Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20926 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20926 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7711/2020 R.G. proposto da :
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa ex lege dalla Avvocatura Generale dello Stato
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE con gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso la Sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia n. 4544/2019 depositata il 18/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 25.6.1979 la Cassa RAGIONE_SOCIALE Popolare di Palma di Montechiaro, poi fusasi nella RAGIONE_SOCIALE, presentava dichiarazione dei redditi ai fini dell’IRPEG relativ a all’anno 197 8, nelle quali chiedeva il rimborso di un credito d’imposta pari a 28.703.000 lire (equivalenti a 14.823,86 euro).
Con atto sottoscritto il 2 dicembre 1992 la prefata RAGIONE_SOCIALE cedeva la propria azienda bancaria alla Credito Italiano s.p.a., ora Unicredit s.p.a.
In data 11 giugno 2012 l’Unicredit s.p.a. proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Agrigento avverso il silenziorifiuto opposto dall’Amministrazione Finanziaria in riferimento alla anzidetta istanza di rimborso.
La Commissione adìta accoglieva il ricorso, condannando l’Ufficio al pagamento dei crediti d’imposta fatti valere dalla banca, con l’aggiunta degli «interessi maturati e maturandi come per legge».
La decisione veniva successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, che con sentenza n. 4544/2019 depositata il 18 luglio 2019 respingeva l’appello erariale.
Osservavano i giudici regionali che la summenzionata cessione di azienda bancaria intervenuta nel 1992, comprendente i crediti d’imposta oggetto delle istanze di rimborso di cui trattasi, non era soggetta agli adempimenti prescritti dall’art. 43 -bis del D.P.R. n. 602 del 1973 e dall’art. 1, comma 8, del D.M. n. 384 del 1997, i quali erano stati comunque osservati dall’Unicredit s.p.a., che nel settembre 2013 aveva provveduto alla notifica dell’atto di cessione nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria.
Avverso la predetta sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’Unicredit s.p.a. ha resistito con controricorso , illustrato con il deposito di memoria difensiva ex art. 380-bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso , formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., sono denunciate la violazione e la falsa applicazione degli artt. 19 e 21 del D. Lgs. n. 546 del 1992.
1.1. Si rimprovera alla CTR di aver erroneamente respinto la sollevata eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo della lite in conseguenza dell’omessa impugnazione del provvedimento espresso di diniego del rimborso adottato il 21 dicembre 1996
dall’Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette di Licata nei confronti dell’allora Credito Italiano.
1.2. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità.
1.3 La Commissione regionale ha affermato che il provvedimento emesso dall’Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette di Licata con nota n. 4130 prot. del 21 dicembre 1996 -il cui contenuto è stato trascritto nel corpo del ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza- non era qualificabile come «rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi», onde doveva escludersene l’impugnabilità dinanzi al giudice tributario ai sensi dell’art. 19, comma 1, lettera g), del D. Lgs. n. 546 del 1992.
1.4. Tale provvedimento, infatti, non faceva sèguito a una nuova istanza di rimborso successiva a quella già formulata nell’anno 1979 dalla Cassa Rurale e Artigiana di Palma di Montechiaro, poi fusasi nella RAGIONE_SOCIALE, ma si ricollegava alla richiesta avanzata dal Credito Italiano, resosi nel frattempo cessionario dell’azienda bancaria esercitata dalla suddetta RAGIONE_SOCIALE, volta ad ottenere l’assegnazione di titoli di Stato a parziale estinzione dei crediti d’imposta inerenti all’azienda ceduta, giusta quanto disposto dall’art. 5, comma 1, del D.L. n. 307 del 1994, convertito in L. n. 457 del 1994.
1.5. Nel descritto contesto, il rifiuto dell’Ufficio di soddisfare i crediti in parola secondo la modalità alternativa indicata dalla banca cessionaria non poteva ritenersi equivalente a un diniego di rimborso.
1.6. La censura in esame non si confronta con il ragionamento posto a base del «dictum» del collegio di appello e non può, conseguentemente, trovare ingresso.
1.7. Occorre, peraltro, tener presente che questo Supremo Collegio, pronunciandosi in analogo contenzioso riguardante i crediti IRPEG richiesti in rimborso dalla stessa Cassa Rurale e Artigiana di Palma di Montechiaro con riferimento ad altri periodi
d’imposta, ha già avuto modo di statuire che la mentovata nota dell’Ufficio di Licata n. 4130 del 21 dicembre 1996 non costituiva provvedimento impugnabile (cfr. Cass. n. 39135/2021, Cass. n. 20648/2023, Cass. n. 29087/2023, da ultimo richiamate da Cass. n. 10608/2025).
1.8. Nei citati precedenti è stato precisato che tale provvedimento «non p(uò) considerarsi atto impugnabile ex art. 19, comma 1, lett. g, del D. Lvo 31 dicembre 1992, n. 546, non essendo qualificabile nei termini di ‘rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi’. Difatti, la richiesta respinta della ‘RAGIONE_SOCIALE non aveva per oggetto il rimborso del credito IRPEG per l’anno d’imposta 1986, di cui essa aveva acquistato la titolarità per effetto della cessione di azienda del 2 dicembre 1992, anche in considerazione della reiterata proposizione della relativa istanza nelle dichiarazioni annuali dei redditi ex art. 1 del D.M. 26 agosto 1994, ma l’opzione per una diversa modalità di estinzione del medesimo credito (assegnazione di titoli di Stato) ai sensi dell’art. 5, commi 1 e 1 -bis, del D.L. n. 23 maggio 1994, n. 307, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 luglio 1994, n. 457. Per cui, il rifiuto di soddisfare il credito con la modalità alternativa dell’assegnazione dei titoli di Stato non poteva equivalere ad un diniego (ancorché tacito) di rimborso».
1.9. Su detta statuizione è disceso il giudicato.
1.10. Orbene, l’esistenza del giudicato esterno, a prescindere dalla posizione assunta in giudizio dalle parti, è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, anche nell’ipotesi in cui esso si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, trattandosi di un dato assimilabile agli elementi normativi astratti, in quanto destinato a fissare la regola del caso concreto: il suo accertamento non costituisce, quindi, patrimonio esclusivo delle parti, ma corrisponde a un preciso interesse pubblico sotteso alla funzione primaria del processo e consistente nell’eliminazione
dell’incertezza delle situazioni giuridiche attraverso la stabilità della decisione, conformemente al principio del «ne bis in idem» (cfr., ex ceteris, Cass. n. 5836/2024, Cass. n. 16847/2018, Cass. n. 26049/2016).
1.11. D’altronde, in caso di giudicato esterno conseguente a una sentenza della stessa Corte Suprema, i giudici di legittimità possono pervenire alla cognizione della precedente pronuncia anche mediante quell’attività di ricerca (relazioni, massime ufficiali e consultazione del CED) che costituisce corredo del collegio giudicante nell’adempimento della funzione nomofilattica di cui all’art. 65, comma 1, dell’ordinamento giudiziario e del dovere di prevenire contrasti fra giudicati (cfr. Cass. n. 24740/2015, Cass. n. 30780/2011, Cass. Sez. Un. n. 26482/2007). 30780/2011, Cass. Sez. Un. n. 26482/2007).
Con il secondo motivo, proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono lamentate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.
2.1 La doglianza è articolata in due distinti profili di censura: il primo concerne il contratto di cessione di azienda bancaria concluso in data 2 dicembre 1992 fra la RAGIONE_SOCIALE e il Credito Italiano, che la ricorrente sostiene non essere conforme alle disposizioni recate dagli artt. 69 e 70 del D.P.R. n. 2440 del 1923, in quanto privo dell’indicazione del titolo e dell’importo dei crediti ceduti; il secondo attiene, invece, alla prova dell’esistenza e dell’ammontare dei crediti d’imposta per cui è causa, che a detta dell’Amministrazione Finanziaria avrebbe dovuto essere fornita dalla contribuente, attrice in senso sostanziale, mediante la produzione di copia della «documentazione inerente i versamenti effettuati in eccesso».
2.2. Anche questo motivo è inammissibile.
2.3. La prima parte della censura appare carente di specificità, non confrontandosi con la ratio della decisione gravata.
2.4. I giudici di appello, qualificando come cessione di azienda il contratto stipulato il 2 dicembre 1992 fra RAGIONE_SOCIALE e il Credito Italiano, hanno escluso che lo stesso fosse soggetto agli oneri formali imposti per la cessione di crediti verso lo Stato dagli artt. 69 e 70 del R.D. n. 2440 del 1923.
2.5. Dalle surriferite argomentazioni completamente prescinde la lagnanza in scrutinio, la quale non supera, pertanto, il vaglio di ammissibilità.
2.6. Ad ogni modo, nei precedenti innanzi richiamati (cfr. Cass. n. 39135/2021 e Cass. n. 23709/2023) questa Corte ha reputato giuridicamente corretto il ragionamento svolto dalla CTR, secondo cui la titolarità dei crediti d’imposta originariamente facenti capo alla Cassa Rurale e Artigiana di Palma di Montechiaro era stata acquistata dal Credito Italiano (ora Unicredit s.p.a.) in conseguenza della più volte ricordata cessione di azienda del 2 dicembre 1992, la quale non risultava soggetta agli oneri previsti dagli artt. 69 e 70 del R.D. n. 2440 del 1923 per la cessione di crediti verso lo Stato ed era stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana ai sensi dell’art. 26, comma 2, del D. Lgs. n. 481 del 1992, poi trasfuso nell’art. 58, comma 2, del D. Lgs. n. 385 del 1993 (cd. Testo Unico Bancario), per gli effetti indicati dall’art. 1264 c.c.
2.7. Pure la cennata questione deve, quindi, ritenersi coperta dal giudicato.
2.8. Con riguardo alla seconda lagnanza estrapolabile dal mezzo di gravame, giova rammentare che la violazione del precetto sancito dall’art. 2697 c.c. si configura ove il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni, non già quando oggetto di censura sia la valutazione che il giudice medesimo abbia svolto delle prove proposte dalle parti (cfr., ex
permultis , Cass. n. 268/2025, Cass. n. 33093/2024, Cass. n. 32100/2023).
2.9. Nel caso di specie, senza affatto invertire l’onere probatorio fra le parti, la CTR ha ritenuto che l’esistenza dei crediti d’imposta fosse stata adeguatamente dimostrata mediante i documenti versati in atti dalla banca, la cui veridicità era «facilmente riscontrabile ed accertabile dalla stessa agenzia appellante a mezzo di una semplice interrogazione informatica dei dati in possesso dell’anagrafe tributaria» e «risulta(nti) dalle già prodotte dichiarazioni dei sostituti d’imposta (mod. 770/92)».
2.10. A fronte del percorso argomentativo sopra riassunto, le critiche rivolte dalla ricorrente alla sentenza d’appello si riferiscono, a ben vedere, alla ritenuta idoneità della documentazione prodotta in giudizio dalla contribuente a fornire la prova dei fatti costitutivi del preteso diritto al rimborso.
2.11. Si tenta, per questa via, di introdurre nell’odierna sede di legittimità un non consentito sindacato sulla valutazione del materiale istruttorio compiuta dal collegio regionale, obliterandosi che l’apprezzamento delle prove, così come la scelta, fra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, rientrano nell’àmbito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito (cfr. Cass. n. 27722/2024, Cass. n. 27432/2023, Cass. n. 36802/2022).
Per le ragioni esposte, il ricorso va dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. n. 30 maggio n. 115, art. 13 comma 1quater (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M .
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 03/07/2025.