Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33054 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33054 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
Oggetto:
Tributi
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 12703/2015 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procura speciale a margine del ricorso (PEC: EMAIL; EMAIL);
-ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 1810/06/2014, depositata il 10.11.2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTR del Veneto rigettava l’ appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della CTP di Treviso, che aveva rigettato il ricorso proposto dalla predetta contribuente avverso l’avviso di a ccertamento, con il quale veniva recuperata l’ IVA ritenuta indebitamente detratta, per l’anno 20 07;
dalla sentenza impugnata si evince, per quanto ancora qui rileva, che:
il recupero riguardava fatture relative ad alcune operazioni di cessione, effettuate dalla società RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE. alla società RAGIONE_SOCIALE, di beni costituenti l’intero magazzino relativo alla propria attività , riqualificate dall’Agenzia delle entrate come cessione d’azienda e, quindi, assoggettate ad imposta di registro e non ad IVA, con conseguente disconoscimento della detrazione IVA in capo alla contribuente cessionaria;
gli elementi indiziari indicati dall’Ufficio nell’avviso di accertamento impugnato dimostravano che le operazioni, poste in essere dalla società contribuente, configuravano una cessione di azienda, così come era stato già affermato nella sentenza della CTR del Veneto n. 107/29/2013, con riferimento ad analoga contestazione formulata in relazione all’anno 2006 ;
con riferimento alle sanzioni, l’Ufficio aveva motivato in ordine all’individuazione dell’autore della violazione nell’ultimo paragrafo della p. 4 dell’avviso di accertamento ‘ evidenziato dalla sigla N.B. sottolineata ‘, indicando le ragioni per le quali le sanzioni erano riferibili al socio accomandatario, NOME COGNOME la sanzione era stata irrogata con atto contestuale all’avviso di accertamento, in conformità all’art. 17 del d.lgs. n. 472 del 1997, ed era pretestuosa la
doglianza sulla mancanza dell’elemento soggettivo, alla luce dei fatti legittimanti la ripresa;
la società contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, illustrati con memoria;
-l’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
-Preliminarmente va disattesa l’eccezione di giudicato esterno, proposta dalla controricorrente con la memoria depositata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., in relazione alle sentenze di questa Corte n. 26503 del 29.09.2021 e n. 21853 (erroneamente indicato con il n. sezionale 702) del 21.07.2023, riguardanti la medesima questione controversa, con riferimento all’anno d’imposta 2006;
secondo il principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 13916 del 16.06.2006, infatti, ‘ Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di
durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, che attraverso l’impugnazione dell’atto mira all’accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell’annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale “norma agendi” cui devono conformarsi tanto l’Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d’imposta’;
-l’effetto preclusivo del giudicato relativo ad un singolo periodo di imposta, dunque, non opera indistintamente e in via generale per altri periodi d’imposta, essendo limitato non solo alle ipotesi di concreta sussistenza del ‘ medesimo rapporto giuridico’, ma anche alla ‘ soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune’, aventi natura di ‘ premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza’ ;
detto effetto preclusivo può riguardare, poi, esclusivamente gli ‘ elementi costitutivi della fattispecie’ estensibili nel tempo e quindi insensibili al ‘periodo d’imposta’, individuati, in via esemplificativa, nella ‘ qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria’;
alla luce di questi condivisibili canoni giuridici è da escludere l’operatività in questo giudizio del giudicato esterno riguardante altre annualità, giacché né l’unicità della verifica fiscale né i rilievi mossi per i diversi periodi d’imposta rappresentano un fatto a carattere stabile ovvero permanente destinato a reiterarsi per le diverse annualità;
in ultimo, è utile precisare che il giudicato non può riguardare comunque l’attività interpretativa delle norme di diritto, in quanto « l’attività interpretativa delle norme giuridiche compiuta dal Giudice, consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire limite all’attività esegetica esercitata da altro Giudice, dovendosi richiamare a tale proposito il distinto modo in cui opera il vincolo determinato dall’efficacia oggettiva del giudicato ex art. 2909 cod. civ. rispetto a quello imposto, in altri ordinamenti giuridici, dal principio dello stare decisis (cioè, del precedente giurisprudenziale vincolante) che non trova riconoscimento nell’attuale ordinamento processuale (cfr. Cass, 15 luglio 2016, n. 14509, Cass., 21 ottobre 2013, n. 23723) », con la conseguenza che « l’interpretazione ed individuazione della norma giuridica posta a fondamento della pronuncia -salvo che su tale pronuncia si sia formato il giudicato interno -non limitano il Giudice dell’impugnazione nel potere di individuare ed interpretare la norma applicabile al caso concreto e non sono, quindi, suscettibili di passare in giudicato autonomamente dalla domanda o dal capo cui si riferiscono, assolvendo ad una funzione meramente strumentale
rispetto alla decisione (cfr. Cass. 20 ottobre 2010, n. 216561, Cass. 23 dicembre 2003, n. 19679) » (cfr. Cass., 5 marzo 2024, n. 5822, in motivazione);
ciò posto, con il primo motivo, la contribuente deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, relativo alla esistenza di un accertamento in fatto contenuto in altro precedente di merito (sentenza della CTP di Treviso n. 55/09/13) che aveva escluso la sussistenza di una cessione d’azienda ;
il motivo è inammissibile, in quanto opera il limite della c.d. “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ., introdotto dall’articolo 54, comma 1, lett. a), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nel presente giudizio, atteso che l’appello avverso la sentenza di primo grado risulta depositato in data 18.12.2013, non avendo la ricorrente dimostrato che le ragioni di fatto, poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di appello, erano fra loro diverse ( ex multis , Cass. n. 266860 del 18/12/2014; Cass. n. 11439 dell’11/05/2018);
-con il secondo motivo, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2555 e 2697 cod. civ., nonché, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la CTR condiviso l’accertamento effettuato dall’Ufficio, secondo il quale l’operazione dissimulava una cessione d’azienda, senza valutare in concreto se con i beni ceduti potesse essere svolta una qualche attività produttivo / commerciale e, quindi, se con i beni ceduti si fosse trasferito un compendio suscettibile di autonoma capacità produttiva, da potersi configurare come organizzazione finalizzata alla produzione; ribadisce
che una precedente sentenza della CTP di Treviso, emessa nel giudizio relativo all’impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, aveva qualificato come cessione di beni la vendita alla società contribuente di beni strumentali (macchinari);
anche il secondo motivo è inammissibile;
nella parte in cui viene formulato come omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. è inammissibile per le stesse ragioni prima evidenziate con riferimento al primo motivo;
per la restante parte è invece inammissibile, in quanto la ricorrente deduce solo apparentemente una violazione di norme di legge, ma in realtà mira alla rivalutazione dei fatti, operata dal giudice di merito, che ha accertato come la cessione dei beni effettuata dalla società RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, consistita nella vendita dell’intero magazzino caratterizzante la propria attività, dissimulava una cessione di azienda; la predetta censura prospetta, quindi, non l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla esclusiva valutazione del giudice di merito ( ex multis , Cass. n. 3340 del 5/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017);
sul punto occorre premettere che, secondo un consolidato principio di diritto, il regime legale dell’obbligazione tributaria (nel caso in esame, con riferimento al principio di alternatività tra l’IVA e l’imposta di registro) ha carattere imperativo e natura inderogabile, in quanto sottratto alle libere scelte delle parti; si è, difatti, osservato che ‘nei casi di imposizione alternativa il contribuente e ancora di più l’ufficio, hanno rispettivamente l’obbligo di corrispondere o di richiedere il tributo effettivamente dovuto e non quello per primo corrisposto o scelto dal contribuente in base a considerazioni
soggettive ‘ ( ex multis , Cass. n. 5225 del 21/02/ 2019 e Cass. n. 23219 del 18/09/2019);
l’Amministrazione finanziaria ha, invero, il potere di verificare se le qualificazioni giuridiche che il contribuente ha effettuato siano corrette ai fini della funzione impositiva e, in definitiva, di interpretare l’atto in vista della determinazione della ricchezza sulla quale dovrà essere applicata l’imposta; tale attività interpretativa va collegata al perdurante potere dell’Amministrazione di interpretare il contratto, a fronte di situazioni di fatto diverse e, di conseguenza, individuare lo specifico regime tributario da applicare (Cass. n. 30974 del 2/11/2021);
con riferimento alla nozione di azienda, poi, poiché le leggi fiscali non ne dettano una definizione specifica, occorre fare riferimento alle norme civilistiche e, in particolare, all’art. 2555 cod. civ. che definisce l’azienda come il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa, dovendosi verificare, quindi, se i beni ceduti, considerati nel loro insieme, costituiscano un’organizzazione autonoma idonea a consentire di esercitare un’attività imprenditoriale;
questa Corte ha più volte affermato, in tema di distinzione tra assoggettabilità ad imposta di registro della cessione d’azienda e assoggettabilità ad IVA della cessione di singoli beni, che, in presenza di una cessione di beni atti, nel loro complesso e nel loro collegamento, all’esercizio d’impresa, si deve ravvisare una cessione d’azienda soggetta ad imposta di registro, mentre solo la cessione di singoli beni, inidonei di per sé ad integrare la potenzialità produttiva propria dell’impresa, deve essere assoggettata ad IVA (Cass. n. 897 del 25/01/2002; Cass. n. 23857 del 19/11/2007; Cass. n. 1405 del 22/01/2013; Cass. n. 10740 del 08/05/2013);
la cessione di azienda si ha anche nel caso in cui i beni ceduti nella loro complessità siano potenzialmente utilizzabili per attività d’impresa, senza che abbia rilievo il requisito «dell’attualità dell’esercizio dell’impresa né la mancata cessione delle relazioni finanziarie, commerciali e personali» (Cass. n. 9162 del 16/04/2010; Cass. n. 27290 del 17/11/2017);
a tale proposito è stato precisato che non occorre che la cessione riguardi la totalità dei beni aziendali o di un determinato ramo aziendale, essendo sufficiente che il complesso degli elementi trasferiti conservi un residuo di organizzazione che ne dimostri l’attitudine, sia pure con la successiva integrazione del cessionario, all’esercizio dell’impresa, dovendo comunque trattarsi di un insieme organicamente finalizzato ex ante all’esercizio dell’attività d’impresa ( ex multis , Cass. n. 22710 del 25/09/2018; n. 34858 del 17/11/2021; n. 22327 del 15/07/2022);
in altri termini, per qualificare il trasferimento come cessione d’azienda o di ramo d’azienda, non è necessaria la cessione di tutti gli elementi che normalmente costituiscono l’azienda, ma occorre verificare se nel complesso dei beni ceduti permanga un residuo di organizzazione, che costituisca un insieme organicamente finalizzato ex ante all’esercizio dell’attività d’impresa, di per sé idoneo a consentire l’inizio o la continuazione di quella determinata attività (Cass. n. 21481 dl 9/10/2009, n. 9575 dell’11/05/2016; n. 22327/2022 cit.);
nella specie, la CTR ha ritenuto che i molteplici elementi presuntivi offerti dall’Amministrazione, puntualmente descritti nella sentenza impugnata al punto 2) (le fatture relative alla vendita da parte della società RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE. dell’intero magazzino erano le uniche emesse dalla società cedente nell’anno 2007; la società cedente aveva la medesima compagine sociale della
società cessionaria, formata da NOME COGNOME e da NOME COGNOME; nell’anno 2006 la società RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE. aveva ceduto alla stessa società RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE. tutti i beni strumentali; nello studio di settore per l’anno 2007 la cedente ha dichiarato di non avere rimanenze finali né beni strumentali e il volume d’affari e IVA erano rappresentati esclusivamente dall’alienazione di tutto il magazzino alla società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. di NOME COGNOME & C.; quattro dipendenti della RAGIONE_SOCIALE erano transitati nel 2007 alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE, dimostrassero chiaramente che gli atti di cessione ‘frazionata’ dei beni facenti parte del magazzino dissimulavano una cessione di azienda, con la conseguente assoggettabilità de ll’operazione ad imposta di registro, anzichè ad IVA;
-i giudici di appello, dopo avere richiamato l’indirizzo giurisprudenziale di legittimità, secondo il quale ‘ove sussista una cessione di beni strumentali, atti, nel loro complesso e nella loro interdipendenza, all’esercizio di impresa, si deve ravvisare una cessione d’azienda soggetta ad imposta di registro, mentre la cessione di singoli beni, inidonei di per sé ad integrare la potenzialità produttiva propria dell’impresa, deve essere assoggettata ad IVA ‘, hanno affermato che nella specie ‘gli elementi evidenziati dall’Amministrazione finanziaria nell’avviso di accertamento impugnato, al quale per brevità si fa esplicito rinvio e richiamati anche al precedente punto 2) della presente motivazione, consentono di appurare che le operazioni poste in essere tra le due società configurano una cessione d’azienda così come individuata nel principio enunciato dalla Suprema Corte citato innanzi ‘;
la CTR ha, quindi, ritenuto corretta la riqualificazione del relativo contratto come cessione d’azienda, effettuando anche una
ricognizione degli elementi legali identificativi del trasferimento dell’azienda, in quanto ha verificato che la società ‘ RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE ha venduto l’intero magazzino caratterizzante la propria attività’ e che ‘nell’anno 2006 ha ceduto alla stessa acquirente beni strumentali, nello studio di settore per l’anno 2007 ha dichiarato di non avere rimanenze finali, né beni strumentali’, stabilendo, nella sostanza, come il complesso dei cespiti ceduti fosse effettivamente idoneo a consentire alla società cessionaria (la RAGIONE_SOCIALE l’autonomo esercizio dell’attività imprenditoriale, anche in considerazione del fatto che la società cedente non disponeva più di beni aziendali, avendoli ceduti, seppure in tempi diversi, alla contribuente;
-con il terzo motivo, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, comma 3, lett. b), 19, 21 e 30 del d.P.R. n. 633 del 1972, per non avere la CTR considerato che l’esposizione dell’IVA nelle fatture di acquisto legittimava la detrazione dell’imposta versata all’emittente in via di rivalsa;
-con il quarto motivo, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972, riproponendo sotto altro profilo la medesima censura formulata con il terzo motivo;
i predetti motivi, che vanno esaminati congiuntamente, riguardando entrambi la doglianza sul mancato riconoscimento della detrazione dell’IVA versata erroneamente dalla contribuente in rivalsa, sono infondati;
come ha chiarito più volte questa Corte, in tema di IVA, ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. 23 ottobre 1972, n. 633, ed in conformità con l’art. 17 della direttiva del Consiglio del 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, nonché con gli artt. 167 e 63 della successiva direttiva
del Consiglio del 28 novembre 2006 n. 2006/112/CE, non è ammessa la detrazione dell’imposta pagata a monte per l’acquisto o l’importazione di beni o servizi – ovvero per conseguire la prestazione di servizi necessari all’impresa -per il solo fatto che tali operazioni attengano all’oggetto dell’impresa e siano fatturate, poiché è, invece, indispensabile che esse siano effettivamente assoggettabili all’IVA nella misura dovuta, sicché, ove l’operazione sia stata erroneamente assoggettata all’IVA, restano privi di fondamento il pagamento dell’imposta da parte del cedente, la rivalsa da costui effettuata nei confronti del cessionario e la detrazione da quest’ultimo operata nella sua dichiarazione IVA, con la conseguenza che il cedente ha diritto di chiedere all’Amministrazione il rimborso dell’IVA, il cessionario ha diritto di chiedere al cedente la restituzione dell’IVA versata in via di rivalsa, e l’Amministrazione ha il poteredovere di escludere la detrazione dell’IVA pagata in rivalsa dalla dichiarazione IVA presentata dal cessionario (Cass. n. 32900 dell’8/11/2022; n. 15536 del 13/06/2018 e n. 13149 del 13/05/2024);
-con il quinto motivo, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione degli artt. 11 del d.lgs. n. 472 del 1997 e 5 del d.lgs. n. 471 del 1997, per non avere la CTR rilevato che dall’atto impugnato non si desumeva la motivazione per la quale il COGNOME era stato considerato autore della violazione e non poteva ritenersi sufficiente il suo ruolo di legale rappresentante nell’anno d’imposta; rileva, inoltre, che la sanzione doveva essere applicata con un provvedimento di irrogazione della sanzione, distinto dall’atto impositivo, e che non era stata provata la colpevolezza della parte;
il motivo è inammissibile per difetto di specificità ed autosufficienza, non avendo riportato, nel testo del ricorso per cassazione, il contenuto dell’atto impugnato ;
-il motivo sarebbe in ogni caso infondato, avendo la CTR chiaramente esposto le ragioni della irrogazione della sanzione, dell’individuazione del responsabile e delle modalità di tale irrogazione.
in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi € 2.400,00, oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 9 ottobre 2024