Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13897 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13897 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14129/2019 R.G. proposto da:
FALLIMENTO 906/2004 RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME NOME
-ricorrente-
contro RAGIONE_SOCIALERISCOSSIONE rappresentate e difese dall’avvocato AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO
-controricorrenti- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 957/2019 depositata il 22/02/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.In data 28 giugno 2016, l’Agente della RAGIONE_SOCIALE notificava, a mezzo p.e.c. (posta elettronica certificata) alla Società contribuente RAGIONE_SOCIALEdichiarata fallita con procedura registrata al n. 906/2004 -la cartella di pagamento contrassegnata dal n. 097/2015/0214658032/001, relativa ad imposta di registro, con correlate sanzioni ed interessi, già oggetto di un prodromico avviso di liquidazione precedentemente notificato e non opposto.
La curatela del fallimento dell’ente impugnava la cartella esattoriale dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, chiedendo l’annullamento della predetta, in ragione della illegittimità della stessa e del ruolo notificati a mezzo p.e.c., siccome mere copie informatiche non conformi; della e inesistenza della notifica per omessa compilazione della relazione di notificazione; della illegittimità della cartella e del ruolo per omessa indicazione dei criteri di calcolo degli interessi; deduceva altresì l’illegittima applicazione dell’imposta di registro su un atto che non rifletteva alcun indice di capacità contributiva e l’illegittima irrogazione delle sanzioni, per assenza del requisito della colpevolezza di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 472/1997 e configurabilità dell’esimente di cui all’art. 6 del medesimo decreto delegato.
Con sentenza n. 25369/2017, i giudici di prossimità hanno dichiarato il ricorso inammissibile, per non avere la Società contribuente impugnato l’avviso di liquidazione dell’imposta ed irrogazione delle sanzioni, sotteso alla cartella di pagamento.
Avverso la pronuncia della Commissione Tributaria proponeva appello la curatela del fallimento della società RAGIONE_SOCIALE chiedendone la riforma.
Con la sentenza n. 957/2019, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio respingeva il gravame, rilevando che la Riscossione aveva prodotto in giudizio la documentazione che legittimava il
ricorso ad avvocati del libero foro, l’inammissibilità delle doglianze concernenti la pretesa impositiva cristallizzata nell’avviso di liquidazione divenuto definitivo, la non necessità della integrazione del contraddittorio nei confronti dell’amministrazione finanziaria, la regolarità della notificazione a mezzo p.e.c., non essendo necessaria la relata di notificazione ex art. 26, comma 2, d.P.R. n. 602/1973 con le modalità di cui al decreto n. 68/2005. Affermava altresì la correttezza della cartella esattoriale comprensiva del calcolo degli interessi iscritti a ruolo dall’Agenzia delle entrate per omesso versamento dell’imposta di registro liquidata.
La curatela del fallimento ricorre sulla base di sei motivi avverso detta sentenza.
Replica con controricorso l’Agenzia delle Entrate Riscossione. La Curatela ha depositato memoria per comunicare la chiusura del fallimento, chiedendo di tenerne conto ex art. 120 legge fall.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. In via preliminare, giova osservare che la sopravvenuta chiusura del fallimento non determina l’improseguibilità delle azioni esercitate dal curatore che, come quelle di responsabilità spettanti alla società ed ai creditori sociali, sussistono anche al di fuori della procedura e non la presuppongono ( Cassazione n.21729/2013; Cass. n. 6029/2014; Cass. n. 21742/2016). Trattandosi di procedimento dominato dall’impulso d’ufficio, non vi è un onere di riassunzione del giudizio del soggetto eventualmente tornato in bonis (Cass. n. 6642/2024; Cass., n. 3630/21; n. 7477/17). Ne consegue che, una volta instauratosi il giudizio di Cassazione con la notifica ed il deposito del ricorso, il curatore fallimentare è legittimato a stare in giudizio in luogo del fallito, essendo irrilevanti i mutamenti della capacità di stare in giudizio di una delle parti e non essendo ipotizzabili, nel giudizio di cassazione, gli adempimenti
di cui all’art. 302 c.p.c., il quale prevede la costituzione in giudizio di coloro ai quali spetta di proseguirlo.
2.Il primo ed il secondo motivo di ricorso, introdotti ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., denunciano la violazione dell’art. 11, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, nonché dell’art. 1, comma 8, d.l. n. 193/2016, come convertito dalla legge n. 225/2016; per avere il decidente ritenuto la legittimità della costituzione in giudizio della riscossione tramite avvocati del libero foro, ancorché alla procura conferita al legale non fosse stata allegata l’atto organizzativo generale del nuovo ente contenente gli specifici criteri legittimanti il ricorso ad avvocati del libero foro né le specifiche ragioni che giustificassero tale ricorso in alternativa alla regola generale dell’assistenza da parte dell’avvocatura generale dello Stato.
Si assume, di poi, che la sentenza impugnata non ha rilevato l’illegittimità della prima pronuncia incorsa nel medesimo error in procedendo derivante dalla omessa rilevazione del difetto di legittimatio ad processum dell’Agenzia delle Entrate riscossione, reiterando le doglianze di cui alla prima censura.
3.I primi due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente in quanto involgono le medesime questioni di diritto, non hanno pregio.
3.1. Nel dedurre, implicitamente, che la CTR ha del tutto pretermesso i documenti pur ritualmente versati in atti, non fa valere alcuna violazione di legge, ma, in realtà, introduce un vizio propriamente revocatorio. Né esso rappresenta una forma di ‘travisamento del contenuto oggettivo della prova’ suscettibile di essere denunciato come violazione di legge sotto i paradigmi dell’art. 360, primo comma, nn. 4 o 5, cod. proc. civ., perché, alla luce di Sez. U, n. 5792 del 05/03/2024, Rv. 670391-01, non allega -e comunque è da escludersi -che ‘il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a
pronunciare’, nel senso che ‘il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti’. Come detto, il rimprovero mosso alla CTR consiste nel non essersi proprio avveduta delle produzioni documentali, con conseguente configurabilità, in definitiva, di una ‘svista’ percettiva, prima ancora che valutativa, che, proprio come insegnano le Sezioni unite, ‘trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c.’.
3.2. Le censure, in ogni caso, si pongono in netta contrapposizione con quanto statuito dalla Corte territoriale che ha individuato nella documentazione allegata la legittimazione al ricorso ad avvocato del libero foro. Esse celano in realtà la confutazione della valutazione che il giudice del merito ha svolto delle risultanze istruttorie, sulla base di un giudizio che in quanto tale non è sindacabile in sede di legittimità; e ciò sia perché la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., sia perché con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, contrapponendovi la propria, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità (Cass., sez. 6-5, 15/05/2018, n. 11863; Cass., sez. 6-5, 17/12/2017, n. 29404; Cass., sez. 1, 02/08/2016). I mezzi in rassegna spingono la Corte verso un’inammissibile rivalutazione delle questioni di merito oggetto di controversia, in particolare verso ad una rivisitazione dell’accertamento di fatto operato dai giudici distrettuali secondo cui dalla documentazione prodotta risultava la legittimazione al ricorso ad avvocati del libero foro. E’ con tale giudizio che si scontra la valutazione di segno diverso
contenuta nei motivi di censura, i quali restano pertanto sul piano dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie, involgendo una valutazione di fatto che può essere censurata soltanto se basata su erronei principi giuridici, ovvero su vizio motivazionale (Cass. n. 34189 del 2022).
3.3. In realtà non può dubitarsi che nella fattispecie in esame la CTR abbia inteso comunque affermare che l’ente abbia dato prova, attraverso la richiamata documentazione, della legittimazione a ricorrere ad avvocato del libero foro.
3.4. Sotto altro profilo, si osserva che le Sezioni unite di questa Corte hanno statuito che:
(a) impregiudicata la generale facoltà di avvalersi di propri dipendenti delegati davanti al Tribunale e al giudice di pace, per la rappresentanza e la difesa in giudizio, l’Agenzia delle Entrate Riscossione si avvale:
dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti come ad essa riservati dalla Convenzione con questa intervenuta (fatte salve le ipotesi di conflitto e, ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1933, art. 43, comma 4, di apposita motivata delibera da adottare in casi speciali e da sottoporre all’organo di vigilanza), oppure ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici;
ovvero, in alternativa e senza bisogno di formalità, né della delibera. prevista dal richiamato art. 43, comma 4, R.D. cit., di avvocati del libero foro – nel rispetto del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, artt. 4 e 17 e dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi del medesimo d.l. n. 193 del 2016, art. 1, comma 5 -in tutti gli altri casi ed in quelli in cui, pure riservati convenzionalmente all’Avvocatura erariale, questa non sia disponibile ad assumere il patrocinio;
(b) quando la scelta tra il patrocinio dell’Avvocatura erariale e quello di un avvocato del libero foro discende dalla riconduzione
della fattispecie alle ipotesi previste dalla Convenzione tra l’Agenzia e l’Avvocatura o di indisponibilità di questa di assumere il patrocinio, la costituzione dell’Agenzia a mezzo dell’una o dell’altro postula necessariamente e implicitamente la sussistenza del relativo presupposto di legge, senza bisogno di allegazione e di prova al riguardo, nemmeno nel giudizio di legittimità” (Cass. Sez. U., 19 novembre 2019, n. 30008 cui adde Cass., 19 luglio 2023, n. 21370; Cass., 28 febbraio 2023, n. 6058; Cass. n.28199/2023; Cass. n. 6931/2023; Cass. n.28199/2024). Come rimarcato da questa Corte con riferimento al mandato difensivo rilasciato per giudizi introdotti davanti alle Commissioni tributarie (ora Corti di giustizia), la base convenzionale cui allude la stessa disposizione di interpretazione autentica (d.l. 30 aprile 2019, n. 34, art. 4-novies, conv. in legge 28 giugno 2019, n. 58) espressamente esclude, in detti casi, il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato (v. Cass., 19 luglio 2023, n. 21370, cit.; Cass., 28 febbraio 2023, n. 6058; Cass., 19 novembre 2024, n. 29779), così che il ricorso alla difesa prestata da avvocato del libero foro nemmeno necessita di apposita delibera dell’Ente (r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 43, comma 4).
4.Il terzo strumento di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., per violazione dell’art. 112 c.p.c. nonché dell’art. 1 d.lgs. n. 546/1992, deduce che con il primo motivo del ricorso in primo grado, riproposto con il terzo e quinto mezzo d’appello, la curatela aveva eccepito sia l’inesistenza della procedura di notifica a mezzo p.e.c. della cartella esattoriale impugnata sia la nullità della cartella medesima in quanto consistente in mera copia informatica priva di qualsiasi valore giuridico, in quanto mancanti della firma digitale e dell’attestazione di conformità rispetto all’originale( all. 22, pagg. 26 e 34).
Si soggiunge che sia in primo grado che in sede di gravame, si era obiettato che il documento informatico era privo di estensione
p.t.m. e di qualsiasi altra firma digitale (Cades o Pades), come confermato dalla perizia digitale da cui risultava l’assenza di firma digitale o informatica del file p.d.f.
Tuttavia, la Commissione d’appello, pur avendo rilevato la carente esposizione dei motivi di rigetto del ricorso proposto dalla società, trascurava di esaminare il motivo d’appello relativo alla carenza della firma digitale, denunciando l’omessa pronuncia violando il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui alla norma rubricata.
4.1. La censura non ha pregio. Il Collegio d’appello non ha motivato sul motivo proposto sin dal primo grado, relativo alla carenza di firma digitale.
4.2. Il ricorrente correttamente ha inquadrato la propria seconda censura in chiave (anche) di omessa pronuncia, agevolmente riconducibile alla violazione dell’art. 112 c.p.c. e deducibile in questa sede ex art. 360, comma primo, n. 4), c.p.c. Va qui richiamato l’insegnamento di questa Corte secondo cui, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (cfr. Cass. nn. 16171/2017, 2313/2010).
4.3.La questione posta con il motivo in rassegna va quindi esaminata per verificare se possa essere decisa in astratto,
prescindendo da riscontri fattuali, in quanto ove la risposta alla questione, posta nei motivi non esaminati dal Giudice d’appello, sia negativa, si potrebbe pervenire senz’altro alla definizione del giudizio in sede di legittimità, mentre la risposta positiva dovrebbe invece portare alla cassazione con rinvio, affinché il Giudice di merito verifichi in primo luogo la sussistenza o meno delle indicazioni necessarie a pena di nullità(Cass. n. 10773/2024).
4.4. Nella specie, la questione va risolta alla luce dei principi di seguito esposti.
4.5.In materia di processo civile telematico, le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di affermare che, ‘a norma dell’art. 12 del decreto dirigenziale del 16 aprile 2014, di cui all’art. 34 del d.m. n. 44 del 2011 , in conformità agli standard previsti dal Regolamento UE n. 910 del 2014 ed alla relativa decisione di esecuzione n. 1506 del 2015, le firme digitali di tipo “CAdES” e di tipo “PAdES” sono entrambe ammesse e equivalenti, sia pure con le differenti estensioni “.p7m” e “.pdf”. Tale principio di equivalenza si applica anche alla validità ed efficacia della firma per autentica della procura speciale richiesta per il giudizio in cassazione, ai sensi degli artt. 83, comma 3, c.p.c., 18, comma 5, del d.m. n. 44 del 2011 e 19 bis, commi 2 e 4, del citato decreto dirigenziale’ (Sez. U, n. 10266 del 27/04/2018). Il principio di equivalenza dei due formati “.p7m” e “.pdf”, che costituisce la ‘ratio’ ispiratrice dell’insegnamento che ne occupa, è stato esplicitato da una pronuncia immediatamente successiva, secondo, ‘in tema di processo telematico, in conformità alle disposizioni tecniche previste dal Regolamento UE n. 910 del 2014 ed alla relativa decisione di esecuzione n. 1506 del 2015, le firme digitali di tipo ‘CAdES’ e di tipo ‘PAdES’ sono entrambe ammesse ed equivalenti, sia pure con le differenti estensioni ‘.p7m’ e ‘.pdf’, posto che il certificato di firma, inserito nella busta crittografica, è presente in entrambi gli standards, parimenti abilitati. Ne consegue la piena
validità ed efficacia del ricorso (o controricorso) per cassazione munito di procura alle liti controfirmata dal difensore con firma digitale in formato ‘PAdES” (Sez. 3, n. 30927 del 29/11/2018, Rv. 65153601). L’equivalenza dei due formati “.p7m” e “.pdf”, affermata, sotto il profilo della firma digitale, per gli atti del processo civile telematico, non può non valere ‘a fortiori’ per gli atti notificati telematicamente dall’Amministrazione, con particolare riguardo alle cartelle di pagamento, rispetto alle quali, oltretutto, il requisito della sottoscrizione non è neppure richiesto, men che meno ‘ad substantiam’: invero, come ritenuto da consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, ‘l’omessa sottoscrizione della cartella esattoriale da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, sia nel caso in cui la stessa sia redatta e notificata su supporto cartaceo, sia quando il documento, originariamente analogico, sia stato poi trasmesso in forma digitale, sia ove sia stata redatta fin dall’origine e notificata in forma digitale, poiché la sua esistenza non dipende dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, ma dalla inequivocabile riferibilità all’organo amministrativo titolare del potere di emettere l’atto, tanto più che, a norma dell’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo l’apposito modello approvato con d.m., che non prevede la sottoscrizione dell’agente, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice’ (Sez. 5, n. 19327 del 15/07/2024; n. 30992/2024). Talché, in definitiva, a venire in linea di conto è la mera riferibilità della cartella al soggetto emittente, di per sé assicurata, salvo specifiche contestazioni (nella specie non rappresentate), dall’adozione del sistema di posta elettronica certificata (PEC). Più particolarmente, ‘in tema di notificazione a mezzo PEC, la copia su supporto informatico della cartella di pagamento, in origine
cartacea, non deve necessariamente essere sottoscritta con firma digitale, in assenza di prescrizioni normative di segno diverso’ (Sez. 5, n. 35541 del 19/12/2023; Sez. 5, n. 30948 del 27/11/2019), considerato che ‘l’art. 12 del d.P.R. n. 602 del 1973 non prevede alcuna sanzione per l’ipotesi Data pubblicazione 03/12/2024 della omessa sottoscrizione , sicché non può che operare la presunzione generale di riferibilità dell’atto amministrativo all’organo da cui promana, con onere della prova contraria a carico del contribuente, che non può limitarsi ad una generica contestazione dell’esistenza del potere o della provenienza dell’atto, ma deve allegare elementi specifici e concreti a sostegno delle sue deduzioni’ (Sez. 5, n. 27561 del 30/10/2018, Rv. 651066-03).
4.6. Può, pertanto, concludersi nel senso che è valida la notifica della cartella di pagamento, priva di sottoscrizione, notificata a mezzo di PEC in formato ‘.pdf’, senza necessità che sia adottato il formato ‘.p7m’, atteso che il protocollo di trasmissione mediante PEC è di per sé idoneo ad assicurare la riferibilità della cartella all’organo da cui promana, salve specifiche e concrete contestazioni che è onere del ricevente eventualmente allegare in contrario.
5. Con il quarto mezzo di ricorso, prospettato attraverso il canone censorio di cui all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. nonché dell’art. 1 d.lgs. n. 546/1992. Con detto mezzo si afferma di aver dedotto sin dal primo grado la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dell’ente impositore che, tuttavia, era stato chiamato in causa dalla riscossione ed era rimasto contumace; aggiungendo che la sentenza di primo grado non dava atto nell’intestazione e nell’esposizione della chiamata in causa dell’Agenzia e dunque della sua presenza come parte processuale sia pur rimasta intimata.
Si deduce che il Collegio d’appello ha esaminato soltanto il motivo relativo alla mancata integrazione del contraddittorio e non anche
quello relativo alla mancata indicazione della parte processuale nella sentenza di prime cure.
5.1. In disparte la contraddittorietà della complessa censura che era stata sottoposta alla Commissione di secondo grado, là dove, pur dando atto che, in primo grado, l’agenzia era stata ritualmente chiamata in causa e ciò nonostante si chiedeva ai giudici di integrare il contraddittorio nei suoi confronti, se ne rileva tuttavia l’infondatezza, non confrontandosi la doglianza con il decisum della pronuncia d’appello. Ancorché la Corte distrettuale abbia omesso di pronunciare sul punto specifico, ha comunque statuito, a pagina 4 della sentenza, che .
5.2. Invero, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (Cass., Sez. 5^, 30 gennaio 2020, n. 2153; Cass., Sez. 5^, 2 aprile 2020, n. 7662; Cass., Sez. 3^, 29 gennaio 2021, n. 2151; Cass., Sez. Trib., 3 agosto 2023, n. 23672; Cass., Sez. Trib., 13 agosto 2024, n. 22775; Cass., Sez. Trib., 10 marzo 2025, n. 6384). Ed è stato, quindi, ritenuto che non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che
tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto (Cass., Sez. 6^ – 1, 4 giugno 2019, n. 15255). Per cui, la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omissione di pronuncia non è ravvisabile quando una decisione resa in grado di appello, ancorché mancante di un’espressa statuizione su un motivo di impugnazione, sia giustificata da argomentazioni logicamente e giuridicamente incompatibili con detto motivo, sì da comportarne l’implicita reiezione (tra le tante: Cass., Sez. 6^-5, 17 marzo 2022, n. 8710; Cass., Sez. 5^, 24 maggio 2022, nn. 16672 e 16673; Cass., Sez. 5^, 7 giugno 2022, n. 18253; Cass., Sez. 5^, 16 giugno 2022, n. 19502; Cass., Sez. Trib., 29 novembre 2022, n. 35137; Cass., Sez. Trib., 26 giugno 2023, n. 18153; Cass., Sez. Trib., 27 maggio 2024, n. 14811; Cass., Sez. Trib., 10 marzo 2025, n. 6384).
5.3. Nella specie, è indubbio che la sentenza impugnata, pur non essendosi esplicitamente pronunciata sul motivo relativo all’omessa indicazione della parte nella intestazione e nel corpo della sentenza di primo grado ha di fatto adottato una decisione che implicava necessariamente il rigetto di detta doglianza.
5.4. Del resto, vale osservare che l’omessa o inesatta indicazione del nome di una delle parti nell’intestazione della sentenza va considerata un mero errore materiale, emendabile con la procedura di cui agli articoli 287 e 288 cod. proc. civ., quando dal contesto della sentenza risulti con sufficiente chiarezza l’esatta identità di tutte le parti e comporta, viceversa, la nullità della sentenza qualora da essa si deduca che non si è regolarmente costituito il contraddittorio, ai sensi dell’articolo 101 cod. proc. civ., e quando sussiste una situazione di incertezza, non eliminabile a mezzo della lettura dell’intero provvedimento, in ordine ai soggetti cui la decisione si riferisce (Cass. n. 24010/2022; Cass. 18 luglio 2019,
n. 19437; Cass. 25 settembre 2017, n. 22275; Cass. 26 marzo 2010, n. 7343).
5.5. Nel caso in esame, la Commissione di secondo grado ha chiarito, tra l’altro, che non sussisteva una ipotesi di litisconsorzio necessario con l’amministrazione finanziaria, la quale, peraltro, era rimasta contumace nel primo giudizio, con la conseguente irrilevanza della sua omessa individuazione nella intestazione della sentenza.
Il quinto strumento di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, oggetto di discussione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.; per avere i giudici regionali esaminato la censura relativa al calcolo degli interessi con motivazione apodittica ed erronea, in quanto la circostanza che la pretesa erariale era ormai cristallizzata non ostava alla proposizione di censure relative al calcolo degli interessi contenuto nella cartella esattoriale.
La censura non supera il vaglio di ammissibilità.
7.1. Ebbene, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un
“fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. 2017/23940). Pertanto laddove non si contesti la inesistenza del requisito motivazionale del provvedimento giurisdizionale, il vizio di motivazione può essere dedotto soltanto in caso di omesso esame di un “fatto storico” controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia “decisivo” ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali -acquisiti al rilevante probatorio- ritenuti dal Giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; id. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 22/09/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016).
7.2. Costituisce, allora, un “fatto”, agli effetti della citata norma, non una “questione” o un “punto”, ma: i) un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017); il) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storiconaturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass., SU, n. 5745 del 2015); iii) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014); iv) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: i) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass. n. 14802 del
2017; Cass. n. 21152 del 2015); ii) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014); iii) una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (cfr. Cass. n. 21439 del 2015); iv) le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, i quali costituiscono i fatti costitutivi della “domanda” in sede di gravame. 7.3. Nella specie, non ricorrono alcune di dette ipotesi descritte, tanto più che la qualificazione della censura proposta dalla ricorrente non costituisce fatto storico nell’accezione sopra delineata. La norma, difatti, prevede l'”omesso esame di “un fatto controverso e decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate.
8. L’ultimo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1 d.lgs. n. 546/1992; per avere il giudicante omesso di esaminare il settimo motivo d’appello con il quale la curatela assumeva che il mancato pagamento delle somme recate dall’avviso di liquidazione era dipeso da quali l’ordine di distribuzione delle somme ex art. 111 legge fall., la disciplina dei crediti prededucibili ed imprevisti procedimentali ascrivibili agli imponderabili tempi in cui un’azione giudiziaria viene autorizzata dagli organi della procedura; circostanze che escludono la colpa della parte contribuente ed integrano la forza maggiore, in ragione delle quali le sanzioni non potevano trovare applicazione.
8.1. Il Collegio d’appello non ha motivato sul motivo proposto sin dal primo grado, relativo alla contestazione delle sanzioni. Anche in questo caso, possono richiamarsi i principi affermati ai paragrafi 3 e ss., secondo cui, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (cfr. Cass. nn. 16171/2017, 2313/2010)
8.2. Ebbene, la cartella esattoriale, emessa in seguito a un atto impositivo divenuto definitivo per mancata impugnazione, non integra un nuovo e autonomo atto impositivo, con la conseguenza che, in base all’articolo 19, comma 3, del d.lgs n. 546/1992, esso resta sindacabile in giudizio solo per vizi propri e non per questioni attinenti all’atto impositivo da cui è sorto il debito (comprensivo di capitale e sanzioni) ( V. Cass. n. 3005/2020; Cass. n. 5473/2019). 9.Segue il rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la curatela del fallimento alla refusione delle spese sostenute dalla riscossione che liquida in favore delle controricorrenti in euro 10.687,00, oltre spese prenotate a debito.
visto l’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012; – dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della