Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 29066 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 29066 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22007/2019 R.G. proposto da
COGNOME NOME, rappresentata e difesa da NOME (CODICE_FISCALE)
: ll’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (P_IVA)
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,
sede in ROMA n. 512/2019 depositata il 06/02/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/10/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso introdotto dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, la ricorrente ha impugnato l’avviso di rettifica e liquidazione che le era stato notificato dall’RAGIONE_SOCIALE in data
30/07/2014, con il quale le era stato richiesto il pagamento della somma complessiva di € 48.475,89, relativa al ricalcolo RAGIONE_SOCIALE imposte dovute per la compravendita di un terreno sito in Ardea, Località INDIRIZZO di San Lorenzo (Tirrenella).
Era accaduto che, al momento della presentazione della denuncia di successione, la ricorrente aveva richiesto un certificato di destinazione urbanistica del bene immobile presso il Comune di Ardea dal quale era emerso che il terreno aveva una destinazione F2 Verde Pubblico. Successivamente la ricorrente aveva deciso di vendere l’immobile alla RAGIONE_SOCIALE al prezzo di € 23.000,00 dalla stessa ritenuto congruo per la nota destinazione del terreno, in quanto a suo dire non a conoscenza della diversa destinazione urbanistica nel frattempo intervenuta. In seguito all’inizio di un’indagine penale nei confronti di alcuni funzionari, il Comune di Ardea ha successivamente rettificato le proprie precedenti dichiarazioni e rilasciato alla ricorrente, nel 2016, un certificato di destinazione urbanistica nel quale veniva indicata nuovamente la destinazione del terreno (come già indicata nel certificato del 2005) come verde pubblico.
La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, preso atto, con la sentenza n. 3473/2017 depositata in data 13/02/2017, ha accolto il ricorso e compensato le spese di lite tra le parti.
Avverso la sentenza ha proposto appello, dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale per il Lazio, l’RAGIONE_SOCIALE e la CTR, con la sentenza in epigrafe indicata, ha ritenuto infondata la doglianza relativa alla violazione del principio di correlazione tra richiesto e pronunciato, ma lo ha accolto nel merito, ritenendo errata la sentenza di primo grado, in quanto basata su un certificato del 2016, mentre il riferimento corretto per la destinazione urbanistica del terreno al momento della compravendita era il certificato del 20 luglio 2012, allegato all’atto pubblico e noto a entrambe le parti (che hanno esonerato il AVV_NOTAIO dalla lettura), il quale certificato attestava che il
terreno era in “zona B7 -Completamento Residenziale” con specifici indici edificatori. La CTR ha giudicato contraddittorio il ragionamento dei giudici di primo grado, che avevano ignorato tale certificato e ha ritenuto che le accuse della ricorrente circa la falsità del certificato del 2012 non avessero trovato riscontro negli atti.
La contribuente ha quindi proposto ricorso per cassazione, affidato a n. 2 motivi (di cui il secondo variamente articolato), cui ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Successivamente parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare va rigettata la eccezione di inammissibilità prospettata dal controricorrente, in quanto del tutto generica.
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 art. 142 lettera a) in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
La CTR avrebbe basato la sua decisione trascurando la normativa sul vincolo paesaggistico. Entrambi i certificati del Comune di Ardea (2012 e 2016) indicavano chiaramente che il terreno era soggetto a vincolo ai sensi del D.Lgs. 42/2004, che richiede un’au torizzazione preventiva per qualsiasi intervento. Tuttavia, la CTR ha ritenuto il terreno edificabile senza accertare se tale autorizzazione fosse stata effettivamente rilasciata, ignorando così la normativa paesaggistica e la sua prevalenza sulle destinazioni urbanistiche.
2.1. La censura, nei termini in cui è stata proposta, è inammissibile perché non si può formulare una censura di violazione di legge sulla base di accertamenti in fatto (in tesi) erronei, nel caso di specie – nella prospettazione offerta dal ricorrente – inerenti l’avvenuto rilascio, o meno, di una autorizzazione amministrativa.
Come ripetutamente rimarcato da questa Corte, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione,
da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo RAGIONE_SOCIALE risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità
Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze di causa (Cass., 27 luglio 2023, n. 22938; Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., 11 gennaio 2016, n. 195; Cass., 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. Sez. U., 5 maggio 2006, n. 10313; Cass., 11 agosto 2004, n. 15499).
2.2. Ne consegue la inammissibilità del primo motivo.
Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente contesta l’o messo esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., nonché la violazione e falsa applicazione della legge 1150/1942 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
3.1. La Commissione Tributaria Regionale ha commesso, secondo la ricorrente, un errore nel ritenere valido il certificato urbanistico del 2012, trascurando quello del 2005 che già indicava la destinazione del terreno come verde pubblico, come riportato anche nel certificato del 2016. Tutti e tre i certificati facevano riferimento allo stesso Piano Regolatore Generale approvato nel 1984, ma solo quello del 2012 riportava una destinazione edificabile, senza che vi fosse traccia di alcuna variante formale al PRG. Per questo motivo, la ricorrente ha sostenuto che tale certificazione fosse errata o addirittura falsa.
La CTR, invece, ignorando le norme che rendono il PRG immodificabile salvo specifiche varianti, ha ritenuto il terreno edificabile solo perché vi era stata una costruzione, senza considerare che ciò non è sufficiente per attribuire valore legale alla destinazione urbanistica. Ha inoltre dato rilievo alla classificazione catastale contenuta nel certificato del 2016, nonostante la giurisprudenza stabilisca che il catasto non ha valore probatorio sulla destinazione d’uso. Infine, ha liquidato come infondate le osservazioni della contribuente sulla falsità del certificato del 2012, nonostante fosse già pendente un procedimento penale con rinvio a giudizio per falso in atto pubblico nei confronti del funzionario comunale che firmò quel certificato e del rappresentante della società acquirente.
3.2. Sotto altro profilo presumibilmente in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. – parte ricorrente contesta la decisione gravata per aver ignorato o mal interpretato la normativa sull’approvazione e modifica del Piano Regolatore Generale (PRG). Secondo la legge, ogni variante al PRG deve seguire un iter formale e pubblicato, ma nei certificati del 2005, 2012 e 2016 non risulta alcuna modifica al PRG del 1984, mentre la CTR avrebbe invece ritenuto il terreno edificabile solo perché vi era stata una costruzione, facendo riferimento al certificato del 2016, basandosi su un cambio catastale privo di valore probatorio secondo la giurisprudenza. Inoltre, la CTR avrebbe ignorato le contestazioni della contribuente sulla falsità del certificato del 2012, nonostante fosse in corso un’indagine penale, poi sfociata in una richiesta di rinvio a giudizio per falso in atto pubblico.
3.3. Trattasi a ben vedere di due diversi motivi, ancorché rubricati unitamente, rispetto ai quali non è chiaro nemmeno distinguere quale censura si riferisca all’uno o all’altro vizio tipico.
3.4. La censura, nella parte relativa – per quanto è dato comprendere all’omesso esame di un fatto decisivo, è palesemente inammissibile.
Sul punto questa Corte ha già chiarito che ‹‹L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, prevede l'”omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità RAGIONE_SOCIALE censure irritualmente formulate›› (Cass. 26/01/2022, n. 2268; Cass. 08/10/2014, 22152).
Il motivo è dunque inammissibile perché non riguarda un fatto naturalistico decisivo, cioè un evento concreto, storico e obiettivamente accertabile, ma piuttosto si incentra su valutazioni giuridiche e interpretazioni normative operate dal giudice del gravame, nonché sulla prevalenza data ad altri elementi probatori in atti.
In particolare, sostenere che la CTR abbia erroneamente attribuito valore edificatorio alla costruzione effettivamente avvenuta, oppure alla classificazione catastale, non impinge ad un fatto storico in senso stretto, ma all’erronea applicazione della legg e o una valutazione giuridica compiuta dal giudice di merito.
Non può quindi ritenersi introducibile, la censura in analisi, in base a censura basata sul vizio tipico di cui all’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c.
3.5. Quanto al (diverso) profilo di violazione di legge, invece, la parte ricorrente contesta la sentenza impugnata per aver ignorato o mal interpretato la normativa sulle modifiche al P.R.G., sostenendo che non vi sia stata alcuna variante formale al piano del 1984 nei certificati del 2005, 2012 e 2016 e che, nonostante ciò, la CTR ha ritenuto il terreno edificabile solo in base alla presenza di una costruzione e a un cambio catastale riportato nel certificato del 2016, che sarebbe privo però di valore probatorio secondo la giurisprudenza.
Inoltre, la CTR avrebbe trascurato le contestazioni della contribuente circa la falsità del certificato del 2012, nonostante fosse già in corso un procedimento penale culminato in una richiesta di rinvio a giudizio per falso in atto pubblico.
3.6. Anche questa censura si palesa come inammissibile, in quanto attinente alla valutazione del fatto, di cui si chiede alla Corte di legittimità di operare una nuova valutazione: il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e RAGIONE_SOCIALE prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (tra varie, v. Cass. n. 32505/23 e, di recente, Cass. 13/02/2025, n. 3730).
3.7. Va rammentato anche che, nella motivazione della propria decisione, il giudice è libero di attingere il proprio convincimento utilizzando i dati probatori che ritiene rilevanti e (così) concludenti ai fini della definizione della lite contestata, né è tenuto ad analiticamente disattendere tutte le risultanze processuali prospettate dalle parti, essendo sufficiente che egli abbia indicato gli elementi posti a fondamento del decisum dai quali possano desumersi come confutati per implicito quelli non accolti (Cass. 02/06/2025, n. 14812, che cita anche Cass., 5 febbraio 2024, n. 3232; Cass., 4 luglio 2017, n. 16467; Cass., 18 ottobre 2001, n. 12751; Cass., 24 maggio 1999, n. 5045).
3.8. Ne consegue che il secondo motivo, nelle sue due distinte declinazioni, è anch’esso infondato e, come tale, va rigettato.
Alla luce RAGIONE_SOCIALE argomentazioni che precedono, deve ritenersi che il ricorso sia integralmente da rigettare.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
In conseguenza dell’esito del giudizio ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la sussistenza dei presupposti per il pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, com ma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.305,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dov uto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 30/10/2025.
Il Presidente NOME COGNOME