Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2610 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 2610 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/01/2024
SENTENZA
sul ricorso 2549/2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA), in persona del Direttore Generale pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: CODICE_FISCALE) e presso la stessa domiciliata in Roma alla INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE” RAGIONE_SOCIALE, quale Gestore del RAGIONE_SOCIALE denominato “RAGIONE_SOCIALE“, con sede legale in Roma -00184,
Imposta di registro -Riqualificazione come cessione d’azienda di compravendita immobiliare
alla INDIRIZZO (C.F. e P.IVA: P_IVA), in persona dell ‘a mministratore delegato e legale rappresentante pro tempore AVV_NOTAIO, nato a Roma il DATA_NASCITA (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa, giusta procura a margine del controricorso, dall ‘AVV_NOTAIO COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE), nata a Roma il DATA_NASCITA (indirizzo pec: EMAIL), del Foro di Roma ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in INDIRIZZO alla INDIRIZZO INDIRIZZO (fax: CODICE_FISCALE);
-controricorrente –
-avverso la sentenza n. 7024/08/2018 emessa dalla CTR Lazio in data 16/05/2019 e non notificata;
udite le conclusioni orali rassegnate dal AVV_NOTAIO , che ha concluso per il rigetto del primo motivo di ricorso e per l’accoglimento del secondo ;
udito il difensore della ricorrente, che ha concluso per l’ accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
RAGIONE_SOCIALE impugnava l’avviso di liquidazione con il quale l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva riqualificato come cessione d’azienda l’atto di compravendita del 22.7.2011 di un villaggio immobiliare a destinazione residenziale universitaria stipulato tra la predetta società e la RAGIONE_SOCIALE, applicando le imposte di registro, ipotecaria e catastale in considerazione del fatto ch e l’operazione di cessione di azienda esulava dal campo applicativo dell’IVA.
La CTP di Roma adìta accoglieva il ricorso, ritenendo che il contratto dovesse essere qualificato come compravendita immobiliare.
Sull’appello principale dell’RAGIONE_SOCIALE ed incidentale della contribuente, la CTR Lazio rigettava entrambi i gravami, affermando che, poiché la società acquirente era intervenuta nell’atto quale società di gestione di un fondo comune di investimento immobiliare di tipo chiuso e non era mai subentrata nei rapporti di lavoro e nella disponibilità di licenze ed autorizzazioni facenti capo alla venditrice, l’atto sottoposto a
registrazione non poteva che orientarsi nel senso di un negozio di compravendita immobiliare ad uso investimento (con successiva locazione del bene a terzi).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’RAGIONE_SOCIALE sulla base di due motivi. Ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
Considerato in diritto
1. Preliminarmente, avuto riguardo all’eccezione di inammissibilità sollevata dalla resistente, per essere stato, a suo dire, tardivamente proposto il ricorso per cassazione avverso la sentenza della CTR (non potendosi estendere agli avvisi di liquidazione la sospensione di nove mesi dei termini di impugnazione prevista dall’art. 6, comma 11, d.l. 23.10.2018, n. 119, conv., con modificaz., dalla l. 17.12.2018, n. 136), è sufficiente evidenziare che, in tema di definizione agevolata, anche il giudizio avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di liquidazione RAGIONE_SOCIALE imposte proporzionale di registro, ipotecaria e catastale dà origine ad una controversia suscettibile di definizione ai sensi dell’art. 6 del d.l. n. 119 del 2018, conv. dalla l. n. 136 del 2018, laddove tale atto si riveli, come nel caso di specie, espressione di una finalità sostanzialmente impositiva, in quanto suscettibile di esprimere, nei confronti del contribuente, una pretesa fiscale maggiore di quella applicata, in via provvisoria, al momento della richiesta di registrazione (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 20683 del 20/07/2021).
Ragion per cui, considerato il termine lungo di sei mesi di cui all’art. 327 cod. proc. civ. (non essendo stata la sentenza della CTR notificata) e la sospensione di nove mesi di cui sopra, il termine ultimo per proporre il ricorso scadeva il giorno 10.1.2010, vale a dire esattamente nella data in cui il ricorso risulta notificato.
1.1. Del pari in via preliminare, si rileva che è già stata decisa da questa Corte, con sentenza n. 21377/22, la controversia contraddistinta dal RG 24790/19 relativa alla rideterminazione del valore dell’immobile, alla quale la ricorrente aveva chiesto di riunire il presente procedimento.
Con il primo motivo la ricorrente deduce la motivazione apparente,
illogica e contraddittoria, nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 n. 4) d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., per non aver la CTR ritenuto che il contratto di compravendita costituisse in realt à una cessione d’azienda, in quanto comprendente beni che formavano un complesso organico unitariamente considerato di per sé idoneo a consentire lo svolgimento di attività ricettizia.
2.1. Il motivo è infondato.
La ricorrente si è limitata a riprodurre da pagina 7 a pagina 14 stralci della documentazione prodotta in giudizio (l’avviso di liquidazione ed il pvc) e da pagina 16 a pagina 19 i passaggi logici di una sentenza della CTR Lazio emessa in data 4.12.2018 con riferimento al medesimo avviso di liquidazione e sfavorevole alla venditrice (RAGIONE_SOCIALE), nonché, a pagina 21 del ricorso, l’ iter motivazionale di una pronuncia di questa Corte (Cass. n. 2876/2017).
Le specifiche doglianze formulate avverso la sentenza di secondo grado risultano a pagina 15, che si riduce ad una apodittica affermazione (‘Dalla disamina degli atti, appariva evidente che l’intera operazione negoziale si sostanziava in una cessione di az ienda’), e a pagina 20 (in cui genericamente si critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto decisivi aspetti del tutto ‘formalistici’ e superficiali, quali la natura giuridica del soggetto acquirente e l’assoggettamento a specifiche proced ure di controllo) del ricorso.
E’ vero che nel processo tributario la riproposizione a supporto dell’appello RAGIONE_SOCIALE ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci (cfr., per tutte, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 32954 del 20/12/2018).
Ma è altrettanto vero che la censura si sostanzia nel denunciare il vizio di motivazione ‘apparente, illogica e contradditoria’.
Orbene, da un lato, la motivazione resa dalla CTR si pone senz’altro al di sopra del minimo costituzionale (desumendo la qualifica dell’atto sottoposto a registrazione come negozio di compravendita immobiliare ad uso investimento – con successiva locazione del bene a terzi -dalle circostanze che la società acquirente era intervenuta nell’atto quale società di gestione di un fondo comune di investimento immobiliare di tipo chiuso e non era mai subentrata nei rapporti di lavoro e nella disponibilità di licenze ed autorizzazioni facenti capo alla venditrice), non potendosi, per l’effetto, configurare una motivazione apparente, e, dall’altro lato, sulla base dell’attuale formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., il vizio di motivazione contraddittoria sussiste solo in presenza di un contrasto insanabile tra le argomentazioni addotte nella sentenza impugnata che non consenta la identificazione del procedimento logicogiuridico posto a base della decisione (Cass., Sez. L, Sentenza n. 17196 del 17/08/2020).
Del resto, l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 cod. civ., e segg., o di motivazione inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione dell’ iter logico seguito per giungere alla decisione). Sicché, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione RAGIONE_SOCIALE norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536). D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere
l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una RAGIONE_SOCIALE possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178). Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. 7500/2007; 24539/2009).
Nella fattispecie in esame, invece, la ricorrente non ha denunciato alcuna violazione RAGIONE_SOCIALE norme ermeneutiche.
A ben vedere, quindi, l’RAGIONE_SOCIALE altro non fa che sollecitare una rivalutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze istruttorie, preclusa nella presente sede di legittimità.
D’altra parte, essendosi in presenza di una cd. doppia conforme e non avendo la ricorrente neppure dedotto che le decisioni dei due gradi di merito si fondavano su differenti ragioni in fatto, sarebbe stata preclusa all’RAGIONE_SOCIALE la possibilità di censurare la sentenza della CTR ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ.
Da ultimo, nessuna valenza sul piano probatorio potrebbe essere riconosciuta alla sentenza che si è pronunciata sullo stesso avviso di liquidazione ma nei confronti della venditrice, atteso che, da un lato, la stessa è stata emanata, appunto, tra parti differenti e, dall’altro lato, non risulta essere passata in giudicato.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 20 dPR n. 131/1986, 2697 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per non aver la CTR considerato che la contribuente non aveva assolto l’onere di fornire la prova contraria.
3.1. Il motivo è fondato per quanto di ragione.
Come è noto, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697
cod. civ. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione RAGIONE_SOCIALE fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni.
Nel caso di specie, non risulta che la CTP, prima, e la CTR, poi, abbiano posto a carico dell’RAGIONE_SOCIALE l’onere di dimostrare i fatti contrari alle risultanze, essendosi limitate ad analizzare, sul piano interpretativo, i dati emergenti dal contratto.
2.2. Ai fini della qualificazione contrattuale, da operarsi «sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi», la CTR avrebbe dovuto identificare gli elementi identitari che, anche in ragione della sua pregressa utilizzazione contrattuale, consentissero di escludere l’esistenza di un complesso di beni organizzati (anche solo in via potenziale) all’esercizio di un’impresa quale oggetto dell’atto sottoposto a registrazione.
Orbene, in tema di IVA, e con riferimento alla regola della cd. non avvenuta cessione, di cui all’art. 19 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, sostanzialmente riproduttivo dell’art. 5 paragrafo 8, della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977 (disposizioni, queste, che qui rilevano ai fini dell’applicazione del principio di alternatività Iva/Registro), la Corte di Giustizia ha statuito che «affinché si configuri un trasferimento di un’azienda o di una parte autonoma di un’impresa, occorre che il complesso degli elementi trasferiti sia sufficiente per consentire la prosecuzione di un’attività economica autonoma e che la questione se tale complesso debba o meno contenere sia beni mobili che beni immobili deve essere valutata alla luce della natura dell’attività economica di cui trattasi» (CGUE 19 dicembre 2018, causa C-17/18, Vi. Ma. e a., punto 15; CGUE 10 novembre 2011, Schriever, C-444/10, punti 25 e 26); nonchè che, a tal fine, «deve essere accordata particolare importanza alla natura dell’attività economica che si intende proseguire nell’ambito della valutazione globale RAGIONE_SOCIALE circostanze di fatto che dev’essere effettuata per determinare se
l’operazione di cui trattasi rientri nella nozione di «trasferimento di un’universalità di beni», ai sensi della direttiva IVA (CGUE 19 dicembre 2018, cit., punto 15; CGUE 10 novembre 2011, cit., punto 32).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, deve qualificarsi quale cessione di azienda una cessione di beni strumentali atti, nel loro complesso e nella loro interdipendenza, all’esercizio di impresa, mentre la cessione di singoli beni, inidonei di per sè ad integrare la potenzialità produttiva propria dell’impresa, deve essere sottoposta ad IVA; ai fini dell’assoggettamento all’imposta di registro non si richiede che l’esercizio dell’impresa sia attuale, essendo sufficiente l’attitudine potenziale all’utilizzo per un’attività d’impresa, nè è esclusa la cessione d’azienda per il fatto che non risultino cedute anche le relazioni finanziarie, commerciali e personali (v. Cass., 30 giugno 2021, n. 18402; Cass., 27 dicembre 2018, n. 33486; Cass., 17 novembre 2017, n. 27290; Cass., 22 gennaio 2013, n. 1405; Cass., 19 novembre 2007, n. 23857; Cass., 25 gennaio 2002, n. 897; Cass., 28 aprile 1998, n. 4319). Si è, peraltro, rimarcato che, se può ascriversi alla fattispecie della cessione di azienda anche una sola parte dei beni ceduti che, pur non comprendendo tutti quelli che appartenevano all’azienda oggetto di cessione, abbia tuttavia mantenuto un’organizzazione autonoma idonea a consentire di esercitare un’attività d’impresa, seppur con inevitabili integrazioni che il cessionario abbia dovuto porre in essere, ciò non di meno è pur sempre necessario che i beni ceduti conservino un residuo di organizzazione che ne dimostri l’attitudine, sia pure con la successiva integrazione del cessionario, all’esercizio dell’impresa, dovendo comunque trattarsi di un insieme organicamente finalizzato ex ante all’esercizio dell’attività d’impresa (Cass., 30 marzo 2021, n. 6 8748; Cass., 8 maggio 2013, n. 10740; Cass., 9 ottobre 2009, n. 21481; Cass., 9 dicembre 2005, n. 27286).
2.3. Nel caso in esame la CTR non si è attenuta a tali principi, poiché, a fronte RAGIONE_SOCIALE disposizioni del contratto e, soprattutto, della descrizione dell’immobile (riprodotti ai fini dell’autosufficienza), destinato già al momento dell’atto ad un’attività alberghiera concessa in locazione, di cui
era espressamente prevista, nello stesso contratto, la continuazione con altro conduttore, ha basato il suo giudizio su elementi inidonei ad escludere che il bene costituisse in sé un’azienda, poiché ha sottolineato solo la circostanza ininfluente del mancato subentro nei contratti e quella, non attinente al bene e quindi altrettanto inconcludente, della natura giuridica del soggetto acquirente.
Alla stregua RAGIONE_SOCIALE considerazioni che precedono, in accoglimento per quanto di ragione del secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata, con conseguente rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio.
P.Q.M.
Accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il secondo motivo del ricorso, rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in differente composizione. Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della