Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 742 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 742 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
IRPEF CARTELLA PAGAMENTO
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11368/2015 R.G. proposto da:
NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione e rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende,
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LIGURIA, n. 1121/14, depositata il 21/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15 novembre 2023 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME ricorre nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe. Con quest’ultima la C.t.r. ha accolto l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza della C.t.p. di La Spezia che, invece, aveva accolto il ricorso del contribuente avverso la cartella di pagamento emessa a seguito di sentenza della C.t.r. di Genova, passata in giudicato per mancata impugnazione. Detta ultima, a propria volta, aveva ritenuto parzialmente legittimo l’avviso di accertamento con il quale era stato rideterminato il reddito del contribuente.
La C.t.p. annullava la cartella di pagamento assumendo che la sentenza, pur avendo ritenuto parzialmente legittimo l’avviso di accertamento, aveva omesso di indicare il quantum dovuto il quale, di conseguenza, non poteva essere calcolato sulla base di parametri certi; riteneva, per l’effetto , che restava preclusa per l’Amministrazione l’emissione della cartella.
3 . La C.t.r. accoglieva l’appello dell’Ufficio rilevando che la cartella, emessa a seguito dell’iscrizione a ruolo di somme portate da sentenza passata in giudicato, era legittima in quanto rispecchiava il dispositivo di quest’ultima.
Considerato che:
Il primo motivo di ricorso ( sub A) è così articolato: «omessa motivazione dell’assunto centrale della decisione impugnata e manifesta illogicità dell’assunto medesimo adottato in ordine a tale punto».
Il contribuente censura la sentenza impugnata per aver ritenuto legittima la cartella e per aver affermato che la stessa rispecchiava il dispositivo della sentenza in ragione della quale erano state iscritte a
ruolo le somme ivi portate. Assume che tale affermazione non è motivata, non essendo spiegato come potesse desumersi la somma dovuta o i criteri di calcolo.
Il secondo motivo di ricorso ( sub B) è così articolato: «contraddittorietà-manifesta illogicità della motivazione».
Il ricorrente assume -per il caso in cui si traesse l’esistenza della motivazione in ragione di quanto espresso nei capi di pag. 2 e 3 della sentenza -che quanto ivi affermato esula dal tema del ricorso che non investiva il merito della pretesa oggetto dell’originario atto impositivo , bensì l’illegittimità formale della cartella. Ribadisce che la sentenza in ragione della quale era stata emessa la cartella, non stabilendo quale fosse il debito del contribuente, non poteva giustificare l’emissione del ruol o, sicché l’Ente impositore avrebbe dovuto avviare un nuovo procedimento di determinazione dell’imposta.
Il terzo motivo di ricorso ( sub C) denuncia vizio di ultrapetizione.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che il contribuente non aveva provato la congruità della propria posizione fiscale. Afferma che questo era l’oggetto del primo giudizio tributario e che, invece, quello introdotto con l’impugnazione della cartella, non aveva ad oggetto il merito della pretesa tributaria, bensì il carattere abnorme del «modus in procedendo».
Con il quarto motivo di ricorso ( sub D) denuncia la violazione di legge e la mancata applicazione dell’art. 5 d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218.
Assume che, poiché la sentenza passata in giudicato non indicava i criteri per rideterminare l’imposta, la nuova quantificazione sarebbe dovuta avvenire nel rispetto del contraddittorio.
Con il quinto motivo di ricorso ( sub E) denuncia la violazione di legge e la mancata applicazione dell’art. 7 legge 27 luglio 2000, n. 212.
Assume che, poiché la sentenza passata in giudicato non indicava i criteri per rideterminare l’imposta, la quantificazione del dovuto sarebbe dovuta avvenire nel rispetto del principio di chiarezza e motivazione.
Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente che denuncia l’ omessa indicazione del paradigma normativo cui ricondurre i vizi denunciati.
Il ricorso contiene tutto quanto necessario a porre il giudice di legittimità in condizione di avere completa cognizione della controversia e del suo oggetto, nonché di cogliere il significato e la portata delle censure contrapposte. Inoltre, i motivi rientrano nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ. se pure non espressamente menzionate. Ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, non costituisce condizione necessaria la corretta menzione dell’ipotesi appropriata, tra quelle in cui è consentito adire il giudice di legittimità, purché si faccia valere un vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia (Cass. 21/01/2013, n. 1370).
Il primo motivo ed il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.
7.1. La mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., (e nel caso di specie dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992) e riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., si configura quando questa manchi del tutto -nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, risultante dallo svolgimento del processo, segue l’enunciazione della decisione, senza alcuna argomentazione -ovvero nel caso in cui essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di
riconoscerla come giustificazione del decisum . (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053; successivamente, tra le tante, Cass. 01/03/2022, n. 6626; Cass. 25/09/2018, n. 22598).
Le Sezioni Unite della Corte hanno, altresì, precisato che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , allorquando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguìto dal giudice per la formazione del proprio convincime nto, cioè tali da lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Come ricordato da ultimo da Cass. 23/05/2022, n. 16653).
Nel giudizio di legittimità è denunciabile, pertanto, solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé (Cass. Sez U. 27/12/2019 n. 34476).
7.2. La sentenza impugnata non incorre nel vizio denunciato. La C.t.r., infatti, ha evidenziato che la cartella di pagamento era stata emessa a s eguito dell’ iscrizione a ruolo delle somme dovute in ragione di sentenza passata in giudicato e che la cartella era conforme al dispositivo di quest’ultima .
Pertanto, la sentenza contiene espressamente le ragioni del decisum ed appare congruamente, se pure sinteticamente motivata, avendo dato espressamente conto dei requisiti ritenuti essenziali ai fini della legittimità della cartella.
7.3. Piuttosto, deve rilevarsi che il ricorrente mira a una rivalutazione del ragionamento decisorio che ha portato il giudice del merito a ritenere che la cartella fosse corrispondete a quanto risultante dal dispositivo della sentenza. Così facendo, il ricorrente, pur
deducendo, apparentemente, una violazione di norme di legge, mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 04/07/ 2017, n. 8758). Oggetto del giudizio che si si demanda a questa Corte non è l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla valutazione del giudice di merito (Cass. 13/05/2022, n. 17744, Cass. 05/02/ 2019, n. 3340; Cass. 14/01/ 2019, n. 640; Cass. 13/10/ 2017, n. 24155; Cass. 04/04/ 2013, n. 8315).
8. Il terzo motivo è infondato.
8.1. Questa Corte ha chiarito che il vizio di ultra-petizione o extrapetizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione ( petitum o causa petendi ), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto ( petitum immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso ( petitum mediato, così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cfr. Cass. 21/03/2019, n. 8048).
8.2. Nel caso in esame, la C.t.r. si è pronunciata sulla legittimità della cartella emessa a seguito di sentenza passata in giudicato e non sulla pretesa tributaria già definitivamente accertata. La circostanza che nella parte motiva abbia fatto comunque cenno alla originaria pretesa -per affermare che il contribuente neppure in quel giudizio aveva offerto validi elementi per confutarla -non ha influito sull’oggetto della decisione; l’affermazione, pertanto, se pure eccentrica rispetto al thema decidendum, non si è tradotta né nell’adozione di un provvedimento diverso da quello richiesto (ovver o l’annullamento della cartella ) né nella negazione di un bene della vita diverso da quello conteso, in quanto la C.t.r. non ha in alcun modo
inciso con la sua pronuncia sul titolo sotteso alla cartella, pronunciandosi esclusivamente su quest’ultima.
Il quarto ed il quinto motivo, da trattarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.
9.1. La cartella di pagamento è stata emessa a seguito di sentenza passata in giudicato; secondo quanto ritenuto in fatto dalla C.t.r. la medesima rispondeva a quanto ivi statuito. In detta fattispecie il titolo che legittima la riscossione non è l’accertamento o il ruolo, bensì il titolo giudiziale.
9.2. Per giurisprudenza costante di questa Corte, l’indicazione nella cartella di pagamento degli estremi degli atti costituenti il presupposto della stessa -ossia dell’avviso di accertamento notificato alla contribuente e della sentenza passata in giudicato, emessa all’esito dell’impugnazione dell’avviso medesimo -consentendo di individuare agevolmente e senza possibilità di errore tali atti, soddisfa l’esigenza del contribuente di controllare la legittimità della procedura di riscossione promossa nei suoi confronti (cfr. Cass. 07/09/2018, n. 21851 Cass. 18 gennaio 2018, n. 1111, e Cass. 25 maggio 2011, n. 11466)
Ciò posto, alcun contraddittorio doveva essere instaurato prima della sua emissione, né può ritenersi che vi sia stata violazione dell’obbligo di buona fede, in quanto la pretesa tributaria trovava titolo in una sentenza, come tale, resa all’esito di un processo svoltosi nel contraddittorio delle parti.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità , che liquida
in euro 1.400,00 a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15 novembre 2023.