LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Cessazione materia del contendere: ricorso inammissibile

Un contribuente ha impugnato un avviso di accertamento per la TARI. Dopo una sentenza di secondo grado a lui sfavorevole, ha proposto ricorso in Cassazione. Nelle more del giudizio, le parti hanno raggiunto un accordo transattivo. La Suprema Corte, preso atto della cessazione materia del contendere, ha dichiarato il ricorso inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, chiarendo che in questi casi non si applica il raddoppio del contributo unificato.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 22 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Cessazione Materia del Contendere: Quando l’Accordo Rende il Ricorso Inammissibile

La cessazione materia del contendere è un istituto giuridico che pone fine a un processo quando viene a mancare il motivo stesso del contendere. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce le conseguenze processuali di un accordo conciliativo raggiunto tra un contribuente e un Comune mentre il ricorso era pendente, focalizzandosi sull’inammissibilità e sulle spese.

La Vicenda Processuale: dalla TARI alla Cassazione

Il caso ha origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento relativo alla TARI (Tassa sui Rifiuti) per l’anno 2017, emesso da un Comune nei confronti di un contribuente, ex socio di una società di persone.

In primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso del contribuente. Tuttavia, in appello, la Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado ribaltava la decisione, dando ragione al Comune. A questo punto, il contribuente decideva di portare la questione dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione di diverse norme di legge.

L’Accordo tra le Parti e la Cessazione Materia del Contendere

Mentre il giudizio era in corso davanti alla Suprema Corte, accadeva un fatto decisivo: le parti raggiungevano un accordo conciliativo. Il contribuente depositava una nota informando la Corte dell’avvenuta transazione, che non solo risolveva la controversia per l’anno 2017 ma anche per altre annualità pendenti. Questo accordo, di fatto, eliminava l’oggetto della lite e, di conseguenza, l’interesse del ricorrente a ottenere una sentenza.

La richiesta del contribuente era quella di dichiarare la cessazione materia del contendere, chiedendo la compensazione delle spese legali, dato che il Comune non si era costituito in giudizio.

La Decisione della Suprema Corte: Inammissibilità per Carenza d’Interesse

La Corte di Cassazione ha analizzato la situazione e ha tratto le sue conclusioni, che si rivelano di grande importanza pratica per chiunque si trovi in una situazione simile.

Le Motivazioni

La Corte ha stabilito che la richiesta di declaratoria di cessazione materia del contendere, basata su un accordo extragiudiziale, equivale a una manifestazione di sopravvenuta carenza di interesse ad una pronuncia nel merito. L’interesse ad agire e a resistere in giudizio deve sussistere non solo al momento dell’instaurazione della causa, ma per tutta la sua durata. Venendo meno tale interesse, il processo non può più proseguire.

Di conseguenza, la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. È una decisione tecnicamente precisa: non si tratta di un rigetto nel merito, ma di una constatazione che non ci sono più le condizioni per giudicare. Inoltre, la Corte ha affrontato un altro punto cruciale: l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato (il cosiddetto ‘doppio contributo’). Secondo l’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, tale obbligo sorge quando un’impugnazione è respinta o dichiarata inammissibile. Tuttavia, richiamando una precedente pronuncia (Cass. n. 34025/2023), la Corte ha chiarito che questa norma ha natura sanzionatoria e si applica solo ai casi tipici di rigetto o inammissibilità ‘pura’, non quando la fine del processo deriva da una rinuncia o da un accordo. Pertanto, il ricorrente non è stato condannato al pagamento del doppio contributo.

Le Conclusioni

L’ordinanza offre due importanti spunti pratici. In primo luogo, conferma che un accordo tra le parti determina l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, ponendo fine al contenzioso in modo definitivo. In secondo luogo, e forse ancora più rilevante, stabilisce un principio di equità riguardo al contributo unificato: raggiungere un accordo e porre fine alla lite non deve essere ‘punito’ con un onere economico aggiuntivo, incentivando così la risoluzione stragiudiziale delle controversie anche in fase di legittimità.

Cosa accade a un ricorso in Cassazione se le parti trovano un accordo?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. L’accordo fa venir meno l’interesse delle parti a ottenere una sentenza dalla Corte, che quindi non può più pronunciarsi sul merito della questione.

Se il ricorso viene dichiarato inammissibile a seguito di un accordo, il ricorrente deve pagare il doppio del contributo unificato?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato è una misura sanzionatoria che non si applica nei casi in cui l’inammissibilità deriva da un accordo conciliativo o da una rinuncia al ricorso.

Perché il ricorso viene dichiarato inammissibile e non viene semplicemente dichiarata la cessazione della materia del contendere?
La richiesta di declaratoria di cessazione della materia del contendere è interpretata dalla Corte come una manifestazione della sopravvenuta carenza di interesse a una decisione. Questa carenza di interesse è una delle cause di inammissibilità del ricorso, ovvero un vizio che impedisce al giudice di esaminare la questione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati