LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Cash pooling: quando è un finanziamento mascherato?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 998/2024, ha esaminato un caso di riqualificazione di un contratto di cash pooling in finanziamento infragruppo. L’Amministrazione Finanziaria contestava a una società italiana di aver mascherato un prestito alla sua controllante irlandese. La Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che spetta all’Amministrazione Finanziaria l’onere di provare che la transazione non è avvenuta a condizioni di mercato, e ha ritenuto l’indice Rendistato un parametro inadeguato a tal fine, confermando la decisione dei giudici di merito favorevole al contribuente.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Cash Pooling: Quando un Servizio di Tesoreria Nasconde un Finanziamento?

La gestione della liquidità nei gruppi societari internazionali è spesso ottimizzata tramite contratti di cash pooling. Tuttavia, quando l’applicazione pratica di tali accordi si discosta dalla teoria, l’Amministrazione Finanziaria può sospettare la presenza di un finanziamento mascherato. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 998 del 10 gennaio 2024, ha fornito importanti chiarimenti su come distinguere le due fattispecie e, soprattutto, su chi grava l’onere della prova.

I fatti: la verifica fiscale e la contestazione

Il caso trae origine da una verifica fiscale nei confronti di una società italiana, parte di un gruppo multinazionale con controllante irlandese. La società aveva stipulato un contratto di cash pooling del tipo “zero balance system” con la capogruppo. In teoria, questo schema prevede che a fine giornata i saldi attivi e passivi delle società aderenti vengano accentrati in un unico conto, azzerando quelli periferici.

Dall’analisi della documentazione, l’Amministrazione Finanziaria ha però rilevato diverse anomalie:
1. I trasferimenti di liquidità non avvenivano con cadenza giornaliera, ma su periodi più lunghi.
2. La società italiana trasferiva sistematicamente i propri saldi attivi alla controllante, senza mai attingere al fondo comune per le proprie necessità.
3. La società italiana manteneva comunque sul proprio conto una liquidità sufficiente per operare in autonomia.

Sulla base di questi elementi, l’Ufficio ha ritenuto che il contratto non fosse un genuino servizio di tesoreria centralizzata, ma un vero e proprio finanziamento, di fatto erogato dalla controllata italiana alla controllante irlandese. Di conseguenza, ha ripreso a tassazione gli interessi attivi che la società italiana avrebbe dovuto percepire su tale finanziamento, calcolandoli in via induttiva sulla base dell’indice Rendistato.

Il percorso giudiziario e le censure dell’Amministrazione

La società contribuente ha impugnato l’atto impositivo, ottenendo ragione sia in primo che in secondo grado. I giudici di merito hanno ritenuto infondata la ricostruzione dell’Amministrazione Finanziaria. Quest’ultima ha quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, la violazione delle norme sull’onere della prova (art. 2697 c.c.). Secondo il Fisco, gli elementi raccolti erano sufficienti a dimostrare l’esistenza di un contratto dissimulato di finanziamento, e spettava quindi alla società provare il contrario.

La decisione della Cassazione sul cash pooling e l’onere della prova

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, fornendo un’analisi approfondita della questione. Pur riconoscendo che la fattispecie concreta presentava tratti anomali rispetto a un tipico contratto di cash pooling, i giudici hanno spostato il focus della questione sul piano probatorio e sulla corretta applicazione dei principi del transfer pricing.

La riqualificazione del contratto e il principio del transfer pricing

La Corte ha inquadrato la controversia nell’ambito del “transfer pricing” finanziario internazionale. In questi casi, non è sufficiente per l’Amministrazione Finanziaria riqualificare un contratto. È necessario anche dimostrare che la transazione (in questo caso, il presunto finanziamento) sia avvenuta a condizioni diverse da quelle di mercato, ovvero a un tasso di interesse inferiore a quello “normale” o “di libera concorrenza” (arm’s length principle). L’onere di fornire questa prova ricade interamente sul Fisco.

L’inadeguatezza del “Rendistato” come parametro

Il punto cruciale della decisione riguarda la metodologia usata dall’Ufficio per quantificare gli interessi. La Cassazione ha stabilito che l’indice Rendistato, basato sul rendimento dei titoli di Stato, non è un parametro pertinente per determinare il tasso di interesse di mercato di un finanziamento intersocietario. La comparabilità, infatti, deve essere valutata in relazione a finanziamenti con caratteristiche simili, erogati a soggetti con un analogo profilo di rischio creditizio (“credit rating”). Il contratto originario, peraltro, prevedeva una remunerazione basata sul tasso EURIBOR con uno spread, un parametro considerato dalla Corte “tutt’altro che inconsueto” per operazioni finanziarie di questo tipo.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sul principio fondamentale del riparto dell’onere della prova. Gli indizi presentati dall’Amministrazione Finanziaria, sebbene potessero sollevare dubbi sulla genuinità del cash pooling, non erano stati ritenuti “gravi, precisi e concordanti” al punto da invertire l’onere probatorio. Il Fisco non è riuscito a dimostrare in modo convincente che la transazione fosse antieconomica o avvenuta a un tasso non conforme al principio di libera concorrenza. La scelta di un parametro palesemente non comparabile come il Rendistato ha indebolito ulteriormente la posizione dell’accusa, portando la Corte a concludere che l’art. 2697 del codice civile non fosse stato violato, in quanto il Fisco non aveva assolto al proprio onere probatorio.

Le conclusioni

La sentenza stabilisce un principio di diritto fondamentale per le controversie in materia di cash pooling e finanziamenti infragruppo. Quando l’Amministrazione Finanziaria intende riqualificare un contratto di tesoreria in un finanziamento, deve sostenere un duplice onere probatorio: primo, dimostrare la simulazione del contratto; secondo, e più importante, provare con dati di mercato comparabili che la remunerazione pattuita (o la sua assenza) non rispetta il principio di libera concorrenza. L’utilizzo di indici generici e non pertinenti, come il Rendistato, non è sufficiente a fondare una pretesa impositiva.

Un contratto di cash pooling può essere riqualificato come finanziamento infragruppo?
Sì, può essere riqualificato se le modalità concrete di esecuzione si discostano dalla sua funzione tipica di gestione centralizzata della tesoreria e assumono le caratteristiche di un prestito, come un flusso di fondi prevalentemente unilaterale da una società all’altra.

In caso di riqualificazione, a chi spetta l’onere di provare la non conformità al valore di mercato?
L’onere della prova spetta interamente all’Amministrazione Finanziaria. Deve dimostrare che la transazione finanziaria è avvenuta a condizioni (ad esempio, un tasso di interesse) diverse da quelle che sarebbero state pattuite tra imprese indipendenti in circostanze comparabili (principio di libera concorrenza).

L’indice Rendistato è un parametro valido per calcolare gli interessi su un presunto finanziamento infragruppo?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che il Rendistato non è un parametro idoneo in quanto non ha attinenza con finanziamenti societari. Per determinare il tasso di interesse di mercato è necessario fare riferimento a transazioni comparabili, considerando fattori come il rischio di credito del debitore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati