Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11597 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11597 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/05/2025
Oggetto: IVA -cartella di pagamento -intimazioni di pagamento -vizi propri -conciliazione fuori udienza -principi di diritto
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1052/2023 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata all’indirizzo PecEMAIL
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, in persona del Direttore pro tempore;
-intimata – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 2564/3/2022, depositata il 6 giugno 2022 e non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 14 febbraio 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Il Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 2564/3/2022, depositata il 6 giugno 2022, veniva rigettato l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE ora in liquidazione, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma n.14894/18/2019 la quale aveva rigettato il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente avente ad oggetto la cartella di pagamento con la quale l’agente della riscossione chiedeva alla contribuente il pagamento di somme già oggetto di intimazioni conseguenti alla decadenza dalla rateizzazione del debito concessa in sede di due conciliazioni ‘ fuori udienza ‘ stipulate nel gennaio 2017 ex art.48 d.lgs. n. 546 del 1992 relativamente alle imposte accertate con avvisi di accertamento per le annualità 2010 e 2011.
Il giudice d’appello disattendeva il motivo di gravame di nullità della cartella di pagamento per omessa indicazione dei criteri di calcolo degli interessi, non solo in quanto era stato indicato il titolo della pretesa da cui derivare il calcolo ex lege , ma anche in quanto l’entità degli interessi da corrispondere era già stata indicata alla contribuente in sede di conclusione degli accordi conciliativi. Inoltre, le somme non erano dovute a titolo di IRPEG, avendo la CTP esatta-
mente rilevato che, come chiarito dall’Ufficio nelle proprie controdeduzioni al ricorso introduttivo, il riferimento a tale imposta era solo apparente, atteso che l’utilizzo del codice tributo 9502 derivava unicamente dal fatto che il sistema informatico non prevedeva specificamente un codice tributo per la sanzione unica derivante da un accordo conciliativo. Infine, non poteva essere accolto il gravame neppure relativamente alle addizionali regionali poste indebitamente a carico di una società di capitali, dal momento che sin dal primo grado di giudizio l’Agenzia aveva comunicato di aver emesso al riguardo un provvedimento di sgravio onde rimediare ad un mero errore di natura materiale, altresì provvedendo ad addebitare il medesimo importo a titolo di IRAP.
La contribuente propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, che illustra con memoria ex art.380 bis. 1 cod. proc. civ., cui replica l’Agenzia con controricorso; l’agente della riscossione è rimasto intimato.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., si deduce la nullità della sentenza per violazione del combinato disposto degli artt. 7 e 17 d.lgs. 212/2000, 3 L. 241/90, 2697 cod. civ., 3, 23, 24, 53 e 97 Cost., con riferimento al capo della decisione di appello che ritiene legittimo l’impianto motivazionale della cartella, nella parte in cui intima il pagamento di interessi e accessori. La cartella riporterebbe unicamente la cifra globale degli interessi richiesti e, quindi, non sarebbe possibile comprendere le modalit à seguite nella quantificazione degli interessi applicati all’imposta dovuta, degli interessi di mora e delle somme aggiuntive, per omessa indicazione delle relative basi di calcolo e delle percentuali applicate per ogni annualit à .
Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e infondatezza.
Sotto un primo profilo, il mezzo di impugnazione non censura in modo specifico l’accertamento fattuale compiuto dal giudice d’appello secondo cui «l’entità degli interessi da corrispondere era stata gi à indicata alla contribuente in sede di conclusione degli accordi conciliativi» (cfr. p.3 sentenza impugnata).
E’ vero che a pag.26 del ricorso si afferma che nella cartella di pagamento la sorte capitale sarebbe indicata in maniera errata essendo imputata a «interessi su Addizionale Regionale IRPEF» incompatibili con una società di capitali e a sanzioni IRPEG non indicate negli atti presupposti (intimazioni di pagamento e accordi conciliativi), che il «tempo» non sarebbe indicato e né potrebbe essere conoscibile il «tasso» percentuale non essendo specificata idoneamente la «tipologia di interessi applicati» ( ibidem ), ma la cartella non è riprodotta nel ricorso, come sarebbe stato onere della ricorrente fare, né è reperita agli atti nel fascicolo telematico benché sia indicata tra gli allegati del ricorso.
Inoltre, sotto un ulteriore e concorrente profilo, trova applicazione la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte (Cass. n. 22281 del 2022) secondo cui la cartella di pagamento, allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il “quantum” del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata – con riguardo al calcolo degli interessi nel frattempo maturati – attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo per gli ulteriori accessori, indicazione che soddisfa l’obbligo di motivazione prescritto dall’art. 7 della l. n. 212 del 2000 e dall’art. 3 della l. n. 241 del 1990.
Inoltre, con riferimento all’intimazione di pagamento, Cass. n. 27504 del 23/10/2024 ha stabilito che, allorché questa segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il quantum del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata con riguardo al calcolo degli interessi nel frattempo maturati – con il semplice richiamo all’atto impositivo ed alla cartella presupposti e
con la quantificazione dell’importo per gli ulteriori accessori, indicazione che soddisfa l’obbligo di motivazione prescritto dall’art. 7 della l. n. 212 del 2000 e dall’art. 3 della l. n. 241 del 1990.
Nel caso di specie, come ricorda la stessa ricorrente, la cartella di pagamento è stata preceduta da una pluralità di atti portati alla sua conoscenza in relazione al debito, in particolare intimazioni di pagamento e accordi conciliativi e perciò la cartella non costituisce il primo atto riguardante la pretesa per interessi, e quindi non deve necessariamente indicare, oltre all’importo monetario richiesto, la base normativa relativa agli interessi reclamati – la quale può comunque anche essere implicitamente desunta dall’individuazione specifica della tipologia e della natura degli interessi oggetto della pretesa ovvero del tipo di tributo a cui questi accedono – e la decorrenza dalla quale gli accessori sono dovuti, fermo restando che non è necessaria la specificazione dei singoli saggi periodicamente applicati o delle modalità di calcolo.
Con il secondo motivo la ricorrente, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., deduce la nullità della sentenza per violazione del combinato disposto degli artt. 7 e 17 L. 212/2000, 3 L 241/90, 2697 cod. civ., 3, 23, 24, 53 e 97 Cost., perché avrebbe dovuto accogliere l’appello e, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarare illegittimo l’atto esattivo, per carenza di impianto motivazionale, nella parte in cui intima il pagamento delle pretese di Addizionale Regionale IRPEF e sanzione IRPEG non previste negli atti presupposti.
Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e infondatezza.
4.1. Innanzitutto, la censura impinge nell’accertamento fattuale svolto dal giudice del gravame, il quale, vagliando gli atti, ha stabilito che «il riferimento all’IRPEG era solo apparente, atteso che l’utilizzo del codice tributo 9502 derivava unicamente dal fatto che il sistema informatico non prevedeva specificamente un codice tributo per la sanzione unica derivante da un accordo conciliativo» (p.3 sentenza).
In ricorso non si prospetta né si dimostra che tale accertamento fattuale sia errato.
4.2. Inoltre, non è condivisibile la difesa della ricorrente secondo cui il giudice avrebbe dovuto limitarsi ad una pronuncia di mero annullamento, senza alcun intervento sostitutivo, poiché il processo tributario si connota per essere di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia dell’accertamento dell’Ufficio (Cass. Sez. 5, ordinanza n. 18777 del 10/09/2020). Non si configura dunque alcuna nullità della sentenza per i profili evidenziati nel motivo.
5. Il terzo motivo, ex art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., lamenta la nullità della sentenza per violazione del combinato disposto degli artt. 26 d.P.R. 602/73, 3 bis comma 1, della legge 53/1994, 3bis e 6-ter d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 ‘Codice dell’amministrazione digitale’, 4 comma 7, 14 e 16 comma 2 del d.P.R. 68/2005, perché il giudice avrebbe dovuto rilevare l’inesistenza della notifica della cartella di pagamento notificata via pec da indirizzo sconosciuto non presente nei Registri ufficiali pec, non sanabile dalla proposizione del ricorso e rilevabile in ogni stato e grado del processo.
6. Il motivo è inammissibile in quanto nuovo.
La sentenza impugnata non fa menzione della questione e in ricorso si evidenzia che, in primo grado, la società aveva impugnato la cartella di pagamento per il diverso profilo di essere stata notificata con estensione pdf e non p7m tipica dei files formato digitale. Pertanto, non era stata posta in discussione la legittimit à della provenienza dal soggetto mittente sotto il differente profilo della mancata derivazione da idoneo indirizzo di posta elettronica certificata.
Va inoltre affermato in diritto, che, diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente, il profilo di censura dell’utilizzo di un indirizzo non presente nei Registri ufficiali pec non solo non è idoneo a determinare l’inesistenza della notificazione, ma la questione non è neppure rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, poich é costituisce eventuale oggetto di un’eccezione in senso stretto scrutinabile solo su
tempestiva richiesta della parte interessata e tempestiva riproposizione in appello.
Con il quarto motivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., si deduce la nullità della sentenza per sopraggiunta mancanza di titolo, per intervenuto annullamento della presupposta intimazione di pagamento emessa dall’Agenzia Entrate per l’anno 2010, in violazione degli artt.12 d.P.R. 602/73, 53 Cost., 48 ter, comma 3, del d.lgs. n. 546/92, 10, comma 2, della L. 27 luglio 2000 n. 212, 22 del d.lgs. 472/97.
Evidenzia la ricorrente che l’intimazione di pagamento relativa all’anno 2010, posta a base della cartella di pagamento, in quanto emessa a seguito di accordo conciliativo, era stata annullata dalla CTR del Lazio con sentenza n. 3072 del 2022. Pertanto, secondo la ricorrente, «venuta meno l’intimazione di pagamento emessa dall’Agenzia delle entrate DP2 di Roma a seguito della decadenza dalla rateizzazione degli importi derivanti dall’accordo conciliativo, necessariamente nulla dovr à considerarsi la cartella di pagamento relativamente alla pretesa per l’anno 2010, quantomeno per gli importi non specificamente ricompresi nell’accordo conciliativo» (v. p.39 del ricorso).
Il motivo non può trovare ingresso, per le ragioni che seguono.
I fatti rilevanti sono ricostruiti come segue: la società contribuente è stata destinataria di due avvisi di accertamento e ha quindi concluso nel gennaio 2017 con l’Amministrazione finanziaria due accordi conciliativi ‘ fuori udienza ‘ ex art. 48 d.lgs. n. 546 del 1992; la società non ha rispettato gli accordi omettendo di pagare già la seconda rata e, decaduta dal beneficio è stata destinataria di due intimazioni di pagamento notificatele dall’Agenzia e, quindi, della cartella di pagamento impugnata in questa sede, perché le intimazioni, separatamente impugnate, erano rimaste senza effetto; l ‘intimazione di pagamento relativa all’anno 2010 è stata annullata con la
sentenza della CTR n. 3072/2022, mentre l ‘intimazione di pagamento relativa all’anno 2011 è stata confermata con altra sentenza del giudice d’appello .
In particolare, la ricorrente invoca nel presente processo la statuizione della sentenza della CTR n. 3072/2022 assumendo che sia idonea a travolgere la cartella di pagamento emessa a valle dell’intimazione di pagamento per il 2010 (oltre che di quella per il 2011).
Tale prospettazione non è condivisibile per più profili.
9.1. Innanzitutto, su un piano fattuale, non vi è prova agli atti che la sentenza della CTR n.3072/2022 sia definitiva. La ricorrente non lo afferma né nel corpo del ricorso né nella memoria autorizzata, limitandosi a riferire che la sentenza, successiva all’emissione della cartella, è immediatamente esecutiva ex art.69, d.lgs. n. 546 del 1992.
Specularmente, la difesa dell’Agenzia in controricorso afferma che non vi sarebbe un interesse processuale ex art. 100 cod. proc. civ. in capo alla ricorrente per quanto attiene alle somme dovute aventi titolo nell’intimazione di pagamento n. 25888 relativa all’anno d’imposta 2010, in quanto l’Amministrazione avrebbe già provveduto allo sgravio delle somme ad esso afferenti. Tuttavia, non solo nella memoria autorizzata la società afferma che nessun eventuale sgravio le è stato comunicato, ma neppure la controricorrente fornisce prova alcuna delle proprie deduzioni.
9.2. Sotto un secondo profilo, il Collegio constata che alla base del presente contenzioso vi sono più atti autonomamente impugnabili ai fini dell’art.19, d.lgs. n. 546 del 1992 e concretamente impugnati dalla società in più processi davanti al giudice, di cui la cartella è quello oggetto del ricorso introduttivo di questo giudizio.
Orbene, in diritto va affermato in relazione alla presente fattispecie innanzitutto che:
« In applicazione dell’art.48, comma 4, d.lgs. n. 546 del 1992, conciliazione ‘fuori udienza’, nel testo applicabile ratione
temporis , modificato dal d.lgs. del 24/09/2015, n. 156, articolo 9, l’accordo costituisce già il titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente, con la conseguenza che non vi è necessità per l’Amministrazione di notificare , anteriormente alla cartella di pagamento, un’intimazione per richiedere il recupero delle rate non versate in dipendenza dell’accordo rimasto inadempiuto. » .
Nel caso di specie, l’Amministrazione, indipendentemente dal nomen iuris adottato, che richiama l’ex art.29, comma 1, lett. a), d.l. n.78/2010, constatato l’inadempimento dell’accordo, prima dell ‘emissione della cartella, benché non fosse necessario, ha notificato un atto, che dev’essere considerato un mero invito al pagamento, il quale è stato impugnato avanti al giudice tributario ed è stato annullato dalla citata sentenza n.3072/2022 per un vizio suo proprio.
9.3. Al proposito, va ulteriormente affermato in diritto che:
« L ‘annullamento di un invito al pagamento per vizio proprio, nella specie vizio di motivazione, non è di per sé idoneo ad incidere sulla debenza del tributo oggetto della successiva cartella di pagamento, a meno che nel frattempo il credito erariale sia prescritto, non essendo l’atto annullato più idoneo ad interrompere la prescrizione. ».
Orbene, alle pagine 38 e 39 del ricorso viene sintetizzata la motivazione della sentenza n.3072/2022 nel senso che: « L’intimazione di pagamento n. 25888 relativa all’anno 2010 a base della cartella di pagamento che ci occupa, perché emessa a seguito dell’accordo conciliativo 500005/2017 su accertamento CODICE_FISCALE è stata annullata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio (Sez. 7) con sentenza n. 3072 depositata il 03/07/2022 (ora doc.10), nella quale si legge: ‘Ma il motivo dirimente ai fini del decidere, come ragione più liquida (cfr Cass. n. 26541/2021 che ne ravvisa il fondamento nel principio di economia processuale), in quanto questione
ritenuta di più agevole soluzione, che rende non necessario l’esame delle altre censure perché assorbite, è quello relativo alla illogicità e intrinseca incongruenza dell’avviso di intimazione, che ne determina l’annullamento in accoglimento del gravame. L’atto impositivo, infatti, per giustificare la pretesa impositiva riporta, nella prima parte, il riferimento corretto all’avviso di accertamento n. TK503M101978/2014, correlato alla conciliazione n. TK 500005/2017 del 17/01/2017, ma lo riferisce all’anno -errato 2011 e poco più sotto richiama, sempre a giustificazione del medesimo richiesto pagamento, il diverso -non pertinente -avviso di accertamento n. TK503M101980/2014, correlato alla conciliazione del 17/01/2017 (in realtà corrispondente al diverso n. TK500004/2017) e lo riferisce all’anno -errato -2010, rendendo di fatto incomprensibili, illogiche e incongrue le ragioni del pagamento richiesto’. E’ evidente che trattasi di refusi ed errori materiali che incidono gravemente, compromettendola, sulla chiarezza che l’atto impositivo è tenuto ad avere, per garantire alla parte contribuente la comprensione dell’esatto titolo della pretesa tributaria, nell’ottica del rispetto dei doveri di buona amministrazione da parte dell’amministrazione fiscale, la quale -in caso si accorga di errori formali o sostanziali nell’atto emanato -è tenuta quanto meno ad emendarlo con una tempestiva rettifica integrativa, se non a sostituirlo con altro regolare atto. L’appello è pertanto fondato e la sentenza appellata merita riforma, con integrale annullamento dell’atto di intimazione n. 25888, notificato il 01/03/2018 e correlato alla decadenza dalla rateizzazione concessa dalla conciliazione n. 500005/2017 per l’avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE, relativo all’anno 2010 ( … )».
L’annullamento dell’intimazione a monte è stato perciò dovuto a meri refusi ed errori materiali che secondo il giudice hanno compromesso la chiarezza della motivazione e, dunque, la decisione non incide di per sé sulla pretesa portata dalla cartella impugnata a valle. Né si deve ritenere che nel frattempo si sia prescritto il relativo credito
erariale che l’intimazione avrebbe potuto interrompere, poiché la circostanza non è stata neppure dedotta dalla ricorrente.
9.4. Il mezzo di impugnazione è a maggior ragione infondato per quanto riguarda gli importi dovuti aventi titolo nell’altro atto di intimazione, relativo all’anno d’imposta 2011 che, a differenza del 2010, è stato confermato con sentenza n. 3375/06/22 depositata il 19/07/2022 della CTR Lazio.
10. Con il quinto motivo si prospetta, in riferimento all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per illegittima condanna al pagamento delle spese di lite, in violazione dell’art. 15 d.lgs. 546/92 per avere il giudice del gravame illegittimamente condannato la societ à al pagamento delle spese di lite, anche perch é l’Agenzia delle entrate era difesa da proprio funzionario, con violazione degli artt. 11, 12 e 15 d.lgs. 54671992.
11. Il motivo è infondato. Va reiterato anche nella presente fattispecie che, in diritto, in tema di contenzioso tributario, all’Amministrazione finanziaria assistita in giudizio dai propri funzionari, in caso di vittoria nella lite, spetta, ai sensi dell’art. 15, comma 2 bis, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, la liquidazione delle spese che va effettuata applicandosi la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato, quale rimborso per la sottrazione di attività lavorativa dei funzionali medesimi, utilizzabile altrimenti in compiti interni di ufficio e tenuto conto dell’identità della prestazione professionale profusa dal funzionario rispetto a quella del difensore abilitato (Cass. n. 24675/2011; conforme, da ultimo Cass. n.1019/2024).
La ricorrente non argomenta nemmeno in ordine al fatto che l’importo individuato non tenga conto della riduzione del venti per cento previsto dalle disposizioni per la liquidazione del compenso per gli avvocati.
12. In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato e le spese di lite, liquidate in favore della controricorrente come da dispositivo, seguono la soccombenza.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore della controricorrente, liquidate in 18.000 euro per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14.2.2025