Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15875 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15875 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15076-2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE di COGNOME e COGNOME , in persona del legale rappresentante pro tempore , dott. NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale in atti, da ll’ avv. NOME COGNOME (pecEMAIL;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente pro tempore ;
– intimata – avverso la sentenza n. 435/10/2023 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della SICILIA, Sezione staccata di MESSINA, depositata il 13/01/2023;
Oggetto: TRIBUTI – cartella di pagamento – comunicazione di irregolarità
udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26 marzo 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
La società contribuente impugnò la cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione reddituale Mod. Unico 2014, relativa all’anno d’imposta 2013, lamentando l’omessa notifica della comunicazione di irregolarità.
La CTP (ora Corte di giustizia tributaria di primo grado) di Messina rigettò il ricorso ed analoga sorte subì l’appello proposto dalla società contribuente alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, Sezione staccata di Messina, che ritenne non spettante detta comunicazione trattandosi di cartella di pagamento emessa sulla base del raffronto tra i dati dichiarati dalla contribuente ed i versamenti a titolo di acconto da quella effettuati, che risultavano di importi inferiori a quel li dichiarati, e per l’omesso versamento di quanto dovuto a titolo di IVA. Sostenne, inoltre, che la cartella di pagamento conteneva tutti gli elementi idonei a rendere noti i motivi di fatto e di diritto sui quali si fondava la pretesa tributaria.
Avverso tale statuizione la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui non replica l’intimata.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la «Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54-bis, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, art. 2 e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 5, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.».
1.1. Sostiene la ricorrente che i giudici di appello avevano escluso la necessità dell’invio della comunicazione di irregolarità senza considerare la specificità del caso concreto, posto che la dichiarazione fiscale presentata dalla G.BRAGIONE_SOCIALE Pubblicità s.n.c., per l’anno di imposta in contestazione, non esprimeva alcun importo a debito.
2. Il motivo è inammissibile.
2.1. Invero, i giudici di appello hanno molto chiaramente affermato che l’amministrazione finanziaria aveva procedura all’emissione della cartella di pagamento «sulla scorta dei dati dichiarati dalla contribuente», dai quali «era emerso che i versamenti a titolo di acconto risultavano inferiori rispetto a quelli indicati in dichiarazione», così di fatto accertando che la contribuente, diversamente da quanto da questa sostenuto nel motivo in esame, aveva indicato dei «dati» nella dichiarazione fiscale, che la ricorrente omette anche di riprodurre nel ricorso, o di allegare allo stesso o di localizzarla negli atti del giudizio di merito, in spregio al principio di specificità dei motivi di ricorso.
2.2. Pertanto, con il motivo in esame la ricorrente, sotto lo schermo del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, in realtà pone in discussione il predetto accertamento, sicché la censura trasmoda nella revisione della quaestio facti , richiedendo inammissibilmente a questo Giudice di legittimità l’esercizio di poteri di cognizione esclusivamente riservati al giudice del merito (cfr. in tale prospettiva, tra le altre, Cass. n. 18715/2016, Cass. n. 3965/2017, Cass. n. 6035/2018).
2.3. D’altro canto è noto che il vizio di violazione di legge «consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità» (cfr., ex multis , Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03; Cass. Sez. 1, ord. 14 gennaio 2019, n. 640, Rv. 652398-01; Cass. Sez. 1, ord. 5 febbraio 2019, n. 3340, Rv. 652549 -02; Cass., Sez. 3, ord. n. 19651 del 16/07/2024, Rv. 671812 – 01), e ciò in quanto il vizio di
sussunzione «postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito» (Cass., Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01; Cass., Sez. 3, ord. n. 19651 del 16/07/2024, Rv. 671812 – 01).
Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta la «Insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c.».
3.1. La ricorrente censura la sentenza impugnata per avere affermato, in modo sostanzialmente apodittico, che ‘la cartella di pagamento in oggetto contiene tutti gli elementi idonei a rendere noti i motivi di fatto e di diritto sui quali si fonda la pretesa tributaria’ , senza considerare che la cartella di pagamento era stata adottata ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis, non sulla base degli elementi indicati nella dichiarazione, ma a seguito di rettifica della dichiarazione stessa; pertanto, trattandosi di richiesta di pagamento di imposte che la ricorrente aveva ritenuto non dovute, la cartella non doveva ritenersi congruamente motivata mediante la semplice indicazione delle somme dichiarate come spettanti all’Erario, unitamente al relativo titolo.
Il motivo è inammissibile.
4.1. Innanzitutto, perché formulato in violazione del disposto di cui all’art. 348 -ter c.p.c., ora art. 360, quarto comma, c.p.c., vertendosi nella specie in ipotesi di doppia pronuncia di merito conforme in relazione al profilo dedotto, peraltro senza che il ricorrente abbia assolto l’onere di indicare i profili di divergenza tra le ragioni di fatto a base della decisione di primo grado e quelle a base del rigetto dell’appello, com’era invece necessario per dar ingresso alla censura proposta (cfr. Cass. n. 26774 del 2016, n. 5528 del 2014 e, più recentemente, Cass. n. 5947 del 2023); il che non è avvenuto nel caso
in esame emergendo comunque dal contenuto del ricorso che identica è la quaestio facti esaminata dalle due commissioni.
4.2. Il motivo è, altresì, inammissibile per le medesime ragioni espresse nel precedente motivo. Anche in questo caso il motivo in esame si pone in insanabile contrasto con l’accertamento in fatto compiuto dai giudici di appello, di cui si è dato atto esaminando il primo motivo di ricorso, peraltro omettendo, in violazione del principio di specificità del ricorso, di riprodurre, allegare o comunque localizzare tra gli atti dei giudizi di merito la dichiarazione Mod. Unico 2014, così impedendo a questa Corte di valutare la fondatezza della tesi sostenuta nel motivo in esame, secondo cui la cartella di pagamento è stata emessa «non sulla base degli elementi indicati nella dichiarazione, ma a seguito di rettifica della dichiarazione stessa». Circostanza non evincibile dal contenuto della cartella che è allegata al ricorso.
Con il terzo motivo viene dedotta la « Violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.».
5.1. Sostiene la ricorrente che, a fronte della contestazione dell’inesistenza di una situazione debitoria esposta nella dichiarazione reddituale, era onere dell’amministrazione finanziaria , nella specie non assolto, di provare il fatto costitutivo della pretesa.
Richiamando quanto già detto esaminando il primo motivo, la censura in esame è inammissibile in quanto, oltre a muovere da un indimostrato presupposto (inesistenza di una situazione debitoria esposta nella dichiarazione reddituale), si pone in evidente contrasto con l’accertamento in fatto compiuto dai giudici di appello secondo cui la liquidazione delle imposte dovute per l’anno 2013 era avvenuto «sulla scorta dei dati dichiarati dalla contribuente».
Con il quarto motivo viene dedotta la « Violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.».
7.1. Sostiene la ricorrente che, «alla luce del principio di non contestazione statuito dall’art. 115 c.p.c., come recepito dalla
giurisprudenza con la nota sentenza n. 761/2002, resa a Sezioni unite dalla Cassazione, bisogna espungere dal thema probandum i fatti su cui la controparte resta silente, sebbene gravata dall’onere probatorio di dimostrare i fatti allegati a supporto delle proprie tesi. Orbene, nel caso di specie, a fronte della specifica contestazione della parte ricorrente circa l’inesistenza della pretesa tributaria, RAGIONE_SOCIALE è rimasta silente».
Il motivo è inammissibile alla stregua del principio giurisprudenziale secondo cui «Ai fini del rispetto del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione con cui viene dedotta la violazione del principio di non contestazione deve indicare sia la sede processuale in cui sono state dedotte le tesi ribadite o lamentate come disattese, inserendo nell’atto la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi, sia, specificamente, il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori scritti difensivi, in modo da consentire alla Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell’art. 115 c.p.c.» (Cass. n. 15058/2024).
8.1. A quanto detto aggiungasi che «Nel processo tributario, caratterizzato dall’impugnazione di una pretesa fiscale fatta valere mediante l’emanazione dell’atto impositivo nel quale i fatti costitutivi della richiesta sono già stati allegati, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato nell’atto impugnato» (Cass. n. 16984/2023). Da ciò anche l’infondatezz a della censura in esame.
In estrema sintesi il ricorso va rigettato senza necessità di provvedere sulle spese non avendo l’intimata svolto difese.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 26 marzo 2025