Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24821 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24821 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al n. 13559/2017 R.G.) proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (Partita IVA: P_IVA, con sede in Castellaneta (TA), alla RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME unitamente all’avv. NOME COGNOME che rappresenta e difende la società stessa, giusta procura speciale in calce al ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità (indirizzo p.e.c. del difensore:
‘ EMAIL) ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata ‘ ope legis ‘ presso gli uffici di quest’ultima, siti in Roma, alla INDIRIZZO (indirizzo p.e.c.: EMAIL);
-controricorrente –
nonché
n. 13559/2017 R.G.
COGNOME
Rep.
A.C. 10 aprile 2025
OGGETTO : Credito IVA Cartella pagamento.
RAGIONE_SOCIALE (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, agente della RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , con sede in Roma, alla INDIRIZZO
– intimata –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia n. 2779/28/2016, pubblicata il 21 novembre 2016;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 10 aprile 2025, dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- In punto di fatto e limitando l’esposizione alle sole circostanze rilevanti in questa sede, si osserva che, a seguito di controllo automatizzato ex art. 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972 e 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973, veniva emessa, a carico della contribuente RAGIONE_SOCIALE, cartella di pagamento per IVA (anno d’imposta 2006) . Con tale cartella, veniva intimato alla suddetta contribuente il pagamento del l’importo di € . 18.751,00 (euro diciottomilasettecentocinquantuno/00), oltre interessi e sanzioni, per un totale di € . 26.019,58 (euro ventiseimiladiciannove/58).
La società contribuente ricorreva dinanzi alla CTP di Taranto, deducendo l’illegittimità della cartella perché non era stata notificata alcuna comunicazione relativa all’irregolarità riscontrata a seguito del controllo automatizzato. Inoltre, eccepiva la carenza di prove e la violazione dello statuto dei diritti del contribuente (l. n. 212 del 2000). La CTP accoglieva il ricorso, affermando che la comunicazione di irregolarità era di fondamentale importanza e che, in mancanza, la contribuente era stata privata dell’esercizio di diversi suoi diritti. Inoltre, evidenziava che la cartella non risultava adeguatamente motivata.
2.- La CTR della Puglia (Bari, Sezione distaccata di Taranto), investita dagli appelli de ll’agente della riscossione e dell’amministrazione finanziaria, li accoglieva evidenziando come non vi fosse alcun onere di invio della comunicazione di irregolarità e di motivazione, poiché l’amministrazione finanziaria si era limitata esclusivamente a correggere gli errori commessi dalla contribuente. Pertanto, applicava la giurisprudenza di questa sezione della S.C., secondo cui « in caso di liquidazione delle imposte in esito a controllo di dichiarazioni secondo
procedure automatizzate occorre l’instaurazione del contraddittorio prima dell’iscrizione a ruolo soltanto qualora emergano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, mentre se il versamento di quanto dovuto sia tardivo l’amministrazione non ha l’obbligo di inviare comunicazione di irregolarità al contribuente, sicché non sussistono, in tale evenienza, i presupposti per ottenere la riduzione ad un terzo delle sanzioni stesse. » (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 12023 del 10 giugno 2015, Rv. NUMERO_DOCUMENTO) e secondo cui « In tema di riscossione delle imposte, sebbene in via generale la cartella esattoriale, che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, debba essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, tale obbligo di motivazione deve essere differenziato a seconda del contenuto prescritto per ciascuno tipo di atto, sicché, nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata emessa in seguito a liquidazione effettuata in base alle dichiarazioni rese dal contribuente ai sensi degli artt. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, l’obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a tali dichiarazioni perché, essendo il contribuente già a conoscenza delle medesime, non è necessario che siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa. » (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 21804 del 20 settembre 2017, Rv. 645620-01).
3.- Avverso la menzionata sentenza d’appello , la contribuente società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
4.L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso, mentre l’agente della riscossione società RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) e n. 5), c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972, nonché omesso esame di un fatto decisivo.
La società ricorrente lamenta, in sostanza, che la CTR avrebbe omesso di esaminare la questione relativa all’effettività del credito IVA e alla possibilità di portarlo in detrazione, così come, del resto, affermato da Cass. civ., Sez. U, sentenza n. 17757 dell’8 settembre 2016, Rv. 640943 –
01 e da Cass. civ., Sez. U, sentenza n. 17758 dell’8 settembre 2016, Rv. 640942-01.
2.- La censura è inammissibile.
Ed invero, alla stregua della lettura e disamina della sentenza impugnata, non risulta che la questione relativa al l’effettività del credito IVA (rimasta non accolta nel giudizio di primo grado, in ragione del fatto che l’accoglimento del ricorso della contribuente era stato motivato dalla CTP affermando che il difetto di comunicazione di irregolarità aveva privato la contribuente dell’esercizio di diversi suoi diritti e che la cartella non risultava adeguatamente motivata) fosse stata reiterata nell’ambito del giudizio d ‘appello . In particolare, dalla pag. 4 della sentenza impugnata può agevolmente desumersi la riproposizione delle questioni di carattere formale relative all’iscrizione a ruolo , mentre alcuna traccia vi è circa la riproposizione della questione di cui si tratta la quale, del resto, non compare nemmeno nella trascrizione – contenuta a pag. 31 del ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità – delle eccezioni non accolte in primo grado e riproposte dalla contribuente in appello con le proprie controdeduzioni.
Del resto, è appena il caso di rammentare il principio, più volte affermato da questa Corte regolatrice, secondo cui « Qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa. » (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 3473 del l’11 febbraio 2025, Rv. 674087-01; conf. Cass. civ., Sez. 6-5, ordinanza n. 32804 del 13 dicembre 2019, Rv. 656036-01).
3.- Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 -bis d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54 -bis d.P.R. n. 633 del 1972.
Sostiene, al riguardo, che la pronuncia impugnata sarebbe contraria al consolidato orientamento sezionale secondo cui « La previsione dell’art. 36 bis, secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, introdotta dall’art. 2 del d.P.R. 24 dicembre 1976, n. 920 allo scopo di rendere possibile la più sollecita correzione da parte dell’Ufficio, degli errori individuabili nella dichiarazione sulla scorta di un mero controllo formale, ha carattere eccezionale, e non tollera applicazione estensiva a ipotesi diverse da quelle tassativamente indicate dal legislatore. Perciò a tale strumento non può fare ricorso l’Amministrazione ogniqualvolta sia necessario procedere, al di là del mero riscontro cartolare, ad attività di valutazione giuridica ai fini dell’interpretazione del dato normativo, della qualificazione di fatti o di rapporti fiscalmente rilevanti, della soluzione di questioni di imponibilità o di deducibilità o relative all’applicabilità di norme di esenzione o di agevolazione. » (Cass. civ., Sez. 1, sentenza n. 9818 del 15 settembre 1999, Rv. 530081-01). Invoca, conseguentemente, la necessità di motivazione della cartella di pagamento oggetto di controversia.
4.- Con il terzo (e ultimo) motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 -bis d.P.R. n. 600 del 1973 in combinato disposto con gli artt. 6 e 7 l. n. 212 del 2000 e art. 3 l. n. 241 del 1990.
Sostiene, al riguardo la necessità della previa comunicazione di irregolarità e della motivazione, in difetto delle quali al contribuente non viene consentito di conoscere le ragioni in fatto ed in diritto del disconoscimento del credito di cui all’opposta cartella, che dovrebbero essere esplicitate nella comunicazione ex art. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973 ovvero nell’avviso di accertamento.
5.- Le predette censur e, senz’altro suscettibili di essere scrutinate congiuntamente, sono inammissibili, in quanto dirette, con tutta evidenza, a contestare gli accertamenti di fatto, operati dalla CTR.
Ed invero, questa Corte ha più volte affermato che « Le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice de l caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio
di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità. » (Cass. civ., Sez. 1, ordinanza n. 640 del 14 gennaio 2019, Rv. 652398-01; conf. Cass. civ., Sez. 3, sentenza n. 7187 del 4 marzo 2022, Rv. 664394-01).
Orbene, non è chi non veda come i motivi oggetto di disamina, in quanto si concentrano sull’accertamento delle circostanze di fatto e dei presupposti che, alla stregua di quanto chiarito dalla CTR, hanno giustificato l’applicazione dell’art. 36 -bis d.P.R. n. 600 del 1973 senza necessità di previa comunicazione di irregolarità e di motivazione, finiscono con il risolversi nella prospettazione di una ricostruzione alternativa della vicenda fattuale e, dunque, nella richiesta di una nuova valutazione del compendio istruttorio, notoriamente preclusa in sede di giudizio di legittimità (cfr., al riguardo, Cass. civ., Sez. 2, ordinanza n. 10927 del 23 aprile 2024, Rv. 670888-01, secondo cui « In tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme. »).
6.- In conclusione, alla stregua delle considerazioni finora sviluppate, il ricorso deve essere respinto.
7.- Le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza della ricorrente nei riguardi dell’amministrazione finanziaria controricorrente e si liquidano come da dispositivo.
Non è invece luogo a provvedere in ordine alle spese relative al rapporto processuale tra la ricorrente e l’agente della riscossione rimasta intimata, non avendo quest’ultima svolto alcuna attività difensiva.
8.- Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione , se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi €. 3.000,00 (euro tremila/00), oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria,