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Cash pooling: quando è un finanziamento mascherato?

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso in cui un contratto di cash pooling tra una società italiana e la sua controllante irlandese è stato riqualificato dall’Agenzia delle Entrate come finanziamento mascherato. La Corte ha rigettato il ricorso dell’Agenzia, stabilendo che l’Amministrazione finanziaria non aveva fornito prove sufficienti per dimostrare che il tasso di interesse applicato non fosse in linea con il principio di libera concorrenza. In particolare, è stato ritenuto errato l’uso dell’indice Rendistato come parametro di riferimento, gravando sul Fisco l’onere di provare la non congruità del tasso pattuito.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Cash Pooling o Finanziamento Infragruppo? La Cassazione Stabilisce i Confini

Il cash pooling è uno strumento fondamentale per la gestione della tesoreria nei gruppi societari multinazionali, ma nasconde insidie fiscali significative. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 996/2024) ha fatto luce sulla sottile linea che separa un legittimo contratto di tesoreria accentrata da un finanziamento infragruppo mascherato, ponendo l’accento sull’onere della prova a carico dell’Amministrazione Finanziaria.

I Fatti: Un Contratto di Tesoreria Sotto la Lente del Fisco

Una società italiana, parte di un gruppo internazionale, aveva stipulato un contratto di cash pooling secondo la formula “zero balance system” con la propria controllante irlandese. Lo scopo dichiarato era ottimizzare i flussi finanziari, utilizzando le eccedenze di liquidità di una società per coprire le necessità delle altre.

Tuttavia, a seguito di una verifica fiscale, l’Agenzia delle Entrate ha contestato la natura del contratto, evidenziando diverse anomalie:

* La società italiana aveva sempre e solo trasferito saldi attivi alla controllante, senza mai attingere al fondo comune.
* I trasferimenti non avevano una cadenza giornaliera, come tipico dello “zero balance system”, ma avvenivano su periodi più lunghi.
* La società italiana manteneva sempre una propria liquidità per operare in autonomia, suggerendo che i trasferimenti non fossero legati a una reale gestione centralizzata del fabbisogno.

Sulla base di questi elementi, il Fisco ha riqualificato l’operazione come un vero e proprio finanziamento concesso dalla controllata italiana alla controllante irlandese. Di conseguenza, ha accertato un maggior reddito imponibile, calcolando gli interessi attivi che la società avrebbe dovuto percepire utilizzando come parametro il Rendistato, ovvero il rendimento medio dei titoli di Stato.

La Difesa della Società e le Decisioni dei Giudici di Merito

La società contribuente ha impugnato l’atto impositivo, ottenendo ragione sia in primo che in secondo grado. I giudici di merito hanno ritenuto infondate le pretese dell’Amministrazione Finanziaria, portando quest’ultima a ricorrere per Cassazione.

L’Analisi della Corte di Cassazione sul cash pooling

La Corte Suprema, pur riconoscendo che gli elementi raccolti dal Fisco potevano far propendere per una qualificazione dell’operazione come finanziamento infragruppo, ha rigettato il ricorso dell’Agenzia. La decisione si fonda su un principio cardine del diritto tributario in materia di transfer pricing: l’onere della prova.

Il Principio dell’Onere della Prova nel Transfer Pricing Finanziario

I giudici hanno chiarito che, in caso di finanziamento infragruppo, spetta al Fisco nazionale dimostrare che la transazione sia avvenuta a un tasso di interesse anomalo, ovvero inferiore a quello che sarebbe stato pattuito tra soggetti indipendenti in condizioni di libera concorrenza (il cosiddetto “arm’s length principle”).

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione centrale della sentenza risiede nell’inadeguatezza della prova fornita dall’Agenzia delle Entrate. La Corte ha stabilito che l’Amministrazione finanziaria non può limitarsi a riqualificare il contratto, ma deve fornire “indizi gravi, precisi e concordanti” per dimostrare che il tasso di interesse pattuito non è congruo. L’utilizzo dell’indice Rendistato come parametro di riferimento è stato giudicato inappropriato e non comparabile con le condizioni di un finanziamento tra imprese. Il contratto originale, invece, prevedeva un tasso basato sull’Euribor con uno spread (aggio) di +/- 0,50%, un parametro ritenuto dalla Corte “tutt’altro che inconsueto” per operazioni finanziarie di questo tipo. Poiché il Fisco non ha offerto elementi sufficienti per dimostrare la non conformità del tasso applicato al valore di mercato, non si è verificata l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente. Di conseguenza, la pretesa fiscale è stata respinta.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa sentenza offre importanti indicazioni per le aziende che utilizzano contratti di cash pooling. La sostanza economica dell’operazione prevale sempre sulla forma giuridica. Se un accordo di tesoreria, nei fatti, funziona come un finanziamento unilaterale da una società all’altra, il rischio di riqualificazione fiscale è concreto. Tuttavia, la decisione rafforza anche la posizione del contribuente, chiarendo che l’onere di dimostrare la non congruità delle condizioni pattuite spetta all’Amministrazione Finanziaria, la quale deve utilizzare parametri di mercato pertinenti e comparabili, non indici generici come il Rendistato.

Quando un contratto di cash pooling può essere riqualificato come finanziamento infragruppo?
Un contratto di cash pooling può essere riqualificato quando la sua esecuzione concreta si discosta dallo schema tipico della tesoreria accentrata. Indizi rilevanti sono i flussi finanziari unilaterali e continuativi da una società all’altra, la mancata cadenza giornaliera dei trasferimenti e il mantenimento di un’autonoma liquidità da parte della società che effettua i versamenti, elementi che suggeriscono una messa a disposizione di capitale piuttosto che una gestione condivisa della liquidità.

In caso di contestazione su un finanziamento infragruppo, a chi spetta l’onere della prova?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere della prova spetta all’Amministrazione Finanziaria. È il Fisco a dover dimostrare, con indizi gravi, precisi e concordanti, che il tasso d’interesse applicato alla transazione è inferiore a quello che sarebbe stato pattuito tra imprese indipendenti in condizioni di mercato (principio di libera concorrenza o ‘arm’s length’).

È legittimo per l’Agenzia delle Entrate usare l’indice Rendistato per calcolare gli interessi in un finanziamento infragruppo?
No, la sentenza ha stabilito che l’indice Rendistato (rendimento dei titoli di Stato) non è un parametro pertinente per valutare la congruità del tasso di interesse di un finanziamento tra imprese. Il Fisco deve utilizzare benchmark comparabili, che riflettano le condizioni di mercato per finanziamenti con caratteristiche simili, tenendo conto anche del ‘credit rating’ dell’impresa debitrice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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