Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9084 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9084 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 25176/2018 proposto da:
Avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso da se stesso, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
Indirizzo Pec: EMAIL
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Entrate-Riscossione, nelle persone dei rispettivi Direttori pro tempore, rappresentate e difese dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrenti –
Comune di Casoria, nella persona del legale rappresentante pro tempore ;
-intimato- avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA n. 5486/2018, depositata in data 8 giugno 2018, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dall’Avv. NOME COGNOME avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso avente ad oggetto la cartella di pagamento dell’importo di euro 406.838,89, emessa per omesso versamento Irpef ed Iva, in relazione all’anno d’imposta 2021, nonché per Tosap, a seguito di controllo automatizzato ex art. 36 bis del d.P.R. n. 633 del 1972.
I giudici di secondo grado hanno affermato che:
-) la notifica era stata eseguita regolarmente, consentendo la piena conoscenza dell’atto da parte del destinatario che lo aveva ritirato presso la casa comunale, potendo poi esercitare il diritto alla proposizione di gravame e l’atto aveva pienamente conseguito i suoi effetti, in mancanza di vizi nel procedimento di notificazione, che sarebbero stati comunque sanati, ex art. 156, terzo comma, cod. proc. civ.;
-) la procedura di avviso bonario prevista dall’art. 36 ter del d.P.R. n. 602 del 1973 non era necessaria in caso di emissione di atti impositivi scaturenti da controlli automatizzati, ex art. 36 bis del d.P.R. n. 602 del 1973 che si concretava in una mera messa a ruolo
di imposte dichiarate e non versate ed essendo il controllo scaturente dalla stessa dichiarazione formulata dalla parte;
-) quanto alle altre eccezioni proposte, definite pretestuose dai giudici di primo grado con richiamo alle deduzioni svolte sul punto dall’Agenzia delle Entrate nei suoi atti difensivi, tale motivazione, oltre ad essere condivisa, appariva adeguata, non essendo il giudice di merito tenuto a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, ma essendo sufficiente l’indicazione degli elementi su cui fondare il proprio convincimento, così come fatto richiamando le deduzioni svolte dall’Ufficio.
L’Avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a otto motivi e successive memorie.
L’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Entrate-Riscossione resistono con controricorso.
Il Comune di Casoria non ha svolto difese.
CONSIDERATO CHE
Il primo mezzo deduce , in relazione all’a rt. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 331 cod. proc. civ., con riferimento alla mancata integrazione del contraddittorio sostanziale e processuale nei confronti del Comune di Casoria e, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 291 cod. proc. civ., in quanto la cartella di pagamento contemplava due enti creditori, ovvero l’Agenzia delle Entrate di Caserta e il Comune di Caserta.
1.1 Il motivo è infondato, dovendosi richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in materia di impugnazione della cartella esattoriale, non esiste un’ipotesi di litisconsorzio necessario, tale da legittimare a contraddire nel relativo giudizio an che l’Ente impositore, in presenza di vizi propri della cartella di pagamento impugnata (come nel caso in esame), mentre quando la legittimazione passiva spetta
all’ente titolare del credito tributario e non già al concessionario, su quest’ultimo, se è fatto destinatario dell’impugnazione, incombe l’onere di chiamare in giudizio l’ente predetto, se non vuole rispondere all’esito della lite, non essendo il giudice tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non è con figurabile nella specie un litisconsorzio necessario (così Cass., 24 aprile 2018, n. 10019; Cass., 14 maggio 2014, n. 10477; Cass., 7 maggio 2013, n. 10646; Cass., 5 ottobre 2012, n. 16990; Cass., 27 giugno 2011, n. 14032).
1.2 Le Sezioni Unite di questa Corte, peraltro, di recente, hanno ribadito il principio che nelle cause scindibili non vi è l’obbligo di integrare il contraddittorio nei confronti delle parti del giudizio di primo grado e hanno statuito il seguente principio di diritto: « Nel processo tributario, in tema di giudizio con pluralità di parti, l’art. 53, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, laddove prevede la sua proposizione nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado, non fa venir meno la distinzione tra cause inscindibili, dipendenti e scindibili, così come delineata dalle regole processual-civilistiche, e pertanto, nei limiti del rispetto delle regole prescritte dagli artt. 331 e 332, cod. proc. civ., applicabili al processo tributario, non vi è l’obbligo di integrare il contraddittorio nei confronti delle parti, pur presenti nel giudizio di primo grado, il cui interesse alla partecipazione al grado d’appello, per cause scindibili, sia venuto meno ».
Il secondo mezzo deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, degli artt. 139 e 140 cod. proc. civ., nonché dell’art. 156, terzo comma, cod. proc. civ., e dell’art. 23 Cost. sull’inesistenza e/o nullità della notifica della cartella di pagamento e sulla inidoneità della norma processuale di sanatoria degli atti processuali ad avere efficacia
sugli atti amministrativi tributari, con conseguente nullità anche dell’atto tributario.
2.1 Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza perché, in mancanza di trascrizione della cartella impugnata nel corpo del ricorso, non è concessa a questa Corte la possibilità di verificare la corrispondenza del contenuto dell’atto rispetto a quanto asserito dalla contribuente; ciò che comporta il radicale impedimento di ogni attività nomofilattica, la quale presuppone appunto la certa conoscenza del tenore della cartella in discorso (Cass., 6 novembre 2019, n. 28570; Cass., 30 novembre 2018, n. 31038; Cass., 29 luglio 2015, n. 16010).
2.2 Il motivo è pure inammissibile perché censura l’apprezzamento in fatto operato dai giudici del merito sulla regolarità della notifica della cartella di pagamento tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili (« In merito alla questione afferente la notifica dell’atto impugnato, questa Commissione condivide integralmente quanto ritenuto dai giudici di prime cure, rilevando che la notifica è stata eseguita regolarmente, consentendo la piena conoscenza dell’atto da parte del destinatario che lo ha ritirato presso la casa comunale, potendo poi esercitare il diritto alla proposizione di gravame. L’atto ha pienamente conseguito i suoi effetti, in mancanza di vizi nel procedimento di notificazione, che sarebbero stati comunque sanati, ex art. 156 terzo comma c.p.c.») dal momento che, nell’ambito del giudizio di legittimità non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., 26 ottobre 2021, n. 30042; Cass., 7 marzo 2018, n. 5355; Cass., 7 aprile 2017, n. 9097).
2.3 Va, inoltre, precisato che « In tema di notifica della cartella di pagamento, l’inesistenza è configurabile, oltre che in caso di totale
mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto quale notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale, nella categoria della nullità, sanabile con efficacia “ex tunc” per raggiungimento dello scopo » (Cass., 28 ottobre 2016, n. 21865; Cass., Sez. U., 20 luglio 2016, n. 14916) e che la proposizione del ricorso del contribuente avverso una cartella esattorial e produce l’effetto di sanare le nullità della notificazione della cartella stessa per raggiungimento dello scopo dell’atto, ex art. 156 c od. proc. civ., « in quanto la natura sostanziale e non processuale della cartella di pagamento non osta, infatti, all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria, sicché il rinvio disposto dall’art. 26, comma 5, del d.P.R. n. 602 del 1973 (in tema di notifica della cartella di pagamento) all’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 (in materia di notificazione dell’avviso di accertamento), il quale, a sua volta, rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile, comporta, in caso di nullità della notificazione della car tella di pagamento, l’applicazione dell’istituto della sanatoria » ( Cass., 30 ottobre 2018, n. 27561; Cass., 5 marzo 2019, n. 6417).
Il terzo mezzo deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 118, primo comma, disp. att. cod. proc. civ., richiamato dall’art. 1 del decreto legislativo n. 546 del 1992, nonché dell’art. 36 del decreto legi slativo n. 546 del 1992, per mancata declaratoria di nullità della sentenza di primo grado per mancanza di motivazione e ricostruibilità della ratio decidendi sul rigetto dei subordinati motivi di merito del ricorso introduttivo. La sentenza impugnata non solo non aveva ritenuto nulla la motivazione della sentenza di primo grado sui motivi di merito, riguardanti anche l’impugnativa dell’imposta comunale del Comune di
Casoria, ma la aveva addirittura richiamata a motivazione del rigetto dei motivi di merito introduttivi, ritenendoli pretestuosi.
3.1 Anche il terzo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza per la mancata trascrizione nel ricorso per cassazione dello specifico contenuto dei « subordinati motivi di merito del ricorso introduttivo », inerenti anche la pretesa tributaria del Comune di Casoria, e dei motivi di appello, dovendosi precisare che il difetto di motivazione della sentenza di primo grado non può mai portare ad un annullamento della sentenza stessa, ma piuttosto ad una integrazione del vizio di motivazione dedotto, stante che il processo tributario non è annoverabile tra quelli di «impugnazione – annullamento», ma tra quelli di «impugnazione – merito», in quanto non è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, che dell’accertamento dell’ufficio (Cass., 17 aprile 2023, n. 10117).
3.2 Più specificamente va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte – vale anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino errori da parte del giudice di merito (Cass., 13 marzo 2018, n. 6014; Cass., 20 luglio 2012, n. 12664; Cass., 10 gennaio 2012, n. 86) e che il ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza, deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicché il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di
inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (Cass., 15 luglio 2015, n. 14784; Cass., 27 luglio 2017, n. 18679; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34469).
3.3 Con riguardo, poi, al tema di specificità dei motivi di ricorso, questa Corte, da ultimo, ha avuto occasione di precisare che « Ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. – quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito » ( Cass., Sez. U., 18 marzo 2022, n. 8950).
3.4 Il principio, escludendo l’eccessivo rigore nella imposizione di oneri di integrale trascrizione e allegazione di documenti, ha comunque sottolineato come i motivi debbano comunque indicare puntualmente, per le parti di rilievo, il contenuto degli atti richiamati, in modo da consentire al giudice l’esatta comprensione e portata della doglianza, oltre che l’esatta collocazione del documento nel fascicolo di causa.
3.5 Dunque, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve invero essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può
pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (cfr. Cass. Sez. U., 18 marzo 2022, n. 8950), ovvero deve ritenersi rispettato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi, avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali (cfr. Cass., 19 aprile 2022, n. 12481), e non può invece ritenersi rispettato qualora il motivo di ricorso faccia rinvio agli atti allegati e contenuti nel fascicolo di parte senza riassumerne il contenuto al fine di soddisfare il requisito ineludibile dell’autonomia del ricorso per cassazione, fondato sull’idoneità del contenuto delle censure a consentire la decisione (cfr. Cass., 1 marzo 2022, n. 6769).
3.6 L’osservanza del principio di autosufficienza avrebbe imposto, nel caso in esame, l’onere per il ricorrente di trascrivere integralmente i « subordinati motivi di merito del ricorso introduttivo », oltre che i motivi di gravame, il cui contenuto costituisce l’imprescindibile termine di riferimento per l’esame della censura sollevata e la mancata trascrizione, nell’odierno ricorso, dello specifico contenuto di tale atto impedisce, all ‘evidenza , la necessaria verifica dell’astratta idoneità del motivo di ricorso per cassazione ad incrinare il fondamento logico giuridico delle argomentazioni che sorreggono la decisione impugnata. 4. Il quarto mezzo deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 6, del decreto legislativo n. 85 del 2003, per inesistenza della cartella derivante dal fatto che è stata confezionata con modalità PDF, laddove anche la firma dell’atto esattivo risultava non digitale e, quindi, privo di esistenza e, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per omesso esame di un fatto decisivo della controversia.
4.1 Il motivo è inammissibile perché formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874) e ciò anche a volere accogliere l’orientamento meno rigoroso che subordina l’ammissibilità del motivo frutto di mescolanza (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874), alla condizione che lo stesso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto, stante che nel caso in esame non risulta minimamente specificato quale sarebbe il fatto decisivo di cui il ricorrente lamenta genericamente l’omesso esame.
4.2 La censura formulata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., è pure inammissibile per violazione dell’art. 348 ter , ultimo comma, cod. proc. civ., stante il rigetto dell’appello principale statuito dalla Corte di merito e non avendo la parte attuale ricorrente specificato in ricorso le ragioni di fatto poste rispettivamente a fondamento della decisione di primo e di secondo grado, così dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., 11 maggio 2018, n. 11439; Cass., 26 gennaio 2021, n. 1562; Cass., 9 marzo 2022, n. 7724).
4.3 La censura, poi, dove deduce il mancato esame di un «motivo di appello» (quello in cui si lamentava la mancata sottoscrizione della
cartella nelle forme di legge) è inammissibile, in quanto l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, dello stesso codice, che consente alla parte di chiedere – e al giudice di legittimità di effettuare -l’esame degli atti del giudizio di merito, nonché, specificamente, dell’atto di appello, mentre è inammissibile ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. (Cass., 27 ottobre 2014, n. 22759) e sotto tale specifico profilo rileva anche un difetto di autosufficienza della censura, stante che, nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del «fatto processuale», intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca (Cass., 14 ottobre 2021, n. 28072).
Il quinto mezzo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 ter del d.P.R. n. 600 del 1973 per la nullità della cartella di pagamento
per mancata notifica dei preventivi avvisi bonari di accertamento; l’omesso esame e motivazione su fatti decisivi della controversia esaminati nel corso del giudizio ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. e la violazione e falsa applicazione dell’ art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. ex art. 360, primo comma n. 3, cod. proc. civ. e la nullità della sentenza per motivazione apparente ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.. La sentenza impugnata aveva supinamente fatto proprie le te si dell’Agenzia delle Entrate ritenendo non necessari i preventivi avvisi bonari di accertamento, perché si trattava di avvisi ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973.
5.1 La censura di omesso esame di fatto decisivo ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. è ancora una volta inammissibile per violazione dell’art. 348 ter, ultimo comma, cod. proc. civ., mentre i restanti profili di censura di violazione di legge e di vizio di motivazione sono infondati.
5.2 Con specifico riferimento al primo profilo di censura deve precisarsi che il c.d. «controllo automatizzato» in sede di liquidazione dell’imposta, di cui all’art. 36 bis , secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, attribuisce all’amministrazione finanziaria, il potere di provvedere, all’esito di un controllo formale effettuato mediante procedure automatizzate, « sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria » (analogamente a quanto stabilito dall’omologa disposizione dell’art. 54 bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633) e non prevede lo svolgimento di alcuna attività di ricerca di informazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria, escludendo pertanto la possibilità di una diversa ricostruzione sostanziale dei dati esposti dal contribuente nella dichiarazione, una vera e propria valutazione o stima degli stessi e la risoluzione di questioni giuridiche, fatta salva l’applicazione di norme giuridiche che sia «diretta e immediata» (cfr. sia con riferimento
all’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, che con riferimento all’art. 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, Cass., 15 settembre 2021, n. 24813; Cass., 19 novembre 2019, n. 29978; Cass., 23 novembre 2018, n. 30391; Cass., 16 novembre 2018, n. 29582;, Cass., 20 febbraio 2017, n. 4360; Cass, 27 aprile 2018, n. 10204; Cass., Sez. U., 8 settembre 2016, n. 17758).
5.3 Viceversa, il controllo formale di cui all’art. 36 ter , secondo comma, lett. b), del d.P.R. n. 600 del 1973, consente all’Ufficio di « escludere in tutto o in parte le detrazioni d’imposta non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti » e non limita la conoscenza dell’Amministrazione ai dati ed agli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni o già in possesso dell’anagrafe tributaria, ma consente una, sia pur ridotta, attività istruttoria (Cass., 18 marzo 2015, n. 5373), disciplinata dal terzo comma e seguita, a pena di nullità, dalla comunicazione dell’esito motivato del controllo, che assolve ad una funzione di garanzia e realizza la necessaria interlocuzione tra l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente prima dell’iscrizione al ruolo, in ciò differenziandosi dalla comunicazione della liquidazione della maggiore imposta ex art. 36 bis dello stesso decreto, che avviene all’esito di un controllo meramente cartolare ed ha il solo scopo di evitare al contribuente la reiterazione di errori e di consentirgli la regolarizzazione di aspetti formali, per cui l’eventuale omissione non incide sull’esercizio del diritto di difesa e non determina alcuna nullità (Cass., 4 luglio 2014, n. 15311, in motivazione, sulla distinzione tra le due fattispecie di controllo), salvo che non sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione controllata (Cass., 21 novembre 2017, n. 27716).
5.4 Questa Corte, poi, con riferimento alla liquidazione «cartolare» di cui all’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, ha precisato che la notifica della cartella di pagamento a seguito di controllo automatizzato è legittima anche se non è stata emessa la comunicazione preventiva
prevista dal terzo comma dell’art. 36 bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ogni qual volta la pretesa derivi dal mancato versamento di somme esposte in dichiarazione dallo stesso contribuente ovvero da una divergenza tra le somme dichiarate e quelle effettivamente versate. Infatti, la comunicazione preventiva all’iscrizione a ruolo è necessaria solo quando vengano rilevati degli errori nella dichiarazione, mentre in caso di riscontrata regolarità dichiarativa non vi è alcun obbligo di preventiva informazione se il contribuente ha poi omesso di versare gli importi dichiarati, o, con riferimento all ‘art. 6, comma 5, della legge n. 212 del 2000, se non «sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione » (cfr. Cass., 25 maggio 2012, n. 8342; Cass., 4 luglio 2014, n. 13311; Cass., 17 dicembre 2019, n. 33344).
5.5 Nel caso, peraltro, di comunicazione dell’esito della liquidazione (c.d. comunicazione di irregolarità) prevista dal terzo comma dell’art. 36 bis d.P.R. n. 600/73 « quando dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero dai controlli eseguiti dall’ufficio, ai sensi del comma 2-bis, emerge un’imposta o una maggiore imposta », il relativo obbligo imposto all’amministrazione non è sanzionato da alcuna nullità; si tratta infatti, come è stato osservato, di una forma blanda di partecipazione del contribuente nel procedimento, inidonea a generare un vincolo procedimentale in termini di obbligatoria attivazione del contraddittorio endoprocedimentale. Tanto si giustifica in considerazione del maggiore grado di attendibilità delle irregolarità riscontrabili, cui non può che corrispondere una conseguente irrilevanza della violazione di tale disciplina partecipativa ai fini della validità del consequenziale provvedimento di iscrizione a ruolo. Nei procedimenti ordinari di liquidazione dei tributi dovuti in base alle dichiarazioni, in considerazione dell’elevato grado di attendibilità delle irregolarità riscontrabili, lo svolgimento di un effettivo contraddittorio fra ufficio e contribuente, ad avviso del legislatore, non rappresenta
una fase indispensabile dei procedimento, essendo sempre possibile per il contribuente far valere eventuali doglianze in punto di illegittimità della pretesa impositiva in sede di impugnazione del consequenziale provvedimento di iscrizione a ruolo ( cfr. Cass., 17 dicembre 2019, n. 33344).
5.6 Con riferimento, poi, al contraddittorio endoprocedimentale imposto dall’art. 6, comma 5, della legge n. 212 del 2000 (obbligo bensì sanzionato, a differenza del primo, con la nullità in caso di inadempimento) è utile ribadire che, secondo orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità esso non è imposto « in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis, ma soltanto “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo; del resto, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione, non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso » (Cass., 21 novembre 2017, n. 27716; Cass., 10 giugno 2015, n. 12023; Cass., 8 luglio 2014, n. 15584).
5.7 Nella specie, la Commissione tributaria regionale ha affermato, a pag. 2 della sentenza impugnata, che la procedura di avviso bonario ex art. 36 ter del d.P.R. n. 600 del 1973 non era necessaria in caso di emissione di atti impositivi scaturenti da controlli automatizzati ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, che si concretizzava in una mera messa a ruolo di imposte dichiarate e non versate e che il controllo era scaturito dalla stessa dichiarazione presentata dalla parte, così sostanzialmente ritenendo, peraltro con un accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, che non sussisteva «alcuna incertezza su
aspetti rilevanti della dichiarazione» (che, peraltro, il ricorrente non specifica nemmeno in questa sede), essendo stati iscritti a ruolo i soli tributi che lo stesso contribuente aveva riconosciuto dovuti e di cui aveva omesso il pagamento, con la conseguenza che, ai fini della validità della cartella, non era necessaria la preventiva comunicazione del c.d. avviso bonario. Non rileva, dunque, contrariamente a quanto ripetutamente ribadito dal ricorrente, la circostanza che l’Ufficio si sia comunque determinato ad inviare degli avvisi bonari e che questi non siano stati ricevuti dal contribuente, rilevando unicamente le modalità dell’accertamento operato in concreto dall’Ufficio.
5.8 Non sussiste, dunque, nemmeno il difetto di motivazione eccepito, perché la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., 5 luglio 2022, n. 21302; Cass., 1 marzo 2022, n. 6758), mentre, nel caso di specie, la sentenza impugnata è adeguatamente motivata, non essendosi limitata a richiamare la giurisprudenza di legittimità, ma ha anche spiegato le ragioni poste a fondamento della decisione; si tratta, dunque, di una motivazione esistente, correlata alla fattispecie concreta portata alla sua cognizione, e sufficiente ad evidenziare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale e funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione.
6. Il sesto mezzo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 e recepito, per la specifica materia tributaria dall’art. 7 della legge n. 212 del 2000 e, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omessa motivazione su fatti decisivi della
contro
versia, con conseguente nullità della cartella esattoriale per vizio della motivazione relativo alla dizione criptica di «omesso o carente versamento».
7. Il settimo mezzo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973 (indicante la data in cu il ruolo era stato reso esecutivo) e degli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 602 del 1973 (che richiamava l’iscrizione sic et sempliciter degli «interessi»), riguardante la nullità della cartella per mancata indicazione del conteggio e/o modalità di calcolo degli interessi, nonché delle aliquote, del periodo di riferimento e dei tassi applicati, nonché per applicazione degli interessi moratori anche alle sanzioni; in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ.. La sentenza impugnata era incorsa, al pari della sentenza di primo grado, in una omessa motivazione, tanto più che i giudici di merito non si erano peritati ad affermare come il rigetto di uno dei motivi rendesse superfluo l’esame degli altri.
7.1 Il sesto e settimo motivo, che vanno trattati unitariamente, perché connessi in quanto involgono entrambi il vizio di motivazione della cartella impugnata, oltre ad essere inammissibili per difetto di specificità, sono infondati.
7.2 Ed invero, sebbene in via generale la cartella esattoriale, che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, debba essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, tale obbligo di motivazione deve essere differenziato a seconda del contenuto prescritto per ciascuno tipo di atto, sicché, nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata emessa in seguito a liquidazione effettuata in base alle dichiarazioni rese dal contribuente ai sensi degli artt. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54
bis del d.P.R. n. 633 del 1972, l’obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a tali dichiarazioni perché, essendo il contribuente già a conoscenza delle medesime, non è necessario che siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa (cfr. Cass., 17 dicembre 2019, n. 33344; Cass., 20 settembre 2017, n. 21804).
7.3 Di recente, poi, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la cartella di pagamento, allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il «quantum» del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata – con riguardo al calcolo degli interessi nel frattempo maturati – attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo per gli ulteriori accessori, indicazione che soddisfa l’obbligo di motivazione prescritto dall’art. 7 della legge n. 212 del 2000 e dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990 (cfr. Cass., Sez. U., 14 luglio 2022, n. 22281).
7.4 Il vizio di omessa motivazione peraltro è, in ogni caso, infondato, in quanto la Commissione tributaria regionale ha espressamente affermato, alle pagine 3 e 4 della sentenza impugnata, che la motivazione della sentenza di primo grado, oltre ad essere condivisa, era adeguata, non essendo il giudice di merito tenuto a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, ma essendo sufficiente l’indicazione degli elementi sui quali intendeva fondare il proprio convincimento, cosa che i giudici di primo grado avevano fatto richiamando le deduzioni svolte dall’Ufficio.
8. L’ottavo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., per omesso esame del motivo relativo all’iscrizione a suolo della Tosap da parte del Comune di Casoria relativamente al presunto accertamento che risultava essere stato notificato in data 15 dicembre 2014 e la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 161, della legge n.
296 del 2006, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc civ.; omessa motivazione di un fatto decisivo della controversia oggetto di dibattito nei giudizi di primo e secondo grado ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ..
8.1 Il motivo, che riproduce in parte i profili di censura relativi al litisconsorzio necessario con il Comune di Casoria di cui si è già detto con riferimento al primo motivo di ricorso, è inammissibile per difetto di autosufficienza non essendo stato trascritto il contenuto della cartella di pagamento con specifico riferimento al vizio di motivazione sulla causale della riscossione (mancata denuncia o mancato pagamento) , del ricorso introduttivo del giudizio e dell’atto di appello nelle parti relative all ‘omesso pagamento e/o omessa denuncia della Tosap relativa all’anno 2009, con specifico riguardo alla dedotta decadenza della pretesa fiscale e alla mancata notifica dell’accertamento che dalla cartella risultava, invece, notificato in data 15 dicembre 2014; al decorso del termine di cinque anni e alla esecutività del ruolo notificato in data 23 maggio 2016.
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, sostenute dalle Agenzie controricorrenti e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore delle Agenzie controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.200,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 12 febbraio 2025.