Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10608 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10608 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23078/2019 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dal prof. avv. NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA SICILIA n. 996/01/19 depositata il 19 febbraio 2019
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 21 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel 1977 la Cassa RAGIONE_SOCIALE di Palma di Montechiaro e la
Cassa RAGIONE_SOCIALE Palma di Montechiaro, poi fusesi nella RAGIONE_SOCIALE, presentavano distinte dichiarazioni dei redditi ai fini dell’IRPEG relative all’anno 1976, nelle quali chiedevano il rimborso di un credito d’imposta pari, rispettivamente, a 12.069.000 lire (equivalenti a 6.233,11 euro) e a 21.635.810 lire (oggi 11.173,96 euro).
Con atto sottoscritto il 2 dicembre 1992 la prefata RAGIONE_SOCIALE cedeva la propria azienda bancaria alla Credito Italiano s.p.a., ora Unicredit s.p.a..
In data 11 giugno 2012 l’Unicredit s.p.a. proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Agrigento avverso il silenziorifiuto opposto dall’Amministrazione Finanziaria in riferimento alle anzidette istanze di rimborso.
La Commissione adìta accoglieva il ricorso, condannando l’Ufficio al pagamento dei crediti d’imposta fatti valere dalla banca, con l’aggiunta degli «interessi maturati e maturandi come per legge» .
La decisione veniva successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, che con sentenza n. 996/01/19 del 19 febbraio 2019 respingeva l’appello erariale.
Osservavano i giudici regionali che la summenzionata cessione di azienda bancaria intervenuta nel 1992, comprendente i crediti d’imposta oggetto delle istanze di rimborso di cui trattasi, non era soggetta agli adempimenti prescritti dall’art. 43 -bis del D.P.R. n. 602 del 1973 e dall’art. 1, comma 8, del D.M. n. 384 del 1997, i quali erano stati comunque osservati dall’Unicredit s.p.a., che in data 4 settembre 2013 aveva provveduto alla notifica dell’atto di cessione nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria.
Contro questa sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’Unicredit s.p.a. ha resistito con controricorso notificato il 3 ottobre 2019 e depositato in Cancelleria il giorno 26 dello stesso mese, accompagnato da istanza di rimessione in termini.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
Nel termine di cui al comma 1, terzo periodo, dello stesso articolo la controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va anzitutto esaminata l’istanza di rimessione in termini avanzata dalla controricorrente Unicredit s.p.a. al fine di poter .
1.1 Assume il prefato istituto di credito che il tardivo deposito del controricorso, avvenuto oltre il termine di venti giorni dalla sua notifica, in violazione dell’art. 370, ultimo comma, c.p.c., nel testo, applicabile «ratione temporis» , vigente anteriormente alle modifiche apportate dal D. Lgs. n. 149 del 2022, sarebbe dipeso dall’erronea indicazione, nell’epigrafe dell’atto, del numero di repertorio della sentenza impugnata (996/01/18, anziché 996/01/19).
Al riguardo deduce che: – da informazioni assunte presso la Cancelleria della Corte era emerso che nessun ricorso per cassazione risultava depositato dall’Agenzia delle Entrate con riferimento alla sentenza indicata nel controricorso; – soltanto dopo la scadenza del termine di cui alla dianzi citata disposizione del codice di rito la controricorrente aveva avuto modo di avvedersi del fatto che la pronuncia gravata era in realtà un’altra, appurando che il ricorso per cassazione ad essa inerente era stato tempestivamente depositato.
1.2 La richiesta non può essere accolta, dovendo escludersi che la parte istante sia incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile.
1.3 Invero, la circostanza che nel controricorso fossero stati erroneamente indicati gli estremi della decisione impugnata non giustifica il ritardo nell’espletamento dell’incombente previsto
dall’art. 370, ultimo comma, c.p.c., che andava, in ogni caso, adempiuto entro il termine stabilito dalla norma e non richiedeva il preventivo rilascio, ad opera della Cancelleria, di una certificazione attestante il mancato deposito del ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle Entrate.
1.4 Disattesa l’istanza in esame, deve qui darsi sèguito alla «regula iuris» già altre volte affermata da questa Corte regolatrice, secondo cui il tardivo deposito del controricorso comporta la sua improcedibilità, pur in assenza di un’espressa previsione normativa in tal senso, evincendosi una simile sanzione dai princìpi generali del processo civile in tema di inosservanza di termini relativi ad atti con i quali la parte porta a conoscenza del giudice e dell’avversario le proprie difese (cfr. Cass. n. 18091/2005, Cass. n. 2805/2000, Cass. n. 9440/1998, Cass. Sez. Un. n. 4859/1981).
1.5 Ne consegue che non può tenersi conto di esso, né della successiva memoria illustrativa depositata dall’Unicredit s.p.a. ai sensi dell’art. 380 -bis .1, comma 1, terzo periodo, c.p.c. (cfr. Cass. n. 26089/2024, Cass. n. 23709/2023).
1.6 Tanto premesso, può ora procedersi alla disamina dei due motivi di ricorso.
1.7 Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., sono denunciate la violazione e la falsa applicazione degli artt. 19 e 21 del D. Lgs. n. 546 del 1992.
1.8 Si rimprovera alla CTR di aver erroneamente respinto la sollevata eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo della lite in conseguenza dell’omessa impugnazione del provvedimento espresso di diniego del rimborso adottato il 21 dicembre 1996 dall’Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette di Licata nei confronti dell’allora Credito Italiano.
1.9 Il motivo è inammissibile per difetto di specificità.
1.10 La Commissione regionale ha affermato che il provvedimento emesso dall’Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette di Licata con
nota n. 4130 prot. del 21 dicembre 1996 -il cui contenuto è stato trascritto nel corpo del ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza- non era qualificabile come «rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi», onde doveva escludersene l’impugnabilità dinanzi al giudice tributario ai sensi dell’art. 19, comma 1, lettera g), del D. Lgs. n. 546 del 1992.
1.11 Tale provvedimento, infatti, non faceva sèguito a una nuova istanza di rimborso successiva a quella già formulata nell’anno 1977 dalla Cassa Rurale e Artigiana di Palma di Montechiaro e dalla Cassa Rurale e Artigiana Popolare di Palma di Montechiaro, poi fusesi nella RAGIONE_SOCIALE, ma si ricollegava alla richiesta avanzata dal Credito Italiano, resosi nel frattempo cessionario dell’azienda bancaria esercitata dalla suddetta RAGIONE_SOCIALE, volta ad ottenere l’assegnazione di titoli di Stato a parziale estinzione dei crediti d’imposta inerenti all’azienda ceduta, giusta quanto disposto dall’art. 5, comma 1, del D.L. n. 307 del 1994, convertito in L. n. 457 del 1994.
1.12 Nel descritto contesto, il rifiuto dell’Ufficio di soddisfare i crediti in parola secondo la modalità alternativa indicata dalla banca cessionaria non poteva ritenersi equivalente a un diniego di rimborso.
1.13 La censura in esame non si confronta con il ragionamento posto a base del «dictum» del collegio di appello e non può, conseguentemente, trovare ingresso.
1.14 Occorre, peraltro, tener presente che questo Supremo Collegio, pronunciandosi in analogo contenzioso riguardante i crediti IRPEG richiesti in rimborso dalla stessa Cassa Rurale e Artigiana di Palma di Montechiaro con riferimento ad altri periodi d’imposta, ha già avuto modo di statuire che la mentovata nota dell’Ufficio di Licata n. 4130 del 21 dicembre 1996 non costituiva provvedimento impugnabile (cfr. Cass. n. 39135/2021, Cass. n. 20648/2023, Cass. n. 29087/2023).
1.15 Nei citati precedenti è stato precisato che tale provvedimento «non p (uò) considerarsi atto impugnabile ex art. 19, comma 1, lett. g, del D. Lvo 31 dicembre 1992, n. 546, non essendo qualificabile nei termini di ‘rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi’ . Difatti, la richiesta respinta della ‘RAGIONE_SOCIALE non aveva per oggetto il rimborso del credito IRPEG per l’anno d’imposta 1986, di cui essa aveva acquistato la titolarità per effetto della cessione di azienda del 2 dicembre 1992, anche in considerazione della reiterata proposizione della relativa istanza nelle dichiarazioni annuali dei redditi ex art. 1 del D.M. 26 agosto 1994, ma l’opzione per una diversa modalità di estinzione del medesimo credito (assegnazione di titoli di Stato) ai sensi dell’art. 5, commi 1 e 1 -bis, del D.L. n. 23 maggio 1994, n. 307, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 luglio 1994, n. 457. Per cui, il rifiuto di soddisfare il credito con la modalità alternativa dell’assegnazione dei titoli di Stato non poteva equivalere ad un diniego (ancorchè tacito) di rimborso» .
1.16 Su detta statuizione è disceso il giudicato.
1.17 Orbene, l’esistenza del giudicato esterno, a prescindere dalla posizione assunta in giudizio dalle parti, è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, anche nell’ipotesi in cui esso si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, trattandosi di un dato assimilabile agli elementi normativi astratti, in quanto destinato a fissare la regola del caso concreto: il suo accertamento non costituisce, quindi, patrimonio esclusivo delle parti, ma corrisponde a un preciso interesse pubblico sotteso alla funzione primaria del processo e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche attraverso la stabilità della decisione, conformemente al principio del «ne bis in idem» (cfr., ex ceteris , Cass. n. 5836/2024, Cass. n. 16847/2018, Cass. n. 26049/2016).
1.18 D’altronde, in caso di giudicato esterno conseguente a una
sentenza della stessa Corte Suprema, i giudici di legittimità possono pervenire alla cognizione della precedente pronuncia anche mediante quell’attività di ricerca (relazioni, massime ufficiali e consultazione del CED) che costituisce corredo del collegio giudicante nell’adempimento della funzione nomofilattica di cui all’art. 65, comma 1, dell’ordinamento giudiziario e del dovere di prevenire contrasti fra giudicati (cfr. Cass. n. 24740/2015, Cass. n. 30780/2011, Cass. Sez. Un. n. 26482/2007).
Con il secondo motivo, proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono lamentate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c..
2.1 La doglianza è articolata in due distinti profili di censura: il primo concerne il contratto di cessione di azienda bancaria concluso in data 2 dicembre 1992 fra la RAGIONE_SOCIALE e il Credito Italiano, che la ricorrente sostiene non essere conforme alle disposizioni recate dagli artt. 69 e 70 del D.P.R. n. 2440 del 1923, in quanto privo dell’indicazione del titolo e dell’importo dei crediti ceduti; il secondo attiene, invece, alla prova dell’esistenza e dell’ammontare dei crediti d’imposta per cui è causa, che a detta dell’Amministrazione Finanziaria avrebbe dovuto essere fornita dalla contribuente, attrice in senso sostanziale, mediante la produzione di copia della .
2.2 Anche questo motivo è inammissibile.
2.3 La prima parte della censura appare carente di specificità, non confrontandosi con la ratio della decisione gravata.
2.4 I giudici di appello, qualificando come cessione di azienda il contratto stipulato il 2 dicembre 1992 fra RAGIONE_SOCIALE e il Credito Italiano, hanno escluso che lo stesso fosse soggetto agli oneri formali imposti per la cessione di crediti verso lo Stato dagli artt. 69 e 70 del R.D. n. 2440 del 1923.
2.5 Dalle surriferite argomentazioni completamente prescinde la
lagnanza in scrutinio, la quale non supera, pertanto, il vaglio di ammissibilità.
2.6 Ad ogni modo, nei precedenti innanzi richiamati (cfr. Cass. n. 39135/2021 e Cass. n. 23709/2023) questa Corte ha reputato giuridicamente corretto il ragionamento svolto dalla CTR, secondo cui la titolarità dei crediti d’imposta originariamente facenti capo alla Cassa Rurale e Artigiana di Palma di Montechiaro e alla Cassa Rurale e Artigiana Popolare di Palma di Montechiaro era stata acquistata dal Credito Italiano (ora Unicredit s.p.a.) in conseguenza della più volte ricordata cessione di azienda del 2 dicembre 1992, la quale non risultava soggetta agli oneri previsti dagli artt. 69 e 70 del R.D. n. 2440 del 1923 per la cessione di crediti verso lo Stato ed era stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana ai sensi dell’art. 26, comma 2, del D. Lgs. n. 481 del 1992, poi trasfuso nell’art. 58, comma 2, del D. Lgs. n. 385 del 1993 (cd. Testo Unico Bancario), per gli effetti indicati dall’art. 1264 c.c..
2.7 Pure la cennata questione deve, quindi, ritenersi coperta dal giudicato.
2.8 Con riguardo alla seconda lagnanza estrapolabile dal mezzo di gravame, giova rammentare che la violazione del precetto sancito dall’art. 2697 c.c. si configura ove il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni, non già quando oggetto di censura sia la valutazione che il giudice medesimo abbia svolto delle prove proposte dalle parti (cfr., ex permultis , Cass. n. 268/2025, Cass. n. 33093/2024, Cass. n. 32100/2023).
2.9 Nel caso di specie, senza affatto invertire l’onere probatorio fra le parti, la CTR ha ritenuto che l’esistenza dei crediti d’imposta fosse stata adeguatamente dimostrata mediante i documenti versati in atti dalla banca, la cui veridicità era «facilmente
riscontrabile ed accertabile dalla stessa agenzia appellante a mezzo di una semplice interrogazione informatica dei dati in possesso dell’anagrafe tributaria» e «risulta (nti) dalle già prodotte dichiarazioni dei sostituti d’imposta (mod. 770/92)» .
2.10 A fronte del percorso argomentativo sopra riassunto, le critiche rivolte dalla ricorrente alla sentenza d’appello si riferiscono, a ben vedere, alla ritenuta idoneità della documentazione prodotta in giudizio dalla contribuente a fornire la prova dei fatti costitutivi del preteso diritto al rimborso.
2.11 Si tenta, per questa via, di introdurre nell’odierna sede di legittimità un non consentito sindacato sulla valutazione del materiale istruttorio compiuta dal collegio regionale, obliterandosi che l’apprezzamento delle prove, così come la scelta, fra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, rientrano nell’àmbito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito (cfr. Cass. n. 27722/2024, Cass. n. 27432/2023, Cass. n. 36802/2022).
Per le ragioni esposte, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Non v’è luogo a provvedere in ordine alle spese processuali, stante la rilevata improcedibilità del controricorso (cfr. Cass. n. 15174/2012, Cass. n. 29355/2011, Cass. Sez. Un. n. 116/2007).
Non deve essere resa l’attestazione di cui all’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 nei confronti della ricorrente Agenzia fiscale delle Entrate, ammessa a fruire della prenotazione a debito del contributo unificato in base al combinato disposto degli artt. 158, comma 1, lettera a), dello stesso D.P.R. e 12, comma 5, del D.L. n. 16 del 2012, convertito in L. n. 44 del 2012, né tantomeno della controricorrente Unicredit s.p.a., non avendo essa spiegato impugnazione incidentale.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e improcedibile il controricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione