Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8850 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8850 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 03/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1763/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici è domiciliata in Roma alla INDIRIZZO;
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE, quale incorporante di RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma in INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 6018/2017, depositata il 19 ottobre 2017;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
Premesso che
Dalla sentenza impugnata oltre che dagli atti di parte (ricorsi, controricorsi) emerge che l ‘ RAGIONE_SOCIALE propose
appello avverso la decisione della CTP di Roma con la quale, in accoglimento del ricorso della società contribuente, avverso l’avviso di accertamento con il quale di procedeva al recupero dell’IVA relativa agli acquisti indicati al rigo VF13 per l’anno 2008, venne rilevata la decadenza dell’azione proposta dall’ufficio finanziario. In particolare, si ritenne non applicabile il raddoppio dei termini di prescrizione dell’accertamento previsto dall’art. 43, comma 2bis, d.P.R. n. 600 DEL 1973, non sussistendo gli elementi costitutivi di una fattispecie penalmente rilevante. L’ A genzia nell’atto di appello evidenziò la sussistenza dei presupposti per il raddoppio, avendo comunicato nel 2014 la notizia di reato costituita dalla ritenuta violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000. Il giudice di seconde cure respinse l’appello evidenziando come nella specie si fosse trattato non del reato di dichiarazione infedele, come peraltro escluso dal GIP di Velletri, ma di mero splafonamento, costituente una violazione amministrativa.
La RAGIONE_SOCIALETRAGIONE_SOCIALE pose a sostegno del proprio ragionamento la decisione della Corte Cost. n. 247/2001 ed affermò che il giudice tributario fosse tenuto, se richiesto con i motivi dell’impugnazione, a verificare la sussistenza dell’obbligo di denuncia compiendo a riguardo una valutazione cd. postuma, ora per allora.
Avverso tale decisione propone ricorso l’RAGIONE_SOCIALE. affidato a due motivi, resiste con controricorso la società contribuente.
RILEVATO CHE
1.Nelle more della definizione del presente procedimento è stata presentata istanza di definizione agevolata, ai sensi dell’art. 6, comma 1, del d.l. n. 119 del 2018. È stata data prova dell’avvenuto versamento della prima rata, così come prescritto dalla norma, ed è stato comunicato l’avvenuto pagamento RAGIONE_SOCIALE 20 rate previste. Sicché è stato chiesto in questa sede di dichiararsi cessata la materia del contendere in considerazione dell’avvenuto
perfezionamento della fattispecie prevista, ai fini estintivi, dal citato art. 6.
Ne consegue la non necessità di riprodurre in questa sede le singole doglianze proposte.
L’adesione del contribuente alla procedura di definizione agevolata permette di riscontrare l’effettiva definizione della lite, consentendo, pertanto, al giudice di dichiarare la cessazione della materia del contendere, con conseguente estinzione del processo. Deve infatti ribadirsi che deve essere dichiarata l’estinzione del giudizio pendente per effetto del pagamento di quanto a tale titolo dovuto, avendo questa regola portata generale, tanto da essere espressamente prevista dall’articolo 46, primo comma, d.lgs. n. 546/92, secondo cui: “il giudizio si estingue, in tutto o in parte, nei casi di definizione RAGIONE_SOCIALE pendenze tributarie previsti dalla legge ed in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere”.
In conclusione, deve dichiararsi l’estinzione del giudizio per cessata materia del contendere. Le spese restano a carico di chi le ha anticipate.
Deve escludersi, infine, la condanna al pagamento del raddoppio del contributo unificato atteso che in tema di impugnazioni, l’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, che pone a carico del ricorrente rimasto soccombente l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non trova applicazione nella fattispecie al vaglio di questa Corte in quanto tale misura si applica ai soli casi – tipici – del rigetto dell’impugnazione o della sua declaratoria d’inammissibilità o improcedibilità e, trattandosi di misura eccezionale, lato sensu sanzionatoria, è di stretta interpretazione e non suscettibile, pertanto, di interpretazione estensiva o analogica (Cass. n. 23175 del 2015; da ultimo Cass. n. 19071 del 2018).
P.Q.M.
Dichiara cessata la materia del contendere. Spese a carico di chi le ha anticipate.
Così deciso in Roma, l’ 8 novembre 2023