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Cartella di pagamento: quando è legittima senza avviso?

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di alcuni contribuenti contro una cartella di pagamento per IRPEF. L’ordinanza stabilisce che l’agente della riscossione non è obbligato a chiamare in causa l’ente impositore (come l’Agenzia delle Entrate) quando viene contestato il merito della pretesa. Inoltre, chiarisce che l’invio dell’avviso bonario non è sempre necessario, ma solo se sussistono incertezze sulla dichiarazione dei redditi. Infine, la Corte ha ribadito i limiti stringenti per contestare la motivazione di una sentenza in Cassazione.

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Pubblicato il 14 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Cartella di pagamento: è valida anche senza avviso bonario?

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare luce su alcuni aspetti procedurali cruciali in materia di riscossione. Al centro del dibattito vi è la legittimità di una cartella di pagamento notificata a seguito di un controllo formale della dichiarazione dei redditi. La Suprema Corte ha affrontato due questioni fondamentali: l’obbligo per l’agente della riscossione di coinvolgere l’ente impositore nel giudizio e la necessità di un contraddittorio preventivo tramite il cosiddetto ‘avviso bonario’. Analizziamo la decisione per comprenderne le implicazioni pratiche per i contribuenti.

I fatti del caso: la notifica della cartella di pagamento

La vicenda ha origine dalla notifica, da parte dell’agente della riscossione, di una cartella di pagamento per maggiori imposte IRPEF dovute per l’anno 2006. La pretesa scaturiva da un controllo formale della dichiarazione dei redditi della contribuente originaria, ai sensi dell’art. 36-ter del d.P.R. 600/1973. La contribuente impugnava l’atto, ma sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale respingevano le sue doglianze. Gli eredi della contribuente decidevano quindi di presentare ricorso per cassazione.

I motivi del ricorso in Cassazione

Il ricorso degli eredi si fondava su quattro principali motivi:
1. Mancata chiamata in causa dell’ente impositore: Secondo i ricorrenti, poiché si contestava il merito della pretesa tributaria, l’agente della riscossione avrebbe dovuto obbligatoriamente chiamare in causa l’Agenzia delle Entrate.
2. Violazione del contraddittorio preventivo: Si lamentava la mancata notifica dell’avviso bonario, atto ritenuto necessario in presenza di ‘incertezze interpretative’ sulla dichiarazione, al fine di garantire il diritto di difesa del contribuente.
3. Vizio di sottoscrizione dell’atto presupposto: La mancata partecipazione al giudizio dell’ente impositore avrebbe impedito di eccepire un presunto vizio di sottoscrizione dell’avviso di accertamento.
4. Motivazione contraddittoria della sentenza d’appello: Si contestava la sentenza della Commissione Tributaria Regionale che, pur dichiarando inammissibile un motivo d’appello perché ripetitivo, lo aveva poi esaminato e rigettato nel merito.

L’analisi della cartella di pagamento: la decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo importanti chiarimenti su ciascuno dei punti sollevati. Vediamoli nel dettaglio.

Sulla chiamata in causa dell’ente impositore

La Corte ha ribadito un principio consolidato: nelle controversie tributarie non esiste un ‘litisconsorzio necessario’ tra l’agente della riscossione e l’ente impositore. Il contribuente può agire contro l’uno o l’altro. L’onere di chiamare in giudizio l’ente titolare del credito spetta all’agente della riscossione, se quest’ultimo non vuole rispondere delle conseguenze di un’eventuale soccombenza. È una sua facoltà, non un obbligo imposto dal giudice. Nel caso specifico, l’agente ha legittimamente scelto di non farlo, assumendosi la piena responsabilità della lite.

Sull’obbligo di contraddittorio preventivo e la cartella di pagamento

Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La giurisprudenza è costante nell’affermare che l’obbligo di inviare un avviso bonario prima della cartella di pagamento non è assoluto. Esso sorge solo ‘qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione’. Nel caso in esame, i giudici di merito avevano accertato, con una valutazione di fatto non sindacabile in Cassazione, che non vi erano tali incertezze. Pertanto, la procedura seguita dall’amministrazione era corretta.

Sulle nuove censure in Cassazione

Il terzo motivo è stato dichiarato inammissibile perché la questione del presunto vizio di sottoscrizione dell’atto presupposto non era mai stata sollevata nei precedenti gradi di giudizio. Introdurre una censura per la prima volta in Cassazione costituisce una violazione delle regole processuali.

Sulla motivazione della sentenza d’appello

Infine, la Corte ha respinto anche il quarto motivo, chiarendo un importante aspetto processuale. I ricorrenti invocavano il vizio di ‘insufficiente e contraddittoria motivazione’ secondo la vecchia formulazione dell’art. 360, n. 5), c.p.c. Tuttavia, la Corte ha confermato che anche al processo tributario si applica la nuova e più restrittiva versione della norma, introdotta nel 2012. Questa non consente più di censurare la motivazione per insufficienza o contraddittorietà, ma solo in caso di ‘omessa motivazione’ su un fatto decisivo. Il motivo è stato quindi dichiarato inammissibile perché non conforme alla normativa vigente ratione temporis.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su principi giurisprudenziali consolidati e su una stretta interpretazione delle norme processuali. In primo luogo, la distinzione tra la facoltà e l’obbligo di chiamata in causa dell’ente impositore è fondamentale per definire le responsabilità processuali dell’agente della riscossione. In secondo luogo, la limitazione dell’obbligo del contraddittorio preventivo ai soli casi di effettiva incertezza dichiarativa mira a bilanciare il diritto di difesa del contribuente con l’esigenza di efficienza dell’azione amministrativa. Infine, il rigore nell’applicazione dei limiti all’impugnazione per cassazione, in particolare per i vizi di motivazione, conferma il ruolo della Suprema Corte come giudice di legittimità, non di merito.

Le conclusioni

L’ordinanza riafferma che la notifica di una cartella di pagamento senza un previo avviso bonario è legittima quando la pretesa fiscale deriva da un controllo formale che non presenta particolari dubbi interpretativi. Il contribuente che intende contestare l’atto deve essere consapevole che l’agente della riscossione non è tenuto a coinvolgere l’ente impositore, pur assumendosene il rischio. Questa pronuncia sottolinea inoltre l’importanza di formulare correttamente i motivi di ricorso, rispettando i limiti processuali previsti per ogni grado di giudizio, specialmente per quello di legittimità.

Quando si contesta una cartella di pagamento, l’agente della riscossione è obbligato a chiamare in causa l’Agenzia delle Entrate?
No. Secondo la Corte, non esiste un litisconsorzio necessario tra l’agente della riscossione e l’ente impositore. L’agente della riscossione ha la facoltà, ma non l’obbligo, di chiamare in causa l’ente titolare del credito per non rispondere delle conseguenze della lite; il giudice di merito non è tenuto a ordinare tale chiamata.

L’amministrazione finanziaria deve sempre inviare un ‘avviso bonario’ prima di notificare una cartella di pagamento a seguito di controllo formale?
No. L’obbligo del contraddittorio preventivo, tramite avviso bonario, sorge solo ‘qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione’. Se il controllo formale non evidenzia tali incertezze, la notifica diretta della cartella di pagamento è legittima.

È possibile contestare per la prima volta in Cassazione un vizio della sentenza d’appello per ‘motivazione contraddittoria’?
No. La Corte ha chiarito che, a seguito delle riforme del 2012, il vizio di motivazione denunciabile in Cassazione è limitato all’ipotesi di ‘omessa motivazione su un punto decisivo’. Non è più possibile censurare una sentenza per ‘insufficiente’ o ‘contraddittoria’ motivazione, come previsto dalla normativa precedente. Pertanto, un motivo di ricorso così formulato è inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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