Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14535 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 14535 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 24/05/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13749/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO(P_IVA) che la rappresenta e difende
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPOBASSO n. 345/2020 depositata il 20/11/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il P.G. che ha concluso nel senso del rigetto del ricorso.
Uditi i difensori delle parti.
FATTI DI CAUSA
1.La RAGIONE_SOCIALE versava l’imposta proporzionale di registro sulla complessiva operazione qualificata dall’agenzia delle entrate come cessione di azienda, relativa al decreto di trasferimento del giudice delegato emesso a conclusione del concordato fallimentare della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, con terzo assuntore la predetta RAGIONE_SOCIALE. In data 30 novembre 2018 la RAGIONE_SOCIALE chiedeva il rimborso delle somme versate in eccesso alla stregua dell’articolo 77 d.P.R. del 26 aprile 1986, n.131. Trascorso inutilmente il termine di 90 giorni previsto dall’articolo 21 d.lgs. n. 31 dicembre 1992, n. 546 la predetta RAGIONE_SOCIALE impugnava il rifiuto tacito dell’agenzia dinanzi alla commissione tributaria provinciale Di Campobasso, la quale con sentenza numero 434 del 2019 restringeva il ricorso. Interposto gravame, la commissione tributaria regionale del Molise, nel confermare la prima decisione, respingeva il gravame della RAGIONE_SOCIALE contribuente. Avverso detta sentenza, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE NOME ricorre per la Cassazione sulla base di quattro motivi. Replica con controricorso l’amministrazione finanziaria.
Il PG ha concluso nel senso del rigetto del ricorso.
MOTIVI DI DIRITTO
1.La prima censura deduce violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2,19 e 401 della direttiva 2006/112/CEE, nonchè degli artt. 1 e 2 d.P.R. del 26 ottobre 1972, n. 633 e dell’articolo 40 del d.P.R.
26 aprile 1986, numero 131; degli articoli 3 e 53 della Costituzione, degli articoli 115 e 116 cod. proc. civ. e degli articoli 2697, 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all’articolo 360, primo comma, numero 3), cod.proc.civ..
La ricorrente opera una preliminare dissertazione sul rapporto di alternatività tra iva e imposta di registro e sulle finalità che il legislatore nazionale e quello europeo hanno voluto perseguire attraverso detto regime; in particolare, rammenta che il legislatore europeo ha concesso agli Stati membri la facoltà di optare per il regime di esclusione del trasferimento dell’universalità totale o parziale di beni dall’iva, anche allo scopo di evitare di gravare la tesoreria del beneficiario di un onere fiscale smisurato che sarebbe in ogni caso recuperato ulteriormente mediante detrazione dell’iva versata a monte.
Prosegue la ricorrente ricordando la direttiva 77/388/CEE sulla definizione di azienda, secondo la quale l’elemento che qualifica l’operazione è il rapporto immediato e attuale tra azienda e impresa, ove la fattispecie è individuata in base all’idoneità della prima a essere strumento per l’esercizio della seconda. L’intenzione del cessionario di esercitare l’impresa con l’azienda trasferita costituisce il parametro di valutazione per determinare se l’universalità totale o parziale dei beni sia in grado di consentire uno svolgimento attuale ed effettivo dell’attività di impresa e possa apprezzarsi come cessione di azienda in esercizio. Si osserva che l’intenzione del cessionario non può che essere di tipo oggettivo, servendo per distinguere quali complessi di rapporti giuridici siano riconducibili al concetto di azienda in senso dinamico elaborato dal giudice europeo, così divenendo un elemento qualificante del concetto stesso. In conclusione, per quanto riguarda il concetto di azienda nel sistema comune dell’iva, la ricorrente evidenzia che è il potenziale trasferimento dell’attività economica a rivelarsi estraneo al campo applicativo dell’imposta e a permettere di configurare il
regime di esclusione come apprezzamento normativo di tale estraneità. Pertanto, soltanto il riconoscimento del profilo funzionale dell’azienda esclude la cessione della imposta sul valore aggiunto. Si afferma che quindi il metodo interpretativo interno deve conformarsi a quello indicato dalla Corte di giustizia, dovendosi apprezzare le eventuali incompatibilità di norme nazionali con il diritto unionale. Rammenta che la Corte di Cassazione ha affermato che .
Sotto la medesima rubrica, la ricorrente rappresenta che l’attività di qualificazione giuridica della fattispecie ha la funzione di stabilire quale sia la disciplina in concreto ad essa applicabile e sostiene che dagli atti processuali emerge con tutta chiarezza che in esito alla procedura competitiva riguardante il Lotto 1, con riferimento all’azienda RAGIONE_SOCIALE, alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sono stati trasferiti una parte minoritaria dei beni mobili dell’azienda RAGIONE_SOCIALE, nonché una frazione dei beni immobili in cui veniva esercitata l’azienda di proprietà della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Assume che integra fatto pacifico ex articolo 115, primo comma, cod.proc.civ. che per una futura ipotesi di processo di lavorazioni carni sarà indispensabile il rinnovo completo degli impianti e delle infrastrutture di stabilimento, nonché il recupero dell’impianto per il trattamento dei reflui aziendali la messa a norma degli impianti elettrici, il tutto per un investimento complessivo pari ad euro 34.372,80028,68. Contesta, in particolare, la qualificazione giuridica operata dal RAGIONE_SOCIALE regionale sia per quanto riguarda . Ancora sotto la medesima rubrica, la ricorrente lamenta deducendo che il disposto dell’articolo 116, primo comma, cod.proc.civ. fa riferimento al prudente apprezzamento del giudice e non al suo libero convincimento, il che induce a ritenere che si voglia fondare la prova libera su di una discrezionalità relativa del giudice che trova limiti invalicabili nelle regole logiche nelle massime di esperienza. A tal fine la RAGIONE_SOCIALE trascrive nuovamente l’oggetto del trasferimento avvenuto con decreto del giudice delegato, sostenendo che l’aggiudicazione di detti beni mobili e immobili avrebbero dovuto indurre la Commissione regionale ad approfondire la questione in punto di fatto, in quanto era sufficiente digitare sulla barra del motore di ricerca Google per inferire che l’azienda non era attiva. La ricorrente prosegue dissertando del fatto notorio ex articolo 115, secondo comma, cod proc.civ., sostenendo che rientra nella comune conoscenza che per poter esercitare l’attività di macellazione e di lavorazione delle carni non sono sufficienti le attrezzature relative alla prima ed alla seconda lavorazione, ma sono necessarie anche quelli afferenti la terza lavorazione, le linea RAGIONE_SOCIALE, le celle frigo; così come di esperienza comune, si dovrebbe sapere che la mancanza dell’area produzione, degli spogliatoi delle maestranze, dell’impianto per il trattamento dei reflui aziendali non consente lo svolgimento dell’attività di un’impresa. Si osserva che dalla valutazione dell’insieme degli atti prodotti nel giudizio di merito – perizie e documenti – nonché dalle nozioni di esperienza oggettivamente condivise e accettate dalla generalità degli individui, la Commissione tributaria regionale doveva trarre il convincimento che l’universalità parziale di beni trasferiti alla
RAGIONE_SOCIALE ricorrente in esito alla procedura competitiva riguardante il Lotto 1, non costituiva un’impresa idonea a svolgere un’attività economica economica autonoma. L’illustrazione del motivo termina con considerazioni conclusive in cui si insiste sull’erronea interpretazione e qualificazione dell’operazione economica posta in essere dalla RAGIONE_SOCIALE.
2.La seconda censura denuncia violazione degli articoli 115 e 116 cod. proc. civ., nonché degli articoli 2697, 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3), cod.proc.civ.; per avere i giudici territoriali affermato che gli investimenti necessari a rivitalizzare l’azienda possono incidere sul valore attuale di quest’ultima – come affermato dal giudice di prime cure aggiungendo che la prova contraria affidata dall’appellante al fatto notorio non è stata fornita. Ad avviso della ricorrente, i giudici di appello avrebbero violato l’articolo 2729 cod. civ., in quanto avrebbero i criteri logici su cui si basa il ragionamento inferenziale, individuati nelle massime d’esperienza e fondato il proprio ragionamento sulla presunzione che non risulta essere grave né precisa né concordante. Obbietta la ricorrente che la mancanza dei beni mobili e immobili tuttora di proprietà delle RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che compongono il Lotto 2 non sono stati valutati come elementi aziendali indispensabili per l’esercizio dell’attività di macellazione e di lavorazione delle carni, ma si sarebbero trasformati in un argomento di prova capace di contraddire la affermata inidoneità dei macchinari ed impianti acquistati dalla procedura concordataria ad essere qualificati come produttivi anche solo potenzialmente.
3.Il terzo motivo prospetta la nullità della sentenza per violazione dell’articolo 36, comma 2, n, 4, decreto legislativo 31 dicembre 1992, numero 546, nonché degli articoli 132, secondo comma, numero 4, 115 e 116 cod.proc.civ, in relazione all’articolo 360, primo comma, numero 4), cod. proc. civ.; per essere la
motivazione in fatto affetta da vizio di illogicità e implausibilità. La ricorrente chiede a questa Corte un controllo limitato alla . A tal fine, la ricorrente riproduce le operazioni economiche poste in essere individuando nuovamente i beni oggetto del lotto uno.
4.Il quarto strumento di ricorso lamenta l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetti di contestazione tra le parti, in relazione all’articolo 360, primo comma, numero 5), cod. proc. civ.; denunciando il primo luogo l’omesso esame di fatti storici ritualmente allegati nel giudizio di merito, non meglio individuati nella sua illustrazione e dall’altro, lamentando un deficit logico nella motivazione della decisione impugnata laddove il giudice di merito non ha fatto riferimento alle prove, ai criteri di loro valutazione, alle inferenze ed eventuali comparazioni tra risultanze contrastanti.
5. In via preliminare, occorre divisare la terza doglianza, essa è priva di pregio. L’apparenza della motivazione ricorre, come affermato ripetutamente da questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. del 23/5/2019, n. 13977, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016; Cass. del 12.11.2022, n. 6758 e, da ultimo, S.U. n del 30.01.2023, n. 2767 in motivazione). A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in
esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.
Qui non ricorre alcuna delle ipotesi sopra richiamate, essendo del tutto evidente la ratio portante della decisione e l’assenza di radicali e insanabili contrasti logici, chiarendo che la cessione del Lotto 1) ha determinato il trasferimento di un complesso di beni organizzato per l’esercizio dell’attività di impresa, attività che non risulta , nonché che i beni stessi presentano la caratteristica dell’interdipendenza e della idoneità all’esercizio delle attività di impresa sebbene gli stessi necessitino di interventi di manutenzione ed aggiornamento>.
Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella , nel e nella , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U. del 7/4/2014, n. 8053 Rv. 629830; S.U. del 7/4/2014, n. 8054; Sez. 6-2, 8/10/2014, n. 21257).
6.Le prime due censure -intimamente connesse -possono essere divisate congiuntamente; esse si espongono a rilievi di inammissibilità. E, comunque, nel loro complesso sono infondate. In primo luogo, ci si trova di fronte ad un motivo con il quale si deduce la violazione di plurime norme di diritto sostanziale e processuale, con richiamo alle previsioni di cui alla Direttiva CEE dietro il quale si occulta anche la riproposizione di profili fattuali attinenti alla valutazione di merito.
6.1.Il giudice di secondo grado si è limitato ad esaminare gli elementi probatori risultanti dagli atti causa, segnatamente il decreto del 6 aprile 2017, adottato nell’ambito della procedura di concordato preventivo con il quale si disponeva ; la relazione di stima dell’ing. COGNOME nell’ambito della medesima procedura, il quale dava atto della interdipendenza dei beni trasferiti con il lotto 1; il Modulo di richiesta di accordo di Sviluppo del 26.02.2018 nel quale si evidenziava il programma di sviluppo di un’azienda avente come obiettivo quello di aumentare la propria capacità produttiva ed ottimizzare la gestione del processo produttivo, ritenendo detti elementi idonei a dimostrare la configurabilità della cessione d’azienda, svolgendo un apprezzamento di fatto ad esso riservati. E’ noto che, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, nei cui ambito non rientra il potere di riesaminare e valutare i merito della causa, ma solo quello di controllare, il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui
resta riservata l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, la valutazione delle prove, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle stesse, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (v. Cass. del 27/12/2018, n. 33495; Cass. n. 9097 del 2017; Cass. n. 7921 del 2011); a fronte di plurimi elementi fattuali dei quali la sentenza impugnata per cassazione dà conto e fornisce valorizzazione, non coglie affatto nel segno la censura mirata a far risaltare la carenza dei criteri di gravità, concordanza e precisione, atteso che gli elementi assunti a fondamento della decisione più che elementi presuntivi rappresentano elementi di prova costituiti dalla richiesta di accordo, dal decreto di concordato adottato dal giudice in cui si fa riferimento al trasferimento di ramo d’azienda, dalla consulenza espletata nella stessa procedura. Il richiamo all’imprudente apprezzamento del giudice che non si è avvalso di massime di esperienza -così sembra inferirsi dalle censure che sovrappongono vari piani -mira a rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente (Cass. del 22/11/2023, n. 32505; Cass. del 12.11.2021, n. 20553; Cass. del 3.05. 2022, n. 6774; Cass. del 10.10.2022, n. 7187; Cass. del 7.06.2022, n. 10525).
6.2.La ricostruzione probatoria, anche qualora sostenuta dall’asserita violazione degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., non può essere contestata in questa sede, poiché, come noto, l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito non è, in questa sede, sindacabile, neppure attraverso il richiamo dell’art. 116, cod. proc. civ., in quanto una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., tra le varie, Sez. 6, 27/12/2016, n. 27000
Rv. 642299). Punto di diritto, questo, che ha trovato più di recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni unite (sent. del 30/09/2020, n. 20867 conf. Cass. del 9.06.2021, n. 16016), essendosi affermato che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 cod.proc.civ. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione. E inoltre per dedurre la violazione dell’art. 115 cod.proc.civ., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 cod.proc.civ. ( Cass. del 27.03.2024, n. 8703).
6.3.Sotto altro profilo, ai fini tributari, nella nozione di cessione d’azienda assume rilevanza centrale l’elemento funzionale, ossia il legame fra il singolo elemento aziendale ceduto e l’impresa, sicché,
solo in mancanza di questo legame, il bene potrà ritenersi ceduto autonomamente e pertanto, se del caso, l’operazione sarà assoggettata al pagamento dell’Iva, mentre, nell’ipotesi contraria, l’imposizione non potrà essere frazionata e l’intera operazione negoziale dovrà essere qualificata come cessione d’azienda, assoggettata al pagamento dell’imposta di registro in misura proporzionale (Cass. del 27/12/2018, n. 33495).
6.4. Ai fini della qualificazione di un negozio quale cessione di azienda – assoggettabile ad imposta di registro anziché ad IVA non occorre che il complesso ceduto permetta l’esercizio attuale dell’attività di impresa, essendo sufficiente la sua potenziale attitudine a tale esercizio. (Nella specie, la RAGIONE_SOCIALEC. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto di non poter qualificare cessione di azienda il negozio avente ad oggetto la cessione di alcune centrali idroelettriche in quanto esso non poteva trasferire le relative concessioni amministrative: Cass. del 17/11/2017, n. 27290; Cass. del 27/12/2018, n. 33486).
Ovviamente, vertendosi in tema d’imposizione alternativa, non può rilevare neppure il fatto che sia stato, in ipotesi, corrisposto un tributo non dovuto, atteso che il contribuente ha l’obbligo di versare il tributo previsto dalla legge e non quello scelto in base a considerazioni soggettive (Cass. n. 1405 del 22.01.2013, n. 1405; Cass. del 20/09/2017, n. 21767; Cass. n. 18524 del 2010); nè possono ritenersi violati il principi di alternatività dell’imposta e del divieto di doppia imposizione, ai sensi dell’art. 40 del d.P.R. n. 131 del 1986 e dell’art. 67 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 allorché l’amministrazione finanziaria si curi – come nel caso di specie -dì escludere la detraibilità dell’IVA, quand’anche erroneamente pagata (il che non è neppure avvenuto nel caso di specie), indicando l’imposta di registro quale unico tributo dovuto (Cass. del 12.03.1996, n. 2021; Cass. n. 18524 del 2010), a prescindere da ogni questione circa l’eventuale rimborso dell’IVA
indebitamente pagata in rivalsa (questione, peraltro, nemmeno prospettata dalla ricorrente).
6.5. Come ribadito recentemente dalla Corte di Giustizia, con decisione del dicembre 2016, C208/15, una pluralità di prestazioni vanno considerate “un’unica operazione quando due o più elementi o atti forniti dal soggetto passivo sono strettamente connessi a tal punto da formare, oggettivamente, una sola prestazione economica indissociabile la cui scomposizione avrebbe carattere artificioso. La Corte di Giustizia ha precisato ulteriormente che per stabilire se una pluralità di prestazioni costituisca più prestazioni indipendenti o una prestazione unica, occorre , tenendo conto dell’obiettivo economico di tale operazione (p. 29; V. anche Corte di Giustizia 19 novembre 2009, C-461/08, p. 39), nonchè dell’interesse dei destinatari delle prestazioni (Corte di Giustizia, 16 aprile 2015, C-42/LL).
In tal senso, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha riconosciuto come il concetto di trasferimento di un’universalità totale o parziale di beni debba costituire un’autonoma nozione del diritto dell’Unione da intrepretarsi uniformemente al fine di evitare divergenze nell’applicazione del regime IVA negli Stati membri.
Conseguentemente, la Corte ha individuato il senso e la portata della nozione di trasferimento di un’universalità totale o parziale di beni ricomprendendo in essa il trasferimento di un’azienda o di una parte autonoma di un’impresa, compresi gli elementi materiali e, eventualmente, immateriali che, complessivamente, costituiscono un’impresa o una parte di impresa idonea a proseguire un’attività economica autonoma (cfr. sentenza del 10 novembre 2011, causa C444/10). Per tutti i Paesi che, uniformandosi alla VI direttiva, abbiano previsto un regime interno di esclusione della cessione di azienda dal campo di applicazione dell’Iva, non sussiste alcuna possibilità di frazionamento o scorporo di taluni beni in sede di
qualificazione dell’operazione realizzata dalle parti unitariamente. In altri termini, qualora l’azienda comprenda tipologie di beni la cui autonoma cessione darebbe luogo ad un’operazione imponibile, questi beni perdono autonomia impositiva, per cui ad essi non può attribuirsi rilevanza agli effetti dell’Iva (cfr Corte di Giustizia, sentenza 27 novembre 2003, causa C-497/01). In particolare, con la sentenza del 10 novembre 2011, causa C444/10, – COGNOME (Germania) la CGUE ha esaminato l’art. 1, n. la, dell’UStG, volto a recepire nel diritto nazionale gli artt. 5, n. 8, e 18 della sesta direttiva, che dispone quanto segue: «le operazioni effettuate nell’ambito di una cessione d’azienda ad un altro imprenditore ai fini dell’impresa del medesimo non sono soggette all’IVA. La cessione di azienda consiste nel trasferimento o nel conferimento integrale ad una RAGIONE_SOCIALE, a titolo oneroso o gratuito, dell’intera azienda o di un centro di attività stabile gestito separatamente nella struttura dell’impresa. L’imprenditore acquirente subentra al cedente». La Corte UE, pervenendo alle medesime conclusioni già sostenute con la sentenza causa C-497/01 (punto 40) COGNOME – (Lussemburgo) in cui ha preso in esame l’art. 9, n. 2, primo comma, della legge sull’IVA che dispone: «in deroga alle disposizioni del primo paragrafo, non è considerata come cessione di beni la cessione, in qualunque forma e a qualunque titolo, di una universalità totale o parziale di beni ad un altro soggetto passivo. In questo caso, si ritiene che il cessionario continui la persona del cedente» e con sentenza causa C-29/08, c.d. SKF (punto 37), ha riconosciuto come il concetto di trasferimento di un’universalità totale o parziale di beni debba costituire un’autonoma nozione del diritto dell’Unione da interpretarsi uniformemente al fine di evitare divergenze nell’applicazione del regime IVA negli Stati membri.
In linea generale, per quanto riguarda il trattamento fiscale, ai fini IVA, della cessione di azienda o di ramo di azienda, pertanto, la normativa unionale prevede che “In caso di trasferimento a titolo
oneroso o gratuito o sotto forma di conferimento a una RAGIONE_SOCIALE di un’universalità totale o parziale di beni, gli Stati membri possono considerare che non è avvenuta alcuna cessione di beni e che il beneficiario succede al cedente” (cfr. art. 19 della Direttiva 2006/112/CE).
Di tale facoltà si è avvalso il legislatore nazionale, stabilendo con l’art. 2, comma 3, lettera b), del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, che “non sono considerate cessioni di beni: le cessioni e i conferimenti in RAGIONE_SOCIALE o altri enti, compresi i consorzi e le assicurazioni o altre organizzazioni, che hanno per oggetto aziende o rami di azienda”. Pertanto, le cessioni di aziende, di singoli rami d’azienda conferimenti delle stesse in RAGIONE_SOCIALE o altri enti, compresi i consorzi o le associazioni, sono escluse dal campo applicazione dell’IVA.
6.6. Ciò detto, l’art. 2, comma 3, lett. 3), del d.P.R. del 26 ottobre 1972,n. 633 nel testo vigente ratione temporis, stabilisce che “…non sono considerate cessioni di beni … le cessioni che hanno per oggetto aziende, compresi complessi aziendali relativi a singoli rami della impresa …”; in tal guisa, la norma sottrae dette cessioni al regime dell’IVA, assoggettandole a quello dell’imposta di registro, ai sensi dell’art. 48 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, vigente ” ratione temporis “; nè, con riguardo al caso che occupa, può constare violazione del divieto di doppia imposizione, sol che si consideri che l’Amministrazione, mediante l’avviso di accertamento per cui è controversia (n. NUMERO_DOCUMENTO), non ha reclamato due tributi, essendosi limitata ad applicare l’imposta di registro in capo cessionario del ramo d’azienda (cfr. Cass. del 5.09.2014, n. 18764).
6.7.L’art. 40 del d.P.R. n. 131 del 1986, ponendo il principio dell’alternatività Iva/registro, subordina l’applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale alla condizione che le cessioni di beni e le prestazioni di servizi non siano assoggettate ad Iva. La
qualificazione di una fattispecie come operazione imponibile Iva, dunque, comportando l’assoggettamento alla sola imposta di registro in misura fissa, ha un immediato effetto ai fini del tributo di registro. L’art. 40 cit è, infatti, composto da due periodi, i quali vanno letti unitariamente; il primo periodo afferma il principio generale, derivato direttamente dall’art. 7 della delega, secondo cui, per le operazioni che rientrano nell’area impositiva dell’Iva, il Registro è dovuto in via agevolata in misura fissa (principio della prevalenza dell’Iva) e, questo, allo scopo di attenuare il cumulo dei due tipi di prelievo.
Il secondo periodo esplicita il principio indicato dal primo comma, specificando che, ai fini della alternatività, vale il criterio della soggezione teorica, in forza del quale l’alternatività stessa opera per tutti gli atti che sottintendono operazioni, anche solo astrattamente, soggette ad Iva, a prescindere dalla circostanza che detto tributo non sia in concreto dovuto per l’esistenza di una causa di esonero; e ciò allo scopo di evitare l’effetto di recupero da parte del tributo concorrente. Restano quindi assoggettate all’imposta di registro (in misura proporzionale) solo le operazioni non soggette a IVA (c.d. escluse) per carenza del requisito oggettivo (artt. 2 e 3) e di quello soggettivo (artt. 4 e 5) previsti dal d.P.R. del 26 ottobre 1972, n. 633. Tale principio costituisce espressione e attuazione del divieto della doppia imposizione che ricorre allorché uno stesso soggetto è destinatario di più imposte relative al medesimo presupposto e per lo stesso periodo di imposta, divieto che, a sua volta, costituisce esplicazione del principio costituzionale della capacità contributiva (art. 53 Cost.). L’alternatività tra le due imposte non è connessa solo alla circostanza che un atto sottoposto a registrazione sia effettivamente soggetto ad IVA, ma opera anche quando l’operazione rientri comunque nel campo di applicazione di tale imposta, anche se in concreto non dovuta perché si tratta di
operazioni non imponibili o esenti, sicché lo scopo del principio in questione è non solo quello di carattere -economico di impedire la doppia imposizione, ma anche quello di soddisfare l’esigenza di evitare interferenze applicative tra le due imposte in relazione ad una medesima operazione ( da ultimo Cass. 242/2021).
7.La quarta censura non supera il vaglio di ammissibilità, in quanto contravviene al principio per cui nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’art. 348ter cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528/2014), adempimento in questo caso non assolto dalla RAGIONE_SOCIALE ricorrente e, anzi, dall’esame della motivazione della sentenza gravata risulta che entrambe le decisioni abbiano fondato le loro statuizione sulle medesime rationes decidendi.
8. In definitiva, il ricorso va respinto.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia della somma di € 7.700,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater d.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso all’udienza della sezione tributaria della Corte di cassazione del 17 maggio 2024.
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME