Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 902 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 902 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
Dibattista NOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato recapito PEC, avendo il ricorrente dichiarato di eleggere domicilio presso lo studio del difensore, alla INDIRIZZO in Roma;
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’Avvocatura Generale dello Stato, e domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma;
-controricorrente –
avverso
la sentenza n. 1074, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia il 22.2.2016, e pubblicata il 27.4.2016; ascoltata la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME la Corte osserva:
Fatti di causa
Oggetto: Reddito di partecipazione del socio RAGIONE_SOCIALE con ristretta base partecipativa – Cessazione della materia del contendere -Dichiarata dal Presidente e non dal collegio.
L’Agenzia delle Entrate notificava a NOME NOME, socio unico della RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO contestando, ai fini Irpef, il maggior reddito di partecipazione ritenuto conseguito con riferimento all’anno 2007. Alla società era notificato separato avviso di accertamento attinente al maggior reddito conseguito ai fini delle imposte dirette ed indirette.
La società ed il socio proponevano separati ricorsi, riuniti dalla CTP, avverso gli avvisi di accertamento ricevuti, eccependo innanzitutto l’inesistenza della notificazione dell’atto impositivo alla società. Tenuto conto del rapporto di pregiudizialità tra l’accertamento societario e quello relativo al reddito di partecipazione contestato al socio, il giudice di primo grado sospendeva l’efficacia di quest’ultimo (sent. CTR, p. II). L’Agenzia delle Entrate, preso atto che la società aveva anche proposto querela di falso avverso le dichiarazioni del messo notificatore, adottava provvedimenti di annullamento in autotutela sia dell’accertamento societario, sia di quello indirizzato al socio ed oggetto di questo processo, e chiedeva alla CTP dichiararsi l’estinzione dei giudizi.
Notificava quindi nuovi avvisi di accertamento alla società ed al socio, che sono oggetto di separati giudizi.
1.1. Il Presidente della ottava sezione della CTP di Bari, con decreto del 28 febbraio 2014 n. 546/08/2014 dichiarava l’estinzione del giudizio relativo al reddito di partecipazione contestato come conseguito dal socio, a causa della cessazione della materia del contendere, compensando le spese di lite tra le parti.
1.2. Società e socio proponevano reclamo avverso la pronuncia adottata dal Presidente, innanzi alla CTP, che lo respingeva, disponendo la compensazione delle spese di lite.
Il contribuente impugnava la decisione di estinzione innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, censurando la nullità della pronuncia a causa della violazione del contraddittorio, nonché delle regole di cui all’art. 46 del d.lgs. 546 del 1992, e contestava pure la compensazione delle spese di lite. La CTR, con la decisione impugnata in questa sede, dichiarava l’inammissibilità del ricorso, compensando le spese di lite.
Avverso la pronuncia del giudice dell’appello COGNOME Francesco ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi a due motivi di impugnazione. Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, indicato come proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il contribuente contesta la violazione degli artt. 27, 29 e 46 del D.Lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 101 cod. proc. civ., perché il Presidente della Commissione Tributaria Provinciale ha pronunciato, in assenza di contraddittorio, un provvedimento di estinzione attribuito alla competenza del collegio.
Mediante il secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente contesta la violazione degli artt. 27 e 46 del D.Lgs. n. 546 del 1992, per avere il Presidente della Commissione Tributaria Provinciale pronunciato con decreto l’estinzione del giudizio, mentre il procedimento era di competenza del collegio e doveva essere adottato con sentenza.
Occorre preliminarmente dare atto che analogo ricorso è stato proposto, avverso il provvedimento presidenziale che ha dichiarato l’estinzione del giudizio e la cessazione della materia del contendere, anche dalla RAGIONE_SOCIALE sempre lamentando che il Presidente non avrebbe potuto adottare la decisione come organo monocratico. Il processo è giunto al giudizio di cassazione
ed è stato definito da questa Corte di legittimità con pronuncia 13.5.2022, n. 15432, che questo Collegio condivide ed alla quale intende pertanto assicurare continuità, riproducendone per quanto d’interesse i contenuti.
Mediante i suoi due motivi di ricorso il contribuente critica, in relazione ai profili della nullità della sentenza e della violazione di legge, la pronuncia della CTR impugnata per non aver rilevato che il decreto adottato dal Presidente della CTP è illegittimo, perché adottato da organo incompetente ed in assenza di contraddittorio. Afferma il contribuente di essere portatore di un interesse alla pronuncia sul ricorso, che non meglio specifica, salvo aggiungere ‘non ultimo’, al fine ‘di ottenere il ristoro delle spese processuali’ (ric., p. 18). I motivi di ricorso presentano elementi di connessione e possono essere trattati congiuntamente, per ragioni di sintesi e chiarezza espositiva.
4.1. Il ricorrente sostiene che il Presidente non aveva la legittimazione ad adottare il decreto di estinzione del processo a causa della cessazione della materia del contendere perché il giudizio non si trovava più nella fase preliminare, quando la competenza gli sarebbe appartenuta (art. 27, Dpr 546/92), perché il processo era già stato assegnato all’organo collegiale della CTP, che lo aveva rimesso al Presidente al solo fine di valutare la eventuale riunione dei processi, e la competenza a pronunciare la cessazione della materia del contendere si era pertanto trasferita al Collegio (art. 46, Dpr n. 546 del 1992). Inoltre, con ordinanza n. 299/18/13 era stata disposta la sospensione del giudizio dal Collegio, ed in tale fase non potevano essere adottati provvedimenti di estinzione. Ancora, la cessazione della materia del contendere poteva dichiararsi solo sull’accordo delle parti.
Occorre allora innanzitutto rilevare come la CTR attesti che la CTP aveva disposto la sospensione dell’efficacia dell’avviso di accertamento impugnato, e non la sospensione del giudizio,
limitandosi poi, con l’ordinanza richiamata dal ricorrente, a disporre il rinvio a nuovo ruolo del processo.
5.1. Può quindi ricordarsi, in accordo con la richiamata pronuncia Cass. n. 15432/2022, che secondo la tesi della ricorrente, il decreto emesso dal Presidente della CTP violerebbe una serie di norme processuali ed in particolare: a) l’art. 27 del processo tributario in quanto i poteri riservati da tale norma per dichiarare l’estinzione del processo non sono estensibili a quelli riservati allo stesso Presidente dal successivo articolo 46, fuori dalla fase di esame preliminare del ricorso, stante la pendenza del ricorso e l’avvenuta integrazione del contraddittorio con la costituzione anche della parte resistente; b) l’art. 46 del processo tributario in quanto la cessazione della materia del contendere presuppone il sopravvenire di una situazione riconosciuta ed ammessa da tutte le parti del processo, che ne abbia eliminato la posizione di conflitto, facendo venir meno la necessità di una pronuncia del giudice, il che implica l’integrità del contraddittorio; c) l’articolo 101 cod. proc. civ. e 111 Cost. perché qualora, come nella fattispecie, la cessazione della materia del contendere emerga a contraddittorio già instauratosi, la competenza a dichiarare l’estinzione è del Collegio e non del Presidente, essendosi già avviata la fase della trattazione che implica, necessariamente, l’audizione della parte privata e l’integrità del contraddittorio.
5.2. Secondo la tesi erariale, invece, vi sarebbe un preciso dovere del Presidente di dichiarare, ai sensi dell’art. 46 del processo tributario, l’estinzione del processo per sopravvenuta cessazione della materia del contendere, evidenziandosi come l’art. 27 cit. non preveda l’instaurazione di preventivo contraddittorio, rinviato dall’articolo 28 d.lgs. cit. al momento successivo all’emanazione del decreto presidenziale, consentendo alla parte, attraverso il reclamo al Collegio, di contestare la sussistenza dei presupposti dell’anticipata definizione del processo. Quanto alle
spese di lite, l’Avvocatura generale dello Stato rileva che la compensazione delle spese può essere statuita dal giudice tributario anche in caso di annullamento in sede di autotutela così come affermato da questa Corte con la sentenza n. 19947 del 21/09/2010.
5.2.1. È utile comporre, sinteticamente, il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento: (i) l’art. 46 del d.lgs. n. 546 del 1992, ai primi due commi, prevede che: «1. Il giudizio si estingue, in tutto o in parte, nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere. 2. La cessazione della materia del contendere è dichiarata con decreto del presidente o con sentenza della commissione. Il provvedimento presidenziale è reclamabile a norma dell’art. 28.»; per le spese, il comma 3, come modificato dal decreto legislativo del 24/09/2015 n. 156, dispone che: «Nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate» laddove, prima della modifica disponeva che le spese del giudizio estinto, non solo nei casi di definizione previsti della legge, ma anche in ogni altro caso di cessazione della materia, restassero a carico delle parte che le ha anticipate; (ii) quanto all’esegesi di tale disposizione, è interpretazione condivisa in dottrina e giurisprudenza che l’individuazione delle situazioni suscettibili di essere qualificate alla stregua di fattispecie di cessazione della materia del contendere è correlata alla definizione dell’oggetto del processo tributario, ovvero al venir meno della ragione sostanziale del processo.
5.2.2. È principio pacifico in giurisprudenza che la rimozione dell’atto impugnato, anche per effetto della sua sostituzione, comporta la cessazione della materia del contendere, in quanto «oggetto del processo tributario, atteso il meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio che lo caratterizza, non è
l’accertamento dell’obbligazione tributaria, da condursi attraverso una diretta ricognizione della disciplina applicabile e dei fatti rilevanti sulla base di essa, a prescindere da quanto risulti nell’atto impugnato, bensì l’accertamento della legittimità della pretesa tributaria in quanto avanzata con l’atto impugnato e alla stregua dei presupposti di fatto e in diritto in tale atto indicati, con la conseguenza che, ove risulti accertato che l’Amministrazione, avvedutasi di un errore, abbia emesso un nuovo atto in sostituzione di quello errato (così implicitamente annullando quest’ultimo), deve ritenersi che il processo concernente l’impugnazione dell’atto sostituito non debba proseguire per sopravvenuta carenza di interesse ad ottenere una pronuncia sull’impugnazione di un atto già annullato in sede di autotutela» (v. Cass., Sez. 5, 03/08/2007, n. 17119).
(iii) In tale guisa è opinione comune che poiché il processo tributario è finalizzato all’accertamento del diritto collegato alla pretesa fiscale, la rimozione o la sostituzione dell’atto impositivo comporta la cessazione della materia del contendere tranne che la modificazione della situazione giuridica che ne risulta non sia interamente satisfattiva in rapporto alla dimensione della domanda del ricorrente. In questa prospettiva, ad esempio, in presenza di domanda di rimborso, la cessazione della materia del contendere conseguirebbe non all’annullamento o alla riforma dell’atto che quell’istanza ha rigettato, ma solo al pagamento da parte dell’Amministrazione di quanto richiesto.
Di qui, l’affermazione del principio generale secondo cui l’annullamento in via di autotutela di un atto, da parte dell’Amministrazione finanziaria, successivamente alla sua impugnazione, determina la sopravvenienza di carenza di interesse, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo (Cass., Sez. 5, 2/07/2008, n. 18054; Sez. 5, 3/02/2010, n. 2424; Sez. 5, 17/10/2014, n. 22019; Sez. 6 – 5, 07/09/2020, n. 18625), in
quanto «il sopravvenuto annullamento, per qualsiasi motivo, dell’atto impugnato determina la cessazione della materia del contendere, in quanto la prosecuzione del giudizio non potrebbe comportare alcun risultato utile per il contribuente, stante l’inammissibilità, in detto processo, di pronunce di mero accertamento dell’illegittimità della pretesa erariale, senza che, peraltro, il diritto di difesa dello stesso contribuente sia violato dall’eventuale riedizione del potere da parte dell’Amministrazione finanziaria, a fronte della quale potrà essere proposta impugnazione contro il nuovo atto impositivo» (v. Sez. 5 , 28/12/2018, n. 33587).
5.3. L’accertata sopravvenuta carenza di interesse rende superflua ogni ulteriore considerazione sulle doglianze proposte dal contribuente, anche se, per mera completezza, può essere rilevato che, quanto alla pretesa violazione del contraddittorio, fermo restando il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento sopra delineato, la reclamabilità al Collegio, ex art. 28 d.lgs. n. 546 del 1992, garantisce, alla parte che ne abbia interesse, di azionare il contradditorio frapponendo le sue difese.
Tale strumento – che per opinione dominante è assimilabile al reclamo contro le ordinanze del giudice istruttore di cui all’articolo 178 cod. proc. civ. – rappresenta, infatti, un vero e proprio mezzo di impugnazione da proporsi all’organo giurisdizionale entro il quale quello individuale (nella specie il Presidente di Collegio) ha emesso il provvedimento.
Nella specie, con la proposizione del reclamo, il ricorrente ha avuto modo di proporre le sue difese a contraddittorio pieno.
5.3.1. Inoltre, sulla disposta integrale compensazione delle spese processuali di merito, per costante e ribadita giurisprudenza di questa Corte «in tema di processo tributario, nell’ipotesi di estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 46, primo comma del d.lgs. n. 546 del 1992, per cessazione della materia del contendere
determinata dall’annullamento in autotutela dell’atto impugnato (dovuta all’accoglimento di uno dei motivi preliminari d’invalidità dedotti dal contribuente), può essere disposta la compensazione delle spese di lite ai sensi dell’art. 15, primo comma, del medesimo d.lgs., in quanto intervenuta all’esito di una valutazione complessiva della lite da parte del giudice tributario, trattandosi di un’ipotesi diversa dalla compensazione “ope legis” prevista dal terzo comma dell’art. 46 sopra citato, come conseguenza automatica di qualsiasi estinzione del giudizio, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 274 del 2003» (cfr. Cass. n.19947 del 21/09/2010, id. n. 9174 del 21/04/2011; Sez. 6-5, 14/02/2017, n. 3950; sulle ragioni legittimanti ex art.92, secondo comma, cod. proc. civ. la deroga al principio di soccombenza, v. Sez. 5, n. 2883 del 10/02/2014; Sez. U. n. 2572 del 2012).
Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile per la sopravvenuta carenza di interesse.
Le spese processuali seguono l’ordinaria regola della soccombenza, e sono liquidate in dispositivo, in considerazione della natura delle questioni esaminate e del valore della controversia.
6.1. Deve ancora darsi atto che ricorrono le condizioni processuali per il versamento, da parte del ricorrente, del c.d. doppio contributo.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso proposto da NOME NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese di lite in favore della costituita controricorrente, e le liquida in complessivi Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater , dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis , se dovuto.
Così deciso in Roma il 12 dicembre 2024.