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Cessata materia contendere: ricorso inammissibile

Una società propone ricorso in Cassazione contro una sentenza tributaria. Nel frattempo, la stessa sentenza viene revocata dal giudice di secondo grado. La Corte di Cassazione, di conseguenza, dichiara il ricorso inammissibile per cessata materia del contendere, dato che l’oggetto dell’impugnazione non esiste più, facendo venire meno l’interesse ad agire del ricorrente.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Cessata Materia del Contendere: Quando il Ricorso in Cassazione Diventa Inutile

Nel complesso mondo del diritto processuale, esistono principi che garantiscono l’efficienza e la logica del sistema giudiziario. Uno di questi è la cessata materia del contendere, un concetto che emerge quando, per eventi sopravvenuti, una controversia perde il suo oggetto e, di conseguenza, l’interesse delle parti a una decisione nel merito. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un chiaro esempio di applicazione di questo principio in ambito tributario, dichiarando inammissibile un ricorso divenuto ormai privo di scopo.

I Fatti del Caso: Un Contenzioso Tributario e la Revocazione della Sentenza

La vicenda trae origine da un contenzioso tributario tra una società e un Comune siciliano, relativo a un’intimazione di pagamento per l’ICI dell’anno 2011. La Commissione Tributaria Regionale aveva dato torto alla società, la quale decideva di impugnare tale decisione presentando ricorso in Cassazione.

Tuttavia, parallelamente al giudizio di legittimità, la società intraprendeva un’altra azione legale: un ricorso per revocazione contro la stessa sentenza della Commissione Tributaria Regionale. Questo secondo procedimento si concludeva con successo: il giudice regionale accoglieva la revocazione e, di fatto, annullava la sentenza che era oggetto del ricorso pendente in Cassazione, confermando invece la decisione di primo grado favorevole al contribuente.
A questo punto, la stessa società ricorrente informava la Suprema Corte dell’accaduto, chiedendo che venisse dichiarata la cessata materia del contendere.

La Decisione della Cassazione e la cessata materia del contendere

La Corte di Cassazione, analizzata la situazione, non ha potuto fare altro che dichiarare il ricorso inammissibile. La logica è stringente: il ricorso per cassazione era stato proposto per ottenere l’annullamento di una specifica sentenza. Poiché quella stessa sentenza è stata revocata e sostituita da un’altra pronuncia, l’oggetto del contendere davanti alla Suprema Corte è venuto meno.

Di conseguenza, è venuto meno anche l’interesse del ricorrente a proseguire il giudizio, un requisito fondamentale previsto dall’articolo 100 del Codice di Procedura Civile. Senza un interesse concreto e attuale a una decisione, il processo non può proseguire.

Le Motivazioni Giuridiche: L’Interesse ad Agire nel Processo

La Corte ha ribadito un principio cardine del nostro ordinamento processuale: l’interesse ad agire, e quindi anche a impugnare, deve sussistere non solo al momento della proposizione dell’azione, ma deve perdurare fino al momento della decisione. Nel caso di specie, la revoca della sentenza impugnata ha causato un “sopravvenuto difetto di interesse”.

Il ricorso per cassazione è diventato, in pratica, un’azione senza scopo. Anche se la nuova sentenza di revocazione potesse essere a sua volta impugnata, questa è una mera possibilità futura e non incide sulla carenza di interesse attuale a coltivare il ricorso originario. La pronuncia che costituiva l’oggetto del giudizio di legittimità non esisteva più, rendendo inutile qualsiasi valutazione da parte della Corte.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche e Niente Spese

L’ordinanza si conclude con due importanti precisazioni pratiche. In primo luogo, la Corte non ha statuito sulle spese di giudizio, data l’assenza di attività difensiva da parte del Comune e dell’agente della riscossione. Essendo rimasti intimati senza costituirsi, non vi era ragione di condannare il ricorrente a rifondere spese legali mai sostenute.

In secondo luogo, e ancora più rilevante, la Corte ha escluso l’applicazione del cosiddetto “doppio contributo unificato”, ovvero il versamento di un ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso. Questa sanzione si applica nei casi di inammissibilità, rigetto o improcedibilità per scoraggiare impugnazioni pretestuose. Tuttavia, la giurisprudenza consolidata chiarisce che tale meccanismo sanzionatorio opera solo per l’inammissibilità originaria del ricorso, non per quella derivante da eventi sopravvenuti. Poiché in questo caso la cessata materia del contendere è un evento successivo alla proposizione del ricorso, non denota un accesso strumentale alla giustizia e, pertanto, la sanzione non è dovuta.

Cosa significa “cessata materia del contendere”?
Si verifica quando, durante un processo, scompare l’oggetto della lite o l’interesse delle parti a una decisione, rendendo inutile la prosecuzione del giudizio.

Perché il ricorso per cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Perché la sentenza contro cui era stato proposto è stata revocata e annullata da un’altra pronuncia del giudice di secondo grado. Di conseguenza, è venuto meno l’oggetto del contendere e l’interesse del ricorrente a ottenere una decisione dalla Cassazione.

In caso di inammissibilità per cessata materia del contendere, il ricorrente deve pagare una sanzione aggiuntiva (doppio contributo unificato)?
No. Secondo la Corte, l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato non si applica quando l’inammissibilità deriva da eventi sopravvenuti, come in questo caso, e non da un vizio originario dell’impugnazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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