Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32045 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32045 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
Sul ricorso n. 26251-2019, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato , che la rappresenta e difende –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE p.i. (tedesca) NUMERO_DOCUMENTO, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa da ll’ avv. NOME COGNOME
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 365/2023 della Corte di giustizia tributaria di II grado dell’Abruzzo, depositata il 12.05.2023;
udita la relazione della causa svolta nell’ adunanza camerale del 12 giugno 2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Cessione d’azienda –
Iva/Registro – Imponibilità
Dalla sentenza impugnata si evince che la RAGIONE_SOCIALE presentò istanza di rimborso dell’I va versata in Italia per € 275.746,81, ai sensi dell’art. 38 bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. L’Agenzia delle entrate negò il rimborso perché, sulla base della documentazione verificata, rilevò che l ‘unica fattura era attinente ad una operazione commerciale, consistita nella cessione dalla RAGIONE_SOCIALE alla odierna ricorrente al prezzo di € 275.746,81dell’intera proprietà di beni mobili, immobili, nonché delle immobilizzazioni, così come elencato nel contratto di vendita, e, al contempo, della concessione dell’utilizzo degli stessi alla medesima RAGIONE_SOCIALE, dietro pagamento di canoni mensili. L’ufficio qualificò tale operazione come cessione dell’intera azienda, da assoggettare dunque ad imposta di registro, ai sensi degli artt. 2 e 3, comma 1, lett. b), del T.U. n. 131 del 1986, e dell’allegata ta riffa.
Seguì il contenzioso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Pescara, che con sentenza n. 31/02/2022 rigettò il ricorso.
La Corte di giustizia tributaria di II grado dell’Abruzzo, con la pronuncia ora all’esame del Collegio, accolse invece l’appello della contribuente, annullando l’atto di reiezione del rimborso.
Il giudice regionale , dopo essersi soffermato sull’art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, sugli interventi legislativi di interpretazione autentica della norma (art. 1, comma 87, L. 27 dicembre 2017, n. 205, e art. 1, comma 1084, L. 30 dicembre 2018, n. 145) e sui principi enunciati in tema dalla Corte Costituzionale (Sent. n. 158 del 21 luglio 2020), ha ritenuto che l’operazione non potesse essere qualificata diversamente da quanto emergente dall’atto negoziale. Ha pertanto accolto l’appello.
L ‘Agenzia delle entrate ha censurato la sentenza con due motivi, chiedendone la cassazione, cui ha resistito la società con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria.
Nell’adunanza camerale d el 12 giugno 2024 la causa è stata trattata e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’Agenzia delle entrate ha denunciato c on il primo motivo la «nullità della sentenza e/o del procedimento ex artt. 111 Cost., 1, 2, e 36 d. lgs. n.
546/1992, 132 e 118 delle disposizioni di attuazione c.p.c. in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 4 c.p.c.». La pronuncia impugnata sarebbe affetta da radicale vizio di nullità perché apparente o comunque illogica e contraddittoria.
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha chiarito che sussiste l’apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonché quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo sulla correttezza del suo ragionamento (Sez. U, 3 novembre 2016, n. 22232; cfr. anche 23 maggio 2019, n. 13977; 1 marzo 2022, n. 6758). La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione è apparente anche quando, ancorché graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass., 1° marzo 2022, n. 6758; 30 giugno 2020, n. 13248; cfr. anche 5 agosto 2019, n. 20921). È altrettanto apparente ogni qual volta evidenzi una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio (Cass., 14 febbraio 2020, n. 3819), oppure quando carente nel giudizio di fatto, così che la motivazione sia basata su un giudizio generale e astratto (Cass., 15 febbraio 2024, n. 4166).
Nel caso di specie, dalla lettura della sentenza della Corte di giustizia dell’Abruzzo risulta evidente che quel giudice ha seguito un percorso interpretativo nel solco tracciato dalla disciplina intervenuta tra il 2017 e il 2018, a modifica del previgente testo dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 . La norma, nell’attuale formulazione, afferma che «L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente,
sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi». Poiché la risistemazione ‘epocale’ della norma d’interpretazione degli atti ha esplicitamente escluso che l’Amministrazione finanziaria possa ricorrere a dati extratestuali e ad atti collegati a quello sottoposto a tassazione, il giudice regionale ha sviluppato le argomentazioni supportanti la propria statuizione, richiamando tutta quella ormai copiosa giurisprudenza di legittimità che aveva preso atto dell’abbandono legislativo dell’interpretazione dell’atto mediante ausilio di dati e xtratestuali e atti collegati (così come della portata retroattiva della l. 205 del 2017 per aver essa natura di regola di interpretazione autentica, così come impressale dalla l. n. 145 del 2018).
Tale iter argomentativo, a prescindere dalla sua correttezza e condivisibilità rispetto al caso di specie (questione distinta, per quanto si evidenzierà appresso), non incide sulla esistenza della motivazione, sia sotto il profilo della motivazione apparente, sia sotto quello della illogicità della motivazione.
La motivazione esiste, è sufficiente ed effettiva, non è illogica o contraddittoria. Altro, si ripete, è se con quella motivazione la fattispecie controversa sia stata correttamente inquadrata dal giudice d’appello in quella astratta regolata da ll’art. 20 cit.
Il motivo va dunque rigettato.
Con il secondo motivo l’amministrazione finanziaria ha lamentato la « Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360, 1^ co. n. 3 cpc». La pronuncia sarebbe erronea perché il giudice regionale non si sarebbe avveduto che, a fronte di una richiesta di rimborso dell’iva, sull’assunto che l’operazione commerciale si era tradotta nella cessione di beni strumentali, e non -secondo quanto sostenuto dall’ufficio con la denegazione del rimborso stessocome cessione d’azienda da sottoporre ad imposta di registro, sarebbe stato compito della contribuente dare prova della diversa natura giuridica del negozio.
Il motivo, che, al di là del richiamo alla norma posta a presidio della distribuzione dell’onere della prova , implicitamente invoca le regole d’interpretazione dei contratti, è fondato.
Questa Corte ha affermato che in tema di Iva, l’accertamento diretto a qualificare una operazione economica come una cessione d’azienda è operato effettuando una valutazione globale di tutte le circostanze del caso di specie, non applicandosi i limiti probatori di cui all’art. 20 del TUR, previsti solo ai fini della determinazione dell’imposta di registro, e non rilevando il principio di alternatività di cui all’art. 40 TUR, che pone un nesso funzionale unilaterale tra Iva e imposta di registro per la sola ipotesi in cui sia accertata la debenza dell’Iva, con la conseguente applicazione dell’imposta di registro in misura fissa (Cass., 7 maggio 2024, n. 12450).
Ebbene, nel caso di specie l’Agenzia delle entrate, nell’esercizio del suo potere interpretativo, ha ritenuto che l’ operazione di cessione dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE tedesca d ell’intera proprietà di beni mobili, immobili e delle immobilizzazioni, come da elenco riportato nel contratto di vendita, e, al contempo, la concessione dell’utilizzo del complesso dei medesimi beni alla RAGIONE_SOCIALE da parte dell’acquirente, dietro pagamento di canoni mensili, afferisse non già a individuati beni strumentali, ma al complesso aziendale. Per questo tale operazione fu qualificata come cessione dell’intera azienda, da assoggettare a imposta di registro, ai sensi degli artt. 2 e 3, comma 1, lett. b), del T.U. n. 131 del 1986, e dell’allegata tariffa.
Nessuna violazione delle regole d’interpretazione dell’atto è stata commessa.
Tutto ciò non è stato minimamente avvertito dal giudice regionale, che ha invece inteso richiamare tutta la disciplina e la giurisprudenza formatasi all’indomani della modifica delle regole d’interpretazione degli atti sottoposti a tassazione, ma con riferimento alle ipotesi di interpretazioni affidate a dati extratestuali o negozi collegati e pertinenti solo all’imposta di registro e non -come nella vicenda in giudizio -all’Iva .
Ne consegue che l’intera motivazione della pronuncia favorevole alla contribuente era del tutto eccentrica rispetto al caso di specie, oltre che errata in diritto.
Il motivo trova in conclusione accoglimento e con esso il ricorso. la sentenza impugnata va dunque cassata e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di II grado dell’Abruzzo, che in diversa composizione, oltre a liquidare le spese processuali del giudizio di legittimità, provvederà al riesame dell’appello attenendosi ai principi di diritto enunc iati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di II grado dell’Abruzzo, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 giugno 2024