Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31867 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31867 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20827/2016 R.G. proposto da:
COGNOME;
COGNOME
nella qualità di eredi di NOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale sono rappresentati e difesi unitamente all’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al ricorso,
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro-tempore (già RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentata e difesa in virtù di procura speciale allegata in calce al controricorso,
CARTELLA DI
PAGAMENTO
–
IRPEF
2006.
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 630/04/2016, depositata il 5 febbraio 2016; udita la relazione della causa svolta nell’adunanza in camera di consiglio del l’11 settembre 2024 dal consigliere relatore dott. NOME COGNOME
– Rilevato che:
L’agente della riscossione RAGIONE_SOCIALE (successivamente divenuta RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima poi fusa per incorporazione in RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE) notificava a NOME cujus e dante causa degli odierni ricorrenti) cartella di pagamento n. 097-20100340768246, dell’importo complessivo di € 10.085,06, per maggiore IRPEF e relative addizionali per l’anno 2006, ritenute dovute a seguito di controllo formale della dichiarazione effettuato ai sensi dell’art. 36 -ter del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Avverso tale cartella di pagamento NOME proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma la quale, con sentenza n. 1514/23/2014, depositata il 29 gennaio 2014, lo rigettava, compensando le spese.
Interposto gravame dalla contribuente, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza n. 630/04/2016, pronunciata il 19 gennaio 2016 e depositata in segreteria il 5 febbraio 2016, rigettava l’appello, condannando l’appellante alla rifusione delle spese di lite.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione COGNOME Bruno e COGNOME Chiara, nella qualità di
eredi di NOME sulla base di quattro motivi (ricorso notificato il 5 settembre 2016).
Resiste con controricorso il concessionario per la riscossione RAGIONE_SOCIALE.a.
Con decreto del 24 maggio 2024 è stata fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per l’adunanza in camera di consiglio dell’11 settembre 2024, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1 c.p.c.
– Considerato che:
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso COGNOME COGNOME e COGNOME Chiara eccepiscono violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 112, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deducono, in particolare, i ricorrenti che, a differenza di quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, essendo contestato anche il merito della pretesa tributaria, l’agente della riscossione avrebbe avuto l’onere , nel presente giudizio, di proporre istanza di chiamata in causa dell’ente impositore, ed il giudice di merito avrebbe dovuto autorizzare tale chiamata in causa.
1.2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui all’art. 36 -ter del d.P.R. n. 600/1973 e 5, comma 5, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (statuto del contribuente), nonché dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ., nonché, ancora, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo
della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c.
Rilevano, in particolare, i ricorrenti che, poiché la pretesa tributaria riguardava incertezze e dubbi interpretativi sulla dichiarazione, avrebbe dovuto essere notificata alla contribuente il c.d. avviso bonario, per garantire il corretto contraddittorio preventivo.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deducono, in particolare, che l’omessa partecipazione al giudizio dell’Agenzia delle Entrate aveva impedito alla ricorrente contribuente di eccepire eventuali vizi di sottoscrizione dell’avviso di accertamento che, ai sensi dell’art. 42 del d.P.R. n. 600/1973, avrebbe dovuto essere sottoscritto dal capo dell’Ufficio di riferimento o da un suo delegato appartenente alla carriera direttiva.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, infine, si eccepisce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto deciso della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c.
Rilevano, in particolare, i ricorrenti che la C.T.R. aveva, in maniera contraddittoria, ritenuto inammissibile il motivo di appello riguardante l’inesistenza della pretesa tributaria, in quanto meramente ripetitivo delle doglianze svolte in primo grado, ritenendo poi lo stesso motivo comunque infondato nel merito.
Così delineati i motivi di ricorso, questa Corte osserva quanto segue.
2.1. Il primo motivo è infondato.
Nelle controversie tributarie, il contribuente che impugni una cartella esattoriale o altro atto esattoriale emesso dal concessionario della riscossione per motivi che attengono alla mancata notificazione , ovvero anche all’invalidità degli atti impositivi presupposti, o comunque all’assenza della pretesa impositiva , può agire indifferentemente nei confronti tanto dell’ Ente impositore quanto del Concessionario, senza che tra i due soggetti sia configurabile un litisconsorzio necessario, non imponendosi al Giudice Tributario l’integrazione de l contraddittorio.
Conseguentemente, l ‘onere di chiamata in giudizio dell’Ente impositore, ai sensi dell’art. 39 del d.lgs. n. 112/1999, incombe sull’ Agente della riscossione se non vuole rispondere delle conseguenze della lite, senza che il giudice di merito debba necessariamente ordinare l’integrazione del contraddittorio (Cass., sez. un., 8 marzo 2022, n. 7514; Cass. 4 febbraio 2020, n. 2480; Cass. 18 novembre 2019, n. 29798).
Correttamente, pertanto, la C.T.R., nel caso di specie, ha ritenuto che unico onerato alla chiamata in causa dell’ente impositore fosse l’Agente della riscossione, e che non vi era un obbligo specifico del giudice di ordinare la chiamata in causa dell’ente impositore né di richiederne la chiamata in causa da parte dello stesso agente della riscossione; quest’ultimo ha quindi legittimamente ritenuto, nella fattispecie in esame, di non effettuare la chiamata in causa dell’ente impositore, assumendosi quindi la responsabilità di rispondere della lite anche in caso di inesistenza della pretesa impositiva, senza che
ciò possa avere un qualche effetto sulla legittimità della sentenza impugnata, che rimane validamente emessa.
2.2. Anche il secondo motivo è infondato.
La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare il principio secondo cui all’art. 6, comma 5, della legge n. 212/2000, non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo di somme derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, ma solo «qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione» (cfr., tra le molte Cass. 14 gennaio 2011, n. 795; Cass. 25 maggio 2012, n. 8342; Cass. 18 marzo 2016, n. 5394; Cass. 27 settembre 2016, n. 19033; Cass. 17 dicembre 2019, n. 33344; Cass. 30 settembre 2021, n. 26508), essendosi rilevato che se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione, non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso.
Nella fattispecie in esame, in cui la C.T.R., con valutazione di fatto insindacabile in questa sede, ha accertato che l’esito del controllo scaturisce dallo stesso contenuto di quanto oggetto di dichiarazione da parte della contribuente, e che «non sono state allegate circostanze in grado di revocare in dubbio l’inesistenza di incertezze e dubbi interpretativi sulla dichiarazione», è pertanto da escludere la sussistenza delle condizioni che avrebbero imposto la notifica del previo avviso di cui alla citata norma.
Il motivo in esame è peraltro infondato -ed in parte anche inammissibile -con riferimento alla contestazione di
insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, posto che: a ) la sentenza appare in parte qua più che sufficientemente motivata, avendo la C.T.R. chiaramente escluso la necessità del preventivo invio dell’avviso bonario ai fini del contraddittorio preventivo, non vertendosi in ipotesi di incertezza su aspetti rilevanti della dichiarazione; b ) il vizio di contraddittorietà della motivazione non è più censurabile con ricorso per cassazione -a seguito delle modifiche del num. 5) del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. introdotte con l’art. 54, comma 1, lett. b ), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 -e quindi il motivo è, con riferimento a tale contestazione, inammissibile.
2.3 Il terzo motivo è invece inammissibile.
Sostengono i ricorrenti che la mancata ricezione dell’avviso bonario ed il mancato esercizio, da parte dell’Agente della Riscossione, di chiamare in causa il terzo Ente impositore, avrebbero impedito alla loro dante causa di eccepire eventuali vizi di sottoscrizione dell’avviso di acce rtamento che, ai sensi dell’art . 42 del d.P.R. n. 600/1973, deve essere sottoscritto dal capo dell’Ufficio di riferimento o da un suo delegato appartenente alla carriera direttiva.
La censura in questione, tuttavia, non è mai stata sollevata nel corso del giudizio di merito, avendo la contribuente censurato la cartella impugnata per i seguenti vizi: inesistenza giuridica della notifica, per essere stata effettuata non per il tramite di un intermediario qualificato, a cagione della mancata sottoscrizione della relata di notifica apposta in calce all’originale e alla copia dell’atto; nullità della cartella in via
derivata ed illegittima; omessa notifica dell’avviso bonario e conseguente mancata instaurazione del contraddittorio sulla procedura di accertamento (errata applicazione dell’art. 36 -ter del d.P.R. n. 600/1973, degli artt. 6, comma 5 e 10, comma 1, della legge n. 212/2000 nonché dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 362 del 1997); tardività della notifica per decorrenza del termine biennale concesso per il controllo formale della dichiarazione dei redditi; nullità della cartella di pagamento per inesistenza della pretesa tributaria, per avere il sostituto d’imposta assoggettato a tassazione importi che ne sarebbero esenti siccome previsti dalla legge 5 febbraio 1002, n. 104.
La censura riguardante un asserito vizio di sottoscrizione di un presunto avviso di accertamento, pertanto, è del tutto assente, il che rende il motivo in questione chiaramente inammissibile.
2.4. Anche il quarto motivo è inammissibile.
I ricorrenti censurano la sentenza impugnata per «omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione circa un punto decisione della controversia» , in relazione all’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c., per avere, la C.T.R., con riferimento alla doglianza inerente all’asserita inesistenza della pretesa tributaria, ritenuto inammissibile il motivo di appello, in quanto meramente riproduttivo delle censure contenute nel ricorso in primo grado (senza muovere contestazioni specifiche e concrete nei confronti della decisione della C.T.P.), salvo poi ritenerlo comunque infondato nel merito, per avere omesso, la parte contribuente, «un sia pur minimo elemento fattuale in grado di rendere percepibile e/o comprensibile il nesso di
causalità tra la pretesa rivendicata ( recte , la tipologia dei permesso utilizzati) e l’addebito formulato dall’Erario».
I ricorrenti invocano, a tal proposito, il vizio di cui all’art. 36 0, comma 1, num. 5), c.p.c., nel testo previgente rispetto alle modifiche introdotte con l’art. 54, comma 1, lett. b ), del d.l. n. 83/2012, conv. dalla legge n. 134/2012; in particolare, premesso che la sentenza impugnata è, in parte qua , pienamente motivata, il vizio di contradditoria o insufficiente motivazione non è più censurabile con ricorso per cassazione, a seguito delle citate modifiche, peraltro estensibili al giudizio tributario in forza delle modifiche all’art. 62 d.lgs. n. 546/1992 introdotte con l’art. 9, comma 1, lett. z ), del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156.
Sul punto, deve rilevarsi che il motivo in questione muove dalla errata premessa che l’art. 360, comma 1, num. 5), nella formulazione successiva alla riforma di cui al d.l. n. 83 del 2012, non sia applicabile al processo tributario, al quale sarebbe applicabile quindi la previgente formulazione, posto che il d.l. n. 83/2012 , all’ art. 54, comma 3bis , stabilisce che «le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al d.lgs. n. 31 dicembre 1992, n. 546».
Le SS.UU. di questa Corte, tuttavia, con la sentenza del 7 aprile 2014, n. 8053, hanno da tempo chiarito che le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui al d.l. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c., ed i limiti d’impugnazione della “doppia conforme” ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 348ter c.p.c., si applicano
anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del d.lgs. n. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, non ha connotazioni di specialità. Ne consegue che l’art. 54, comma 3bis , del d.l. n. 83/2012, quando stabilisce che «le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al d.lgs. n. 31 dicembre 1992, n. 546», si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito (in tal senso, v. Cass. 13 dicembre 2022, n. 36487).
Ciò rende il motivo in questione, formulato come insufficiente, contraddittoria o omessa motivazione, inammissibile in quanto non conforme al canone legale vigente ratione temporis (essendo infatti la sentenza impugnata stata pubblicata in data 5 febbraio 2016).
Il ricorso deve quindi essere rigettato.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza dei ricorrenti, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Ricorrono i presupposti processuali per il pagamento, da parte dei ricorrenti, di una somma di importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna COGNOME Bruno e COGNOME Chiara alla rifusione, in solido tra loro, in favore della Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a. , delle spese del presente giudizio, che si liquidano in €
2.300,00 per compensi, oltre 15% per rimborso spese generali, C.A.P. ed I.V.A.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento, da parte dei ricorrenti, di una somma di importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dov uto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Così deciso in Roma, l’11 settembre 2024.