito, successiva all’operazione di finanziamento, con finalità di garanzia, il negozio in questione non ha per oggetto un finanziamento, ma, per l’appunto, la garanzia di recupero del credito (Cass., Sez. 5, n. 28734/23).
3.4. Occorre, altresì, aggiungere che la finalità di garanzia cui rispondono le cessioni dei crediti comporta che la società cessionaria non è tenuta ad alcuna prestazione ulteriore, sicché non vi è una prestazione remunerata (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 34230 del 2021, non massimata). Il che esclude altresì la rilevanza della considerazione svolta dalla difesa controricorrente in merito all’assenza di corrispettivo. La cessione del credito, infatti, ai sensi dell’art. 1260 c.c. è un negozio a causa variabile che può assolvere a diverse funzioni, nel quale il trasferimento del credito può
avvenire a titolo gratuito o oneroso ed al quale si applica il principio della cosiddetta “presunzione di causa”, che può anche non essere indicata nello stesso negozio.
Come già condivisibilmente affermato questa Corte, infatti, nella cessione del credito non si ravvisa alcun corrispettivo della prestazione del cedente, giacché il valore di acquisto e l’eventuale guadagno che il cessionario realizza qualora riesca a incassare il credito a un valore superiore a quello di acquisto, non è un corrispettivo per il servizio prestato, ma si limita a riflettere il valore economico effettivo del credito al momento della cessione (Corte giust. 27 ottobre 2011, causa C-93/10, GFKL RAGIONE_SOCIALE Ag, punti 23-25; ne fa applicazione nella giurisprudenza interna Cass. 5 agosto 2015, n. 16417 (Sez. 5 , Sentenza n. del 03/12/2020, Rv. 659965 – 01).
La cessione di credito va quindi esclusa dal novero delle operazioni imponibili, le quali, nell’ambito del sistema dell’Iva, presuppongono l’esistenza di un negozio giuridico tra le parti implicante la stipulazione di un prezzo o di un controvalore. In particolare, come sottolineato dalla Procura generale, una prestazione di servizi viene effettuata «a titolo oneroso», ai sensi dell’art. 2, n. 1, della sesta direttiva e configura un’operazione imponibile soltanto quando tra il prestatore e l’utente intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni, nel quale il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato all’utente (Corte giust. 26 giugno 2003, causa C-305/01, RAGIONE_SOCIALE, punto 47), dovendo sussistere un nesso diretto tra il servizio prestato ed il controvalore ricevuto (Corte giust. 29 luglio 2010, causa C-40/09, RAGIONE_SOCIALE nonché Corte giust. 27 ottobre 2011, causa C93/10, cit.).
3.5. La Corte di Giustizia Tributaria di II Grado del Lazio, dunque, nell’affermare che l’ottenimento dell’apertura di credito è avvenuta
‘dietro cessione di credito’ ha, dunque, omesso di verificare gli effetti dei singoli negozi posti in essere, contentandosi del collegamento tra il contratto di finanziamento e la cessione dei crediti.
In conclusione, alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi la fondatezza del motivo, il ricorso può trovare accoglimento e la sentenza impugnata deve essere cassata; non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, primo comma, ultima parte, c.p.c., con il rigetto del ricorso originario del contribuente.
Le spese dei giudizi di merito, in ragione della natura delle questioni giuridiche trattate, possono essere compensate, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario proposto dal notaio.
Compensa le spese dei giudizi di merito e condanna il controricorrente a pagare le spese in favore dell’Agenzia delle Entrate che liquida in euro 2.410,00, oltre le spese prenotate a debito.
Così deciso, in Roma, il 26 settembre 2024.