Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21566 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21566 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Data pubblicazione: 27/07/2025
– SEZIONE TRIBUTARIA –
OGGETTO
composta dai seguenti magistrati:
NOME COGNOME
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere – rel. –
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
Ud. 14/05/2025
REGISTRO BASE IMPONIBILE – DEBITI INERENTI –
ha deliberato di pronunciare la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17023/2022 del ruolo generale, proposto
DA
RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE, in persona dell’amministratore unico, NOME COGNOME rappresentata e difesa, in forza di procura speciale e nomina da considerarsi poste in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE.
– RICORRENTE –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (codice fiscale CODICE_FISCALE).
– CONTRORICORRENTE –
per la cassazione della sentenza n. 4735/15/2021 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata in data 27 dicembre 2021, non notificata. Numero sezionale 3404/2025 Numero di raccolta generale 21566/2025 Data pubblicazione 27/07/2025
UDITA la relazione svolta all’udienza camerale del 14 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Oggetto di controversia è l’avviso di liquidazione in atti con cui l’Agenzia delle Entrate rettificava, ai fini dell’imposta di registro, la base imponibile della cessione di azienda intervenuta tra la società RAGIONE_SOCIALE (cedente) e la RAGIONE_SOCIALE (cessionaria), avente ad oggetto la commercializzazione al dettaglio ed all’ingrosso di tessuti per abbigliamento, determinandone il valore in 947.246,00 € rispetto alla somma di 20.000,00 € (di cui 19.000,00 € per l’avviamento) dichiarata, così recuperando a tassazione la maggiore imposta complementare di 27.575,00 €, oltre accessori.
Con l’impugnata sentenza la Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, riformava la pronuncia di primo grado impugnata e confermava l’avviso di liquidazione impugnato.
Tutto ciò, dopo aver richiamato le previsioni degli artt. 51 e 52 d.P.R. n. 131/1986 (da ora anche T.U. reg. o T.U.R.), nonché la giurisprudenza del giudice di legittimità ed il concetto di avviamento positivo ( goodwill ), per poi ritenere corretta la determinazione del valore di mercato dell’azienda ceduta contenuta nell’avviso basata sul reddito di 154.200,00 € « pari ai canoni (ndr : di locazione ed affitto di ramo d’azienda che la ricorrente versava alla cedente) minimi
garantiti, sulla supposizione che le aspettative reddituali della nuova gestione potessero identificarsi, almeno, in tale valore». Numero sezionale 3404/2025 Numero di raccolta generale 21566/2025 Data pubblicazione 27/07/2025
Il Giudice regionale concludeva nel senso di ritenere non dimostrata la deduzione della contribuente, la quale aveva osservato come non fosse fondata su riscontri empirici ed era comunque contraria al senso comune l’assunto da cui muoveva l’Amministrazione secondo cui l’imprenditore sarebbe necessariamente in grado di realizzare tanti più utili, quanto maggiore è il canone di locazione corrisposto per gli immobili strumentali utilizzati.
Con notifica in data 24 giugno 2022, RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione contro la menzionata pronuncia, articolando due motivi di impugnazione.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso notificato il 5 settembre 2022 (lunedì).
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente ha lamentato, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 51 T.U.R., in relazione all’erronea individuazione del metodo di valorizzazione dell’azienda oggetto di cessione e l’utilizzo da parte dell’Ufficio di una fuorviante presunzione.
Nello specifico, l’istante ha rappresentato come correttamente il primo Giudice avesse valorizzato la circostanza degli storici andamenti economici «dell’azienda cedente» (v. pagina n. 9 del ricorso), segnata da utili modesti negli anni 2015/2016, da una perdita di oltre 72.000 € nel 2017 e dalla intervenuta dichiarazione di fallimento della cedente nel 2018, essendosi basato, invece, il Giudice
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regionale su di un irragionevole metodo presuntivo, fondato su di un unico elemento di costo esposto in bilancio dalla società, che non teneva conto dell’andamento negativo dell’attività economica caratterizzante gli anni pregressi e risultato disancorato dal valore in comune commercio, come previsto dall’art. 51 T.U. reg.
1.1. Il motivo è fondato nei termini che seguono.
L’art. 51, comma 1, d.P.R. n. 131/1986, ratione temporis applicabile, stabiliva -per quanto ora occupa che « si assume come valore dei beni o dei diritti, salvo il disposto dei commi successivi, quello dichiarato dalle parti nell’atto e, in mancanza o se superiore, il corrispettivo pattuito per l’intera durata del contratto», precisando, al comma 2, che per gli atti aventi ad oggetto aziende, per valore occorre riferirsi al « valore venale in comune commercio», mentre, al comma 4, prevedeva che per gli atti che hanno per oggetto aziende o diritti reali su di esse il valore dichiarato dalle parti « è controllato dall’ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l’azienda compreso l’avviamento al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del codice civile, tranne quelle che l’alienante si sia espressamente impegnato ad estinguere . L’ufficio può tener conto anche degli accertamenti compiuti ai fini di altre imposte e può procedere ad accessi, ispezioni e verifiche secondo le disposizioni relative all’imposta sul valore aggiunto».
La valutazione del «valore venale in comune commercio» è il criterio normativo che deve essere rispettato nella determinazione della base imponibile, ma l’operazione resta, tuttavia, affidata ad un apprezzamento fattuale (cfr., anche da ultimo, in tema di avviamento, ma con principio valevole
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anche per la valutazione dell’azienda, Cass. n. 1190/2025 e la varia giurisprudenza ivi citata). Numero di raccolta generale 21566/2025 Data pubblicazione 27/07/2025
1.2. Non sussistono criteri legali per la stima del valore di un avviamento aziendale.
La giurisprudenza di questa Corte ha, tuttavia, chiarito che, ai fini della determinazione del valore dell’avviamento dell’azienda, i criteri di cui all’art. 2, comma 4, d.P.R. n. 460/1996 possono essere utilizzati, nonostante l’abrogazione di tale decreto da parte del d.lgs. n. 218/1997, non essendo stato dallo stesso previsto un metodo alternativo di determinazione di tale valore, ferma la possibilità per il contribuente di dimostrare un valore inferiore dell’avviamento aziendale rispetto a quello accertato (cfr. Cass. n. 1190/2025 cit., che menziona Cass. n. 4732/2022, che richiama Cass. n. 7750/2019 e la giurisprudenza ivi citata), assumendo, per tale via, detti criteri valore solo indiziario.
Tali criteri offrono «indicazioni minime» cui l’Amministrazione finanziaria deve attenersi nella procedura transattiva che conduce ad un accertamento con adesione, il cui valore indiziario va inteso nel senso che il valore effettivo dell’avviamento non è inferiore a quello cui si perviene mediante la loro applicazione (cfr. Cass. 2802/2024 e la giurisprudenza ivi citata).
1.3. Allo stesso modo, questa Corte ha più volte precisato che il criterio del canone capitalizzato “si rivela plausibile”, essendo tale dato fattuale la contropartita che la parte poi divenuta cedente ha richiesto a fronte della capacità reddituale rinunciata ed è il costo che l’affittuaria paga in ragione della redditività che si attende di ritrarre dall’azienda (cfr. Cass. n. 2802/2024, che richiama Cass. n. 12320/2020, che rimanda a
Cass. n. 22503/2015, che a sua volta richiama Cass. n. 9115/2012). Numero sezionale 3404/2025 Numero di raccolta generale 21566/2025 Data pubblicazione 27/07/2025
In tale direzione deve osservarsi che il criterio adottato dalla Commissione regionale, basato sul canone capitalizzato, si è posto in linea con il principio sopra illustrato, fondando la decisione su di un metodo di riconosciuta plausibilità, per cui si rivela errata la critica della ricorrente nella parte in cui ha bollato tale criterio come « fuorviante ed errata presunzione» (v. pagina n. 8 del ricorso) e come « creativo nuovo metodo introdotto dall’Agenzia delle Entrate » (v. pagina n. 15 del ricorso).
1.4. Nondimeno, non può non osservarsi che nell’avviso non si è tenuto conto della circostanza fattuale, indicata dalla ricorrente in termini non contestati, secondo cui il valore dell’azienda dichiarato nell’atto, pari a 20.000,00 € (di cui 19.000,00 € per l’avviamento) era « inteso come saldo contabile fra le poste attive comprensive di avviamento e quelle passive cedute in unico col ramo d’azienda, fra cui 110.000 di TFR accollato alla cessionaria» (v. pagina n. 6 del ricorso).
Nel motivo di ricorso l’istante ha rappresentato che la base imponibile va calcolata ai sensi dell’art. 51, comma 4, T.U.R. considerando il valore beni, compreso l’avviamento, « al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del codice civile».
Il rilievo è corretto.
1.5. Questa Corte, dando seguito all’orientamento già in precedenza espresso (cfr. Cass. n. 10218/2016 e Cass.
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888/2019 e Cass. 891/2019) ha affermato il seguente principio di diritto: Numero di raccolta generale 21566/2025 Data pubblicazione 27/07/2025
«l’inerenza delle passività non sussiste solo allorquando le passività siano riferibili a operazione idonee a produrre reddito, poiché la riferibilità si relaziona non ai ricavi in sé, ma all’oggetto dell’impresa»;
b) «l’art. 50 del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, interpretato alla luce della disciplina comunitaria di cui costituisce attuazione (il riferimento è alla Direttiva n. 69/335/CEE del Consiglio del 17 luglio 1969, ma è estensibile alla Direttiva n. 08/7/CE del Consiglio del 12 febbraio 2008, che costituisce “rifusione” della precedente e delle sue modificazioni), impone che la base imponibile vada determinata in ragione del valore dei beni o diritti conferiti al netto delle passività e degli oneri “inerenti” al bene o diritto trasferito, con esclusione delle passività che non sono collegate all’oggetto del trasferimento» (così Cass. n. 2802/2024).
È stato così chiarito che «nemmeno può prospettarsi un qualche legittimo dubbio sulla natura inerente del debito contratto nei confronti del personale dipendente, la cui concreta attività risulta indissolubilmente correlata allo stesso svolgimento dell’attività di impresa» (cfr. Cass. n. 21179/2024, proprio in un caso in cui il T.F.R. dei dipendenti aveva formato oggetto della clausola contrattuale di accollo in capo al cessionario del ramo di azienda).
Non solo. Si è ribadito che «La disciplina dell’imposta di registro in tema di cessione di azienda disarticola la rilevanza degli accolli fondati sulla disposizione di cui al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 43, comma 2 (secondo il cui disposto «I debiti o gli altri oneri accollati e le obbligazioni estinte per
effetto dell’atto concorrono a formare la base imponibile.»), in ragione della inerenza, o meno, del debito che (così) viene in considerazione ai fini della tassazione di registro della cessione di azienda (d.P.R. cit., art. 51, comma 4), essendosi rilevato che, mentre le passività aziendali di cui all’art. 2560 cod. civ. (oggetto di accollo ex lege ), inerenti all’esercizio di attività di impresa, vanno senz’altro scomputate dal calcolo della base imponibile, gli accolli di debiti diversi vanno, invece, inseriti nel medesimo calcolo (solo) allorquando ne emerga l’estraneità all’azienda, in questo caso non potendosi che configurare un’ipotesi sostanzialmente riconducibile all’accollo da parte del cessionario del debito del cedente, quale modalità di determinazione e corresponsione del prezzo di acquisto (v. Cass., 30 gennaio 2024, n. 2802; Cass., 11 gennaio 2022, n. 539)» (così Cass. n. 21179/2024 cit.). Numero sezionale 3404/2025 Numero di raccolta generale 21566/2025 Data pubblicazione 27/07/2025
1.6. La valutazione del Giudice regionale risulta sul punto monca, avendo applicato il metodo reddituale della capitalizzazione del canone, senza però completare l’operazione detraendo dalla base imponibile i debiti inerenti all’attività aziendale che sono stati oggetto di accollo da parte del cessionario.
Per tale ragione il primo motivo di impugnazione va accolto.
Con la seconda censura, articolata ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5, c.p.c., la società ha denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla « situazione complessiva dell’azienda alla luce dei documenti dedotti in primo grado e sui quali, pacificamente, non vi è stata alcuna contestazione» (v. pagina n. 15 del ricorso).
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Si tratta del dedotto andamento dell’attività commerciale negli anni 2015/2017 (con utili modesti per gli anni 2015/2016 ed in perdita nell’anno 2017), seguito dal fallimento della cedente nell’anno 2018.
Tuttavia, nella logica della decisione impugnata, tali dati sono stati implicitamente superati dalla valorizzazione del citato canone locativo mimino garantito, il cui valore è stato ritenuto dal Giudice regionale essere stato stimato (dalla ricorrente) pari alla redditività che la società si aspettava potesse recuperare dall’attività aziendale.
Ciò porta ad escludere la contestata omissione, disvelando il motivo, piuttosto, il tentativo di investire la Corte in un apprezzamento fattuale del materiale probatorio acquisito.
Alla stregua di quanto precede, va accolto il primo motivo nei termini sopra esposti e va rigettata la seconda censura.
La sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia -in diversa composizione -per la rideterminazione della base imponibile dell’imposta di registro relativa alla cessione in oggetto, detraendo da essa i debiti inerenti (tra cui il T.F.R.) che sono stati oggetto di accollo da parte della cessionaria, oltre che per regolare le spese del presente grado di legittimità.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo motivo di impugnazione, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia –
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in diversa composizione -anche per regolare le spese del presente grado di legittimità. Data pubblicazione 27/07/2025
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 maggio 2025 .
IL PRESIDENTE NOME COGNOME