Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4223 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4223 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/02/2025
AVVISO DI ACCERTAMENTO -IRES-IRAP 2010.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23032/2017 R.G. proposto da:
NOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro-tempore, con sede legale in Avezzano (AQ), INDIRIZZO rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale allegata in calce al ricorso,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell ‘Abruzzo n. 157/02/2017, depositata il 28 febbraio 2017;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza in camera di consiglio del 13 novembre 2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME
– Rilevato che:
A seguito di verifica fiscale e di pedissequo processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza -Nucleo di Polizia Tributaria de L’Aquila, L’Agenzia delle Entrate -Direzione provinciale de L’Aquila notificava, in data 19 febbraio 2015, alla società RAGIONE_SOCIALE, avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO/2015, con il quale recuperava a tassazione, nei confronti della società suddetta, per l’anno d’imposta 2010: a ) gli elementi negativi di reddito costituiti dalle sopravvenienze passive pari ad € 350.348,00, originate dalla cessione pro-soluto di crediti vantati dalla suddetta società verso la società RAGIONE_SOCIALE per complessivi € 857.678,00, oltre ai crediti vantati verso la società RAGIONE_SOCIALE per € 123.950,00, per un corrispettivo complessivo di € 631.277,33 ; b ) € 27.985,33 per incentivo fiscale previsto dal d.l. 1° luglio 2009, n. 78, conv. dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, ritenuto indebito in quanto relativo a prestazioni di servizi resi dopo il termine previsto dalla norma agevolativa; c ) costi alberghieri eccedenti il limite del 75%, previsto dall’art. 109, comma 5, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.
A seguito di tali recuperi, l’Ufficio procedeva alla rideterminazione del reddito d’impresa, e delle relative imposte IRES ed IRAP, per l’anno d’imposta suddetto.
Avverso tale avviso di accertamento la contribuente proponeva tempestivo ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale de L’Aquila, limitatamente al recupero di
elementi negativi di reddito di cui sub a ) indicato in precedenza (e quindi limitatamente al recupero a tassazione dell’impor to di € 350.347,00, sia ai fini IRES che ai fini IRAP) , e prestando invece acquiescenza ai punti sub b ) e c ) suindicati. La C.T.P. adìta, con sentenza n. 640/03/2015, depositata il 15 dicembre 2015, accoglieva il ricorso, annullando in parte qua l’avviso di accertamento impugnato.
Interposto gravame dall’Ufficio , la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, con sentenza n. 157/02/2017, pronunciata il 21 novembre 2016 e depositata in segreteria il 28 febbraio 2017, accoglieva l’appello, dichiarando la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato, con condanna della società appellata alla rifusione delle spese di lite per entrambi i gradi di giudizio.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE sulla base di un unico motivo (ricorso notificato il 27 settembre 2017).
Resiste con controricorso l’ Agenzia delle Entrate.
Con decreto del 10 luglio 2024 è stata quindi fissata per la discussione l’adunanza in camera di consiglio del 13 novembre 2024, ai sensi degli artt. 375, comma 2, e 380bis .1 c.p.c.
La ricorrente ha depositato memoria.
– Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso la società contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 101 del d.P.R. n. 917/1986, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rileva, in particolare, che la C.T.R. avrebbe erroneamente inquadrato la presente controversia nell’àmbito del comma 5 dell’art. 101 cit., omettendo di distinguere i casi in cui la
perdita derivi dalla semplice inesigibilità del credito o insolvenza del debitore, da quelli in cui la perdita derivi da atti dispositivi del credito, che sono tali da produrre vere e proprie minusvalenze da realizzo, per le quali non si avrebbe ragione di richiedere ulteriori elementi di certezza e precisione rispetto alla indubbia definitività giuridica della perdita.
2. Il motivo è infondato.
Con due atti pubblici stipulati in data 3 giugno 2010 (‘atto di cessione di quote’ e ‘atto di cessione del credito e rinuncia al credito’) la RAGIONE_SOCIALE ha ceduto alla RAGIONE_SOCIALE l’intera quota di partecipazione (pari al 20%) posseduta nella società RAGIONE_SOCIALE, del valore nominale di € 41.400,00, per il prezzo convenuto di € 50.000,00; contestualmente, con l’atto di cessione del credito e rinuncia al credito, la RAGIONE_SOCIALE ha ceduto prosoluto alla RAGIONE_SOCIALE: a ) il credito a lungo termine vantato nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per nominali € 344.050,63 al prezzo di cessione di € 117.653,92 (con una minusvalenza, quindi, di € 226.396,71) ; b ) il credito vantato nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per nominali € 513.624,11, al prezzo di cessione di € 513.624,11; ha inoltre rinunciato ‘incondizionatamente e irrevocabilmente’ ad una parte, pari ad € 123.949,66, del maggior credito di lungo periodo vantato nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per complessivi € 148.739,59.
A seguito di tali operazioni, quindi, la RAGIONE_SOCIALE ha realizzato una minusvalenza da realizzato di € 350.347,07 (€ 226.397,41 quale minusvalenza da cessione del credito vantato nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, ed € 123.949,66 quale minusvalenza a seguito di rinuncia al credito
sempre nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, somma che invece è stata recuperata a tassazione dall’Ufficio.
Orbene, ciò posto, va ril evato che, ai sensi dell’art. 101, comma 5, del d.P.R. n. 917/1986, nel testo vigente ratione temporis (anno d’imposta 2010), « Le perdite di beni di cui al comma 1, commisurate al costo non ammortizzato di essi, e le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi e in ogni caso, per le perdite su crediti, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali. Ai fini del presente comma, il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi».
Il problema che si pone, allora, è quello attinente a come debba essere qualificata la cessione di un credito pro-soluto ad un prezzo inferiore all’effettivo valore di tale credito, all’interno delle componenti negative di reddito di cui all’art. 101 d.P.R. n. 917/1986, se si tratti, quindi, di deducibilità della minusvalenza, derivante da un atto di disposizione, ex art. 101 comma 1, oppure di “perdita su crediti” ai sensi dell’art. 101, comma 5.
Sul punto, la dottrina è divisa. Infatti, una parte di essa opta per la deducibilità della componente negativa del reddito derivante dalla cessione del credito pro-soluto , reputandola una “minusvalenza”. Si sostiene, invero, che le minusvalenze sono caratterizzate dalla conversione del credito in altra forma di ricchezza, sicché nascono da un assetto negoziale bilaterale
ed oneroso. Il “realizzo” di cui all’art. 101, comma 1, d.P.R. n. 917/1986, allora, presuppone a monte un atto di cessione del diritto verso corrispettivo. Se, quindi, vi è una cessione onerosa del credito, la componente negativa reddituale emerge per la contrapposizione tra costo fiscalmente riconosciuto del bene ceduto e prezzo di cessione. In tali casi, dunque, non vi è necessità che sussista la “certezza” della perdita, come accade invece per la perdita su crediti. Nella cessione pro-soluto , poi, non viene meno la prospettiva della aleatorietà dell’incasso, in quanto il cedente garantisce l’esistenza del diritto, ma non la solvibilità del debitore ceduto. Si sottolinea, peraltro, che non può escludersi, anche in queste condotte, un’ipotesi di abuso del diritto, in quanto l’elusione potrebbe configurarsi non tanto nel contratto di cessione del diritto, quanto nella fase anteriore di acquisizione del bene. Dovranno però individuarsi, in questo caso, l’abnorme assetto negoziale, il risparmio di imposta e la mancanza di ragioni economiche.
Secondo altra parte della dottrina, invece, quando il credito è ceduto pro-soluto ad un prezzo inferiore al suo effettivo valore si sarebbe in presenza di una perdita su crediti.
In particolare, si rileva che se i crediti rientrassero tra i beni di cui all’art. 66, comma 1, d.P.R. n. 917/1986, quindi tra le minusvalenze deducibili, non si comprenderebbe la ragione della loro distinta menzione anche nel comma 5 dello stesso articolo. L’art. 101, comma 1, cit., infatti, si riferirebbe esclusivamente alla nozione di “beni”, ma non di “crediti”, che sono menzionati soltanto nel comma 5 del predetto art. 101. La nozione di perdita su crediti, quindi, attrae anche quei differenziali di valore realizzati in sede di cessione onerosa che
per gli altri beni rappresentano invece minusvalenze patrimoniali.
Si è fatto poi riferimento, in dottrina, anche alla possibilità di contestare alla società cedente il credito una condotta elusiva ai sensi del l’art. 37 -bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ora art. 10bis legge 27 luglio 2000, n. 212. Infatti, si verte in ipotesi di elusione fiscale laddove emerge un differenziale negativo dalla cessione, ma, alla luce dell’insieme delle operazioni economiche della complessa strategia aziendale in cui si inserisce la cessione del credito, si manifesti un evidente intento elusivo.
Questa Corte, nei pochi precedenti emessi, ritiene che l’ipotesi della cessione del credito pro-soluto a prezzo inferiore a quello nominale rientri tra le “perdite su crediti”.
In particolare, con la sentenza n. 13181 del 4 ottobre 2000, questa Corte ha affermato che i crediti possono essere ricompresi nelle immobilizzazioni o nell’attivo circolante. La distinzione tra le due voci si rinviene nell’art. 2424bis c.c., in base al quale «gli elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente debbano essere iscritti fra le immobilizzazioni». Pertanto, nel caso esaminato da quella decisione, trattandosi di crediti verso clienti, gli stessi non potevano rientrare fra le immobilizzazioni finanziarie e dovevano essere iscritti, in uno schema di stato patrimoniale, nell’attivo circolante, generando possibili perdite. Tali perdite non potevano essere confuse con le minusvalenze. Tale ultimo concetto, infatti, riguardava il minor valore di realizzo di beni inseriti nello stato patrimoniale, tra cui potevano essere incluse le svalutazioni di immobilizzazioni finanziarie che non costituivano partecipazioni, rispetto al costo di acquisizione,
dedotte le eventuali quote di ammortamento per quanto atteneva i beni materiali strumentali.
Più recentemente questa Corte (Cass. 24 luglio 2014, n. 16823) ha ripreso tale tema (perdite derivanti da cessione di credito), in ragione dello squilibrio fra il valore nominale dei crediti ceduti ed il corrispettivo pattuito per la cessione. Si è ribadito, quindi, che la cessione pro-soluto dei crediti ritenuti inesigibili non dà luogo a minusvalenze patrimoniali deducibili, ma comporta la deducibilità degli stessi solo laddove ricorrono le condizioni di cui all’art. 101, comma 5, d.P.R. n. 917/1986. E’ necessario, allora, che le perdite risultino da elementi certi precisi ovvero che il debitore sia stata assoggettata procedure concorsuali, non comportando la cessione pro soluto “comunque” la deducibilità delle perdite, ancorché in assenza di previsione in bilancio di un fondo accantonamento rischi su crediti, la cui esistenza comporta che le perdite sono deducibili soltanto per l’eventuale quota non coperta dall’accantonamento stesso (Cass., n. 15563 dell’11 novembre 2020).
Il corrispettivo pattuito per la cessione di un credito non ha in sé alcun rilievo ai fini dell’accertamento dell’esistenza di elementi “certi” e “precisi”, di cui all’art. 101, comma 5, d.P.R. n. 917/1986, in quanto è necessario che si dimostri che tale cessione corrisponda ad una effettiva riduzione di valore reale del credito stesso. Pertanto, solo nel caso di assoggettamento del debitore a procedure concorsuali si verifica un automatismo nella deducibilità delle perdite su crediti, proprio per le garanzie che le procedure concorsuali forniscono sul piano della certezza della insolvibilità e della precisione dell’entità delle perdite. Al contrario, in tutti gli altri casi è richiesta la
prova dell’esistenza di elementi certi e precisi per la deducibilità delle perdite su crediti.
Ciò significa che ai sensi dell’art. 101, comma 5, d.P.R. n. 917/1986, con riferimento alle ipotesi di perdite su crediti determinate da cessioni pro-soluto , gli elementi di certezza e precisione non riguardano solo la perdita emergente dalla cessione in sé considerata, ma anche gli elementi che, a monte, hanno indotto alla cessione medesima, come dimostrato anche dalla valenza “presuntiva” attribuita nell’ambito della medesima norma all’assoggettamento del debitore a procedura concorsuale (Cass. 20 novembre 2001, n. 14568, sempre in tema di deducibilità delle perdite derivanti da cessione pro soluto di crediti ritenuti inesigibili; più recentemente Cass. 26 febbraio 2020, n. 5183; Cass. 3 marzo 2021, n. 5787). E’ onere, quindi, del contribuente, in caso di cessione di crediti pro-soluto , documentare, attraverso elementi certi e precisi, che la perdita risultante dalla cessione sia da intendersi come oggettivamente definitiva.
Del resto, il discrimine tra “perdite su crediti” e “svalutazione di crediti” si correla alla “definitività” del venir meno della posta attiva, nel senso che, alla stregua di un giudizio prognostico, si ha perdita del credito quando esso è divenuto definitivamente inesigibile, mentre si ha svalutazione quando il credito è solo temporaneamente non realizzabile (Cass. 4 maggio 2018, n. 10686). Le perdite su crediti possono essere dedotte soltanto per la parte eccedente l’ammontare dell’accantonamento dei rischi su crediti nei precedenti esercizi (Cass. 3 aprile 2019, n. 9237).
Resta, peraltro, necessaria la sussistenza del requisito fondamentale della “inerenza”, ex art. 109, comma 5, d.P.R. n. 917/1986, che vale per tutte le componenti negative di reddito, siano esse minusvalenze ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 101, comma 1, siano esse perdite su crediti, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 101, comma 5, (Cass., sez. 5, 14 gennaio 2015, n. 447).
Si è anche recentemente affermato, da parte di questa Corte che, ai fini della deducibilità della perdita su crediti, quali componenti negativi del reddito di impresa, il contribuente deve fornire la prova circa la loro inerenza all’attività imprenditoriale (Cass. 8 aprile 2019, n. 9784). Infatti, in tale decisione si è affermato che anche la dimostrazione, fornita dal contribuente dell’esistenza del credito, fatturato e accertato giudizialmente, e dell’insolvibilità del debitore, persino conclamata dalla dichiarazione di fallimento e dalla nota del curatore attestante la mancanza di riparto per i crediti chirografari, unitamente all’utilizzabilità della perdita di credito per l’anno d’imposta in cui venne pronunziata la dichiarazione di fallimento, non esimono, comunque, il contribuente dal comprovare che la deduzione si riferisse ad una pregressa tassazione del ricavo, poi divenuto inesigibile.
Orbene, nella fattispecie in esame, la Corte regionale ha correttamente applicato i principi testé evidenziati, escludendo, da un lato, che gli elementi di certezza e precisione della perdita a seguito della cessione del credito potessero rinvenirsi esclusivamente nella cessione ad un prezzo inferiore al valore nominale, e, dall’altro, evidenziando -con accertamento di fatto insindacabile in questa sede -che
non era stata provata una effettiva riduzione del valore reale del credito.
Il ricorso deve quindi essere rigettato, con la pronuncia del seguente principio di diritto: «la cessione di un credito prosoluto a un prezzo inferiore all’effettivo valore dello stesso costituisce una perdita su crediti, la quale, in presenza del requisito dell’inerenza, è deducibile, ai sensi dell’art. 101, comma 5, d.P.R. n. 917 del 1986, soltanto a condizione che risulti da elementi certi e precisi ovvero che il debitore sia assoggettato a procedura concorsuale. Peraltro, l’automatica deducibilità opera soltanto in quest’ultimo caso, stanti le garanzie derivanti dalle procedure concorsuali sul piano della certezza dell’insolvibilità e dell’entità delle perdite, mentre in tutti gli altri casi è richiesta la prova dell’effettiva riduzione di valore del credito, indipendentemente dal corrispettivo pattuito per la cessione, e dunque della oggettiva definitività della perdita, della quale è onerato il contribuente».
Le spese di giudizio seguono la soccombenza della ricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Ricorrono le condizioni per dichiarare la ricorrente tenuta al pagamento di una somma pari al contributo unificato dovuto per la presente impugnazione , se dovuto, ai sensi dell’ art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la NOME RAGIONE_SOCIALE alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Etrate, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte della ricorrente, di una somma pari al contributo unificato dovuto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Così deciso in Roma, il 13 novembre 2024.