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Cessione credito fiscale: limiti e doppia cessione

Una società finanziaria ha richiesto il rimborso di un credito IRES acquisito da un’altra società, la quale lo aveva a sua volta ricevuto nell’ambito di un concordato fallimentare. La Corte di Cassazione ha rigettato la richiesta, stabilendo che la cessione credito fiscale non è valida se costituisce una ‘doppia cessione’, pratica vietata dalla legge. La Corte ha inoltre sottolineato come questioni quali la mancata notifica della prima cessione e il divieto di doppia cessione possano essere rilevate d’ufficio dal giudice, in quanto essenziali per verificare la titolarità del diritto al credito.

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Pubblicato il 28 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Cessione Credito Fiscale: La Cassazione sul Divieto di Doppia Cessione

La cessione credito fiscale è un’operazione finanziaria comune, ma soggetta a regole precise che, se non rispettate, possono invalidare l’intero trasferimento. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia: il divieto di ‘doppia cessione’. Questo caso offre spunti cruciali per le imprese che operano con crediti d’imposta, specialmente quelli provenienti da procedure concorsuali.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine da una procedura fallimentare di una società. Durante tale procedura, erano maturate delle ritenute fiscali su interessi attivi, generando un credito IRES. Conclusa la procedura tramite un concordato fallimentare, il credito è stato trasferito alla società ‘assuntrice’ del concordato. Successivamente, quest’ultima ha ceduto a sua volta il medesimo credito a un istituto bancario.

L’istituto bancario, ritenendosi legittimo titolare del credito, ne ha richiesto il rimborso all’Amministrazione Finanziaria. Di fronte al silenzio-rifiuto dell’Ufficio, la banca ha avviato un contenzioso tributario. Sia in primo che in secondo grado, i giudici hanno respinto le richieste della banca, seppur con motivazioni diverse. La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Cessione Credito Fiscale e le Questioni Giuridiche

Il cuore del problema legale ruotava attorno alla validità della seconda cessione credito fiscale, quella dall’assuntore del concordato all’istituto bancario. La ricorrente sosteneva che i giudici di merito avessero errato, decidendo su questioni non sollevate dalle parti (vizio di ultra-petizione) e con motivazioni contraddittorie.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha inquadrato la questione in modo diverso. Ha stabilito che la verifica della titolarità del credito in capo a chi ne chiede il rimborso è un accertamento fondamentale che il giudice deve compiere. In questo contesto, due aspetti, anche se non specificamente eccepiti, diventano centrali: la mancata notifica della prima cessione (dal fallimento all’assuntore) all’Amministrazione Finanziaria e, soprattutto, il divieto di una successiva cessione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della banca, basando la sua decisione su principi chiari e rigorosi. I giudici hanno affermato che le questioni relative alla notifica e al divieto di doppia cessione non sono eccezioni in senso stretto, ma quaestiones iuris (questioni di diritto) rilevabili d’ufficio. Esse sono intrinsecamente legate all’accertamento del diritto sostanziale al rimborso.

Il punto cruciale della motivazione risiede nell’interpretazione dell’art. 43-bis del d.P.R. n. 602/1973. Questa norma vieta espressamente che il cessionario di un credito d’imposta possa, a sua volta, cederlo a terzi. La Corte ha ragionato come segue:

1. Il primo trasferimento del credito, avvenuto dall’amministrazione fallimentare alla società assuntrice del concordato, costituisce una prima cessione.
2. Il secondo trasferimento, dall’assuntrice all’istituto bancario, rappresenta una seconda cessione dello stesso credito.

Questa seconda operazione è in palese violazione del divieto di ‘doppia cessione’ imposto dalla legge. Di conseguenza, l’istituto bancario non ha mai validamente acquisito il credito e, pertanto, non ha il diritto di chiederne il rimborso. La Corte ha concluso che, sebbene la motivazione della corte d’appello fosse diversa da quella di primo grado, la decisione di rigettare la richiesta era corretta nel merito, poiché fondata su un impedimento legale insuperabile.

Le conclusioni

La sentenza riafferma la rigidità delle normative che regolano la cessione credito fiscale. Il divieto di doppia cessione è un limite invalicabile, posto a tutela di interessi pubblicistici e della certezza nei rapporti con l’Erario. Per gli operatori economici, questa decisione rappresenta un monito importante: prima di acquistare un credito fiscale, è indispensabile condurre una due diligence approfondita sull’intera catena dei trasferimenti per assicurarsi che non vi siano state precedenti cessioni. La validità dell’acquisto è il presupposto essenziale per poter esercitare il diritto al rimborso, e la violazione di norme imperative come quella analizzata rende l’operazione inefficace nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria.

È possibile cedere un credito fiscale più di una volta?
No, la sentenza conferma che l’art. 43-bis del d.P.R. n. 602/1973 vieta espressamente la ‘doppia cessione’ di un credito fiscale. Un credito già ceduto dal contribuente originario a un primo cessionario non può essere ulteriormente trasferito da quest’ultimo a un terzo.

Cosa succede se la prima cessione del credito non viene notificata all’Amministrazione Finanziaria?
La sentenza evidenzia la mancata notifica come un elemento critico. Sebbene la decisione si fondi principalmente sul divieto di doppia cessione, la notifica è un presupposto essenziale per rendere la cessione opponibile all’ente debitore, cioè l’Amministrazione Finanziaria, come previsto dalle norme generali.

Un giudice può rigettare una richiesta per motivi non discussi dalle parti?
Sì. La Corte ha stabilito che la validità della catena di cessioni e il rispetto del divieto di doppia cessione sono ‘quaestiones iuris’, cioè questioni di diritto che il giudice deve rilevare d’ufficio per accertare la sussistenza stessa del diritto vantato, senza che ciò costituisca un vizio di ultra-petizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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