Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6183 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6183 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/03/2024
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Oggetto:
NOME COGNOME
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere NOME.
NOME COGNOME
Consigliere
CARTELLA PAGAMENTO
DI
CC.
26/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1155/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa per procura speciale dagli avv.ti NOME COGNOME, Prof. NOME COGNOME e Prof. NOME COGNOME, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO.
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura Generale dello RAGIONE_SOCIALE, con domicilio legale presso quest’ultima in Roma, INDIRIZZO.
–
contro
ricorrente –
e contro
RAGIONE_SOCIALE RISCOSSIONE, in persona del Direttore pro tempore
. -intimata- avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, n. 909/6/17, depositata in data 07/06/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che :
1. NOME COGNOME ricorre, affidandosi ad otto motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, di cui all’epigrafe, che ha rigettato il suo appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Asti, che aveva accolto solo parzialmente il ricorso della contribuente contro la cartella di pagamento relativa all’Irpef dell’anno d’imposta 2006, oltre agli interessi ed ai compensi di riscossione, oggetto del precedente accertamento, che aveva rettificato il reddito della medesima contribuente, nonché della sentenza della Commissione tributaria della Liguria n. 753/01/15, che, parzialmente modificando la decisione di primo grado, aveva riconosciuto dovute le maggiori imposta di cui al predetto atto impositivo, escludendo che fossero invece dovute le sanzioni.
La sentenza della CTP di Asti , confermata dalla sentenza d’appello qui impugnata, aveva annullato la cartella impugnata limitatamente alle somme- euro 12.333,33- già versate dalla contribuente.
La sentenza della CTR del Piemonte, oggetto del ricorso ora in decisione, ha rigettato non solo l’appello della contribuente, ma anche quello incidentale dell’ Amministrazione. L’RAGIONE_SOCIALE si difende con controricorso.
L’RAGIONE_SOCIALE rimane intimata .
Considerato che:
1. Con il primo motivo di ricorso la contribuente denunzia , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 67 t.u.i.r. e 5 e 7 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, assumendo che la sentenza impugnata avrebbe errato nel confermare la sentenza di primo grado quanto all’annullamento della cartella di pagamento nei limiti di soli euro 12.333,33, quali somme già versate dalla contribuente. Infatti, sostiene la ricorrente, l’accertamento presuppost o aveva per oggetto una plusvalenza, realizzata a seguito di cessione di partecipazioni, rispetto alla quale non si era perfezionata la procedura di rivalutazione, iniziata dalla contribuente, che aveva pure pagato l’imposta sostitutiva del 4%, ma non aveva prodotto l’originale della necessaria perizia. Tanto premesso, secondo la ricorrente, poiché il valore accertato della plusvalenza, secondo l’Ufficio, era di euro 646.467,00, essendo pacifico che era stato già versato il 4% a titolo di imposta sostitutiva, la somma che avrebbe dovuto
essere sottratta dall’importo accertato e dovuto sarebbe stata piuttosto pari ad euro 25.858, 68, corrispondente al 4% della plusvalenza accertata.
Occorre preliminarmente rilevare che dalla sentenza impugnata risulta che l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello incidentale avverso la sentenza di primo grado, lamentando, in particolare, che l’eccezione relativa al pagamento già avvenuto di un importo a titolo di imposta sostitutiva per la rivalutazione avrebbe dovuto essere proposta in sede di impugnazione dell’avviso di accertamento presupposto , non essendo invece ammissibile sollevarla impugnando la cartella di pagamento emessa a valle.
La stessa sentenza impugnata (non censurata in parte qua ), in apertura della motivazione, argomenta in ordine al motivo d’appello erariale in questione ed alle ragioni della sua infondatezza, dichiarando di respingerlo, come risulta inequivocabilmente anche dalla conclusione della parte motiva della decisione, che in ragione della conseguente reciproca soccombenza compensa parzialmente le spese, così come previsto nel dispositivo. Dall’integrazione della motivazione con il dispositivo risulta quindi inequi vocabilmente il rigetto dell’appello incidentale, con la conseguente che si è ormai formato un giudicato interno in ordine alla non debenza, tra le somme oggetto della cartella, della somma di euro 12.333,33, senza che in questa sede possa ancora discuters i dell’ammissibilità processuale della relativa eccezione nel giudizio di merito e della fondatezza sostanziale del diritto alla compensazione come riconosciuta dalla CTP e poi dalla CTR.
Dalla stessa sentenza impugnata (nel paragrafo 1) dello svolgimento del processo) risulta altresì («Affermava la contribuente che») i l contenuto del ricorso introduttivo del primo grado, secondo il quale la contribuente aveva pagato l’imposta sostitutiva pari al 2% del valore, attestato da perizia giurata di stima, dei diritti non negoziati nei mercati regolamentari e «provvedeva al versamento di euro 12.333,33 in data 30.6.2006».
La sentenza impugnata, inoltre, pur affermando sinteticamente che uno dei motivi dell’appello principale della contribuente riguardava l’ «illegittima pretesa e liquidazione dell’Irpef», non ne descrive meglio il contenuto, e comunque non ne tratta in motivazione.
La stessa ricorrente, pur affermando di aver insistito anche in appello che l’RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto dedure dalla plusvalenza accertata «la somma già pagata» (come
invece negava l’appellante incidentale RAGIONE_SOCIALE), non deduce di aver chiesto che quest’ultima fosse quantificata nella maggior misura oggi pretesa.
In ogni caso, anche a voler sostenere che il motivo sia stato riproposto in appello, e sia stato implicitamente rigettato anch’esso dalla CTR, il mezzo sarebbe comunque inammissibile, in quanto nuovo rispetto al contenuto del ricorso introduttivo, così come esposto (senza contestazione) nella sentenza impugnata, nel quale la somma di cui si chiedeva la sostanziale compensazione corrisponde a quella riconosciuta dalla sentenza di primo grado, confermata in appello.
Ulteriore profilo di inammissibilità deriva, peraltro, dalla genericità del motivo, ove si consideri che, nel corpo dello stesso, la ricorrente non deduce di aver effettivamente ‘versato’ il maggior importo nella misura che ora deduce; né riproduce, riassume o comunque indica specificamente di aver prodotto nei giudizi di merito (con un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui sia stato versato in atti, come necessario, a pena di inammissibilità, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.6, cod. proc. civ.: cfr. Cass. 19/04/2022, n. 12481, anche con riferimento alla compatibilità della prescrizione con l’art. 6, par. 1, CEDU ) alcun documento attestante il versamento nella maggior misura pretesa; si limita ad affermare che il pagamento dell’imposta sostitutiva «al 4%» sarebbe pacifico, sulla base di uno stralcio dell’accertamento, riprodotto nel mezzo, che menziona sì il «mod. f 24 con il pagamento dell’imposta s ostitutiva», ma non indica né aliquote, né soprattutto quantifica la somma versata effettivamente; non prende in considerazione la diversa ricostruzione RAGIONE_SOCIALE deduzioni di primo grado attribuite (come già rilevato) alla contribuente dalla sentenza impugnata; non espone neppure il valore stimato nella perizia giurata, che avrebbe determinato l’importo da pagare a titolo di imposta sostitutiva. Nella sostanza, il mezzo è assolutamente generico in ordine al fatto storico, decisivo nella prospettazione della st essa ricorrente, dell’avvenuto versamento dell’imposta sostitutiva nella maggior misura pretesa, rispetto a quello accertato dalla CTR.
Né, peraltro, nel caso di specie si controverte semplicemente di un mero errore di calcolo (il che, del resto, ne escluderebbe l’ammissibile denunzia in questa sede: cfr. Cass.2399/2018), essendo invece in discussione la stessa determinazione dei presupposti d ella quantificazione della somma da ‘compensare’ , ed in particolare la stessa entità dell’importo versato , dato fattuale. Ciò che attrarrebbe piuttosto il vizio in questione nell’area dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., che peraltro
sarebbe comunque ulteriormente inammissibile per la c.d. doppia conformità sul quantum versato e da sottrare.
Con il secondo motivo di r icorso la contribuente denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973, assumendo che la sentenza impugnata avrebbe errato nel non ritenere inesistente la notifica della cartella di pagamento, in quanto effettuata dall’agente della riscossione direttamente a mezzo posta.
Il motivo è infondato.
Infatti, questa Corte ha anche recentemente riaffermato che «In materia di notifica della cartella di pagamento, ai sensi del secondo periodo del primo comma dell’art. 26 d.P.R. n. 602/1973, vigente ratione temporis, anche dopo che l’art. 12 d.lgs. n.46/1999 ha soppresso l’inciso ‘da parte dell’esattore’, la notifica della cartella esattoriale può avvenire mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento» (Cass. 22/12/2023, n. 35822, ex plurimis ).
3. Con il terzo motivo di r icorso la contribuente denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione de ll’art7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, assumendo che la CTR avrebbe errato nel confermare la sentenza di primo grado, nonostante la nullità della cartella, sia per omessa allegazione alla stessa della sentenza della CTR della Liguria n. 753/01/15, che, parzialmente modificando la decisione di primo grado, aveva riconosciuto dovute le maggiori imposta di cui all’accertam ento de quo ; sia perché nella stessa cartella non era individuata puntualmente, accanto al numero della se ntenza ed alla voce ‘CTR’, anche la specificazione ‘della Liguria’.
Il motivo è infondato.
Infatti, come questa corte ha già avuto modo di chiarire, l’art. 7, comma 1, dello statuto del contribuente, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia gi à̀ integrale e legale conoscenza (Cass. 04/07/2014, n. 15327, ex plurimis ). Ed è stata ritenuta legittima anche la motivazione per relationem che richiami, senza allegarli, atti che si possano presumere, iuris tantum , conosciuti dal destinatario dell’accertamento ( ex plurimis Cass. 17/12/2014,n. 26527; Cass., 27/11/2015, n. 24254; Cass. 30/10/2018, n. 27628; Cass. 07/06/2022, n. 18187). E, finanche nel caso di doppia motivazione per relationem , ovvero nel caso in cui il documento richiamato nella motivazione dell’atto
tributario faccia a sua volta riferimento ad ulteriori documenti, è stato ritenuto sufficiente che questi ultimi siano, se non in possesso o comunque conosciuti dal contribuente, quanto meno agevolmente conoscibili da quest’ultimo (Cass., 12/12/2018, n. 32127; Cass. 24/11/2017, n. 28060).
Con specifico riferimento alla cartella di pagamento, poi, è stato chiarito che la cartella esattoriale che rinvii ad altro atto costituente il presupposto dell’imposizione, senza indicarne gli estremi in modo esatto, può essere dichiarata nulla solo ove il contribuente dimostri che tale difetto di motivazione abbia pregiudicato il proprio diritto di difesa e non anche quando la limitazione di detto diritto debba ritenersi esclusa in virtù della puntuale contestazione, in sede di impugnazione della cartella, dei presupposti dell’imposizione. (Cass., Sez. Un., 14/05/2010, n. 11722; conforme, ex plurimis , Cass. 11/07/2018, n. 18224).
Pertanto, poiché l’obbligo di idonea e completa motivazione, previsto dall’art. 7 della legge n. 212 del 2000, è volto ad assicurare al contribuente il pieno esercizio del diritto di difesa nel giudizio di impugnazione -laddove, in mancanza, egli sarebbe costretto ad un’attività di ricerca che comprimerebbe illegittimamente il suo diritto di difesa (Cass. 11/05/2017, n. 11623)- è proprio la potenziale lesione di tale diritto che deve essere valutata al fine di verificare la validità della motivazione.
Ed infatti, ai fini della validità della cartella di pagamento, non è indispensabile l’indicazione degli estremi identificativi o della data di notifica del precedente accertamento, in quanto l’indicazione di elementi univoci che consentano l’individuazione dell’atto presupposto è idonea a tutelare il diritto di difesa del contribuente, il quale – qualora lamenti lacune nell’identificabilità dei provvedimenti giurisdizionali presupposti, non notificati o non contenenti le ragioni RAGIONE_SOCIALE pretese creditorie – ha l’onere di dedurre il concreto pregiudizio all’esercizio della difesa derivante dalle omissioni nella cartella e, cioè, di specificare quale contestazione avrebbe potuto svolgere, con una migliore conoscenza RAGIONE_SOCIALE statuizioni (Cass. 04/03/2022, n. 7234, in tema di cartella emessa per la riscossione coattiva di spese di giustizia).
Nel caso di specie, la contribuente conosceva, o quanto meno avrebbe potuto conoscere senza difficoltà, per essere stata parte del relativo giudizio, la sentenza della CTR in questione, la cui individuazione era comunque agevole per effetto dell’indicazione (così come dedotta nello stesso motivo di ricorso), nella cartella, del numero del
provvedimento e dell’organo emittente come ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ , a prescindere dalla mancata specificazione ‘della Liguria’. Ed infatti la stessa ricorrente non ha dedotto quale sia stato l’effettivo pregiudizio alla sua facoltà di difesa.
4. Anche con il quarto motivo di r icorso la contribuente denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art . 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, assumendo che la cartella sarebbe nulla per vizio della sua motivazione, in quanto non sarebbe chiaro quale sia la norma che in pendenza di giudizio consente la riscossione coattiva e se la pretese riguardi o meno l’intero quantum debeatur .
Il motivo è inammissibile.
Infatti, nel corpo del motivo, la ricorrente non riproduce, neppure solo per estratto, o comunque indica specificamente di aver prodotto nei giudizi di merito (con un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui sia stato versato in atti, come necessario, a pena di inammissibilità, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.6, cod. proc. civ.: cfr. Cass. 19/04/2022, n. 12481, cit.) la cartella in questione, o quanto meno la parte relativa alla sua motivazione, attinta dal mezzo.
In ogni caso, il motivo è comunque anche infondato.
La mancata indicazione della fonte legale del potere di riscossione non costituisce, nel caso di specie, elemento invalidante, non essendo tale adempimento prescritto e sanzionato espressamente a titolo di nullità dall’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973. Inoltre, esso non pregiudica, nel caso di specie, in alcun modo concretamente la difesa del contribuente, trattandosi di fattispecie legale astratta (l’art. 68, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 546 del 1992: « per il residuo ammontare determinato nella sentenza della commissione tributaria regionale») la cui integrazione emerge univocamente dalla circostanza della coincidenza (rilevata dalla sentenza impugnata e non contestata) della somma oggetto della cartella con quella di cui alla sentenza della CTR presupposta dalla cartella. Tant’è che non è contestato, dalla contribuente, il legittimo esercizio di tale potere.
5. Con il quinto motivo di r icorso la contribuente denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ancora la violazione dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, assumendo che la CTR avrebbe errato nel confermare la sentenza di primo grado, nonostante la nullità della cartella, per omessa motivazione in ordine al criterio di quantificazione degli interessi.
Il motivo è inammissibile.
Infatti, nel corpo del motivo, la ricorrente non riproduce, neppure solo per estratto, o comunque indica specificamente di aver prodotto nei giudizi di merito (con un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui sia stato versato in atti, come necessario, a pena di inammissibilità, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.6, cod. proc. civ.: cfr. Cass. 19/04/2022, n. 12481, cit.) la cartella in questione, o quanto meno la parte relativa alla sua motivazione, attinta dal mezzo. Il mezzo si limita, infatti, a riprodurre, sul punto, la motivazione della CTR in ordine alla questione degli interessi, secondo cui « La commissione osserva che a pag. 3 della cartella di pagamento è scritto ‘ alla rata vanno aggiunti gli interessi di mora per ogni giorno di ritardo. Viene specificato, poi, da quando decorrono. In proposito si osserva che gli interessi sono previsti dall’articolo 30 del DPR 602/73 ed esposti nella citata cartella, a pagina 2 della cartella stessa. Il tasso annuo degli interessi è determinato con provvedimento generale.» (sentenza impugnata, punto 4 della motivazione).
Il motivo è comunque anche infondato.
Infatti, secondo questa Corte, « La cartella di pagamento, allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il “quantum” del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata – con riguardo al calcolo degli interessi nel frattempo maturati – attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo per gli ulteriori accessori, indicazione che soddisfa l’obbligo di motivazione prescritto dall’art. 7 della l. n. 212 del 2000 e dall’art. 3 della l. n. 241 del 1990; se, invece, la cartella costituisce il primo atto riguardante la pretesa per interessi, al fine di soddisfare l’obbligo di motivazione essa deve indicare, oltre all’importo monetario richiesto, la base normativa relativa agli interessi reclamati – la quale può anche essere implicitamente desunta dall’individuazione specifica della tipologia e della natura degli interessi oggetto della pretesa ovvero del tipo di tributo a cui questi accedono – e la decorrenza dalla quale gli accessori sono dovuti, senza che sia necessaria la specificazione dei singoli saggi periodicamente applicati o RAGIONE_SOCIALE modalità di calcolo.» (Cass., Sez. Un., 14/07/2022, n. 22281; cfr. anche Cass. 16/10/2023, n. 28742, che esclude la necessità di indicare i singoli saggi periodicamente applicati o le modalità di calcolo.)
Nel caso di specie, trattandosi di cartella emessa a seguito di sentenza che ha confermato l’accertamento impugnato, il richiamo del titolo e d i dati di quantificazione riscontrati nella stessa cartella dalla CTR, in ordine alla decorrenza, all’esposizione ed
alla base normativa (che può essere anche implicitamente desunta, secondo l’arresto citato, finanche nel caso in cui la cartella costituisca il primo atto) escludono la carenza della motivazione della cartella in parte qua .
6. Con il sesto motivo di r icorso la contribuente denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ulteriormente la violazione dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, assumendo che la CTR avrebbe errato nel confermare la sentenza di primo grado, nonostante la nullità della cartella, per omessa motivazione in ordine a lla fonte legale ed ai compensi richiesti per l’esattore, peraltro radicalmente illegittimi, secondo la contribuente.
Il motivo è inammissibile.
Infatti, nel corpo del motivo, la ricorrente non riproduce, neppure solo per estratto, o comunque indica specificamente di aver prodotto nei giudizi di merito (con un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui sia stato versato in atti, come necessario, a pena di inammissibilità, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.6, cod. proc. civ.: cfr. Cass. 19/04/2022, n. 12481, cit.) la cartella in questione, o quanto meno la parte relativa alla sua motivazione, attinta dal mezzo.
Il motivo è comunque anche infondato.
I compensi per il servizio di riscossione sono previsti direttamente dalla legge (art. 17, comma 6, d.lgs. n. 112 del 1999, vigente ratione temporis ) ed i criteri della loro quantificazione sono quindi immediatamente conoscibili dalla contribuente.
Quanto poi alla evocata, nel motivo, radicale illegittimità dei compensi all’esattore, «tant’è che la loro previsione è oggi all’esame della Corte costituzionale», deve rilevarsi che il giudice RAGIONE_SOCIALE leggi, con la sentenza n. 120 del 2021, pur riscontrando nell’ art. 17, comma 1, del d.lgs. del 13 aprile 1999, n. 112, come sostituito dall’art. 32, primo comma, lett. a), del d.l. del 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2, pur rilevando un vulnus degli evocati valori costituzionali, ha ritenuto di non potervi porre rimedio, dato che « il quomodo RAGIONE_SOCIALE soluzioni attinge, in ogni caso, alla discrezionalità del legislatore, secondo uno spettro di possibilità , ed ha concluso « Le questioni sollevate dal rimettente vanno perciò dichiarate inammissibili, perché le esigenze prospettate, pur meritevoli di considerazione (nei sensi sopra precisati), implicano una modifica rientrante nell’ambito RAGIONE_SOCIALE scelte riservate alla discrezionalità del legislatore (sentenza n. 219 del 2019).».
In relazione alla cartella sub iudice , in relazione alla disciplina applicabile pro tempore , non è stata pertanto espunta dall’ordinamento la norma che fondava an e quantum dell’aggio.
7. Con il settimo motivo di r icorso la contribuente denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 6 e 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, assumendo che la CTR avrebbe errato nel confermare la sentenza di primo grado, nonostante la n ullità della cartella, per omessa indicazione dell’organo giurisdizionale di fronte al quale impugnare l’atto , come prescritto dallo stesso art. 7, essendosi la cartella limitata ad indicare la «Commissione provinciale territorialmente competente», senza individuare specificamente quale fosse l’organo di primo grado competente nel caso di specie.
Il motivo è infondato.
Infatti, come rilevato da Cass. n. 15143 del 2009, in motivazione, « La Corte, invero, ha ripetutamente affermato il principio di diritto seguito dal giudice del merito, avendo ritenuto che “In tema di opposizione a sanzione amministrativa, la mancata o l’erronea indicazione nell’atto da impugnare del termine di impugnazione e dell’organo dinanzi al quale può essere proposto il ricorso, non può considerarsi ne’ una mera irregolarità priva di ogni effetto, né un’omissione che automaticamente rende il provvedimento impugnabile in ogni tempo, ma può, se del caso, e cioè in concorso con le altre circostanze della fattispecie concreta, comportare la scusabilità dell’errore eventualmente commesso dall’interessato, il quale, tuttavia, ha l’onere di dimostrare, e il giudice il dovere di rilevare, la decisività dell’errore” (Cassazione civile, sez, 2^, 16 maggio 2006, n. 11405) e che “La mancata indicazione nell’atto amministrativo del termine d’Impugnazione e dell’organo dinanzi al quale può essere proposto ricorso, prevista dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 4, non inficia la validità dell’atto, ma comporta sul piano processuale il riconoscimento della scusabilità dell’errore in cui sia eventualmente incorso il ricorrente, con conseguente riammissione in termini per l’impugnativa, ove questa sia stata proposta tardivamente” (Cassazione civile, sez. trib., 6 settembre 2006, n. 19189)», aggiungendo che « tale principio può ritenersi ancora applicabile pur in esito all’entrata in vigore della L. n. 21 del 2000, art. 5 , dal momento che, in ogni caso, la norma non prevede espressamente la nullità dell’atto tributario per il solo fatto che le richieste indicazioni non siano presenti (Cassazione civile, sez. trib., 22 settembre 2006, n. 20532».
Nel caso di specie, peraltro, nessuna violazione RAGIONE_SOCIALE facoltà di difesa della contribuente è stata dedotta quale conseguenza della pretesa insufficienza dell’indicazione specifica di quale fosse la CTP territorialmente competente.
8. Con l’ottavo motivo di r icorso la contribuente denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 36, comma 4-ter, del d.l. n. 248 del 2007, convertito nella legge 28 febbraio 2008, n. 131, nonché dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, assumendo che la CTR avrebbe errato nel confermare la sentenza di primo grado, nonostante la nullità della cartella, per l’«illegittima indicazione del responsabile del procedimento» di emissione e notificazione della cartella, individuato nella persona fisica titolare dell’attività «di cartellazione dell’ambito provinciale di Asti di RAGIONE_SOCIALE Nord». Secondo la ricorrente, il coordinatore provinciale , a causa dell’ampiezza territoriale del suo incarico, non potrebbe sv olgere, se non solo formalmente, la sua funzione di ausilio al contribuente, sicché la sua indicazione equivarrebbe in sostanza ad un’omessa menzione, causa di nullità per i ruoli consegnati all’agente della riscossione dopo l’1 giugno 2008.
Il motivo è infondato.
Infatti questa Corte, cassando una decisione di merito che (presumendo l’impossibilit à del funzionario dirigente di essere a conoscenza della pratica) aveva ritenuto illegittimo l’atto impugnato per nullit à̀ dell’iscrizione a ruolo e della cartella stessa, in quanto erano stati indicati, quali responsabili dei relativi procedimenti, i funzionari apicali degli uffici e non gi à̀ i funzionari che avevano materialmente gestito le singole pratiche, ha affermato che « ‘ … è tuttavia sufficiente, al fine di non incorrere nella detta nullit à̀ , l’indicazione di persona responsabile del procedimento, a prescindere quindi dalla funzione (apicale o meno) della stessa effettivamente esercitata; siffatta indicazione appare peraltro sufficiente ad assicurare gli interessi sottostanti alla detta indicazione, e cio è̀ la trasparenza dell’attivit à̀ amministrativa, la piena informazione del cittadino (anche ai fini di eventuali azioni nei confronti del responsabile) e la garanzia del diritto di difesa» (cos ì Cass., Sez. 6-T, Ordinanza n. 3533 del 23/2/2016; nello stesso senso, Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 11130 del 9/5/2018)» (Cass. 14/11/2019, n. 29652).
Aderendo a tale orientamento, deve pertanto ritenersi che l’indicazione, quale responsabile del procedimento, della persona fisica titolare della carica di coordinatore provinciale non possa equivalere, come pretenderebbe la ricorrente, alla mancata
indicazione e non comporti, pertanto, la nullità della cartella impugnata dalla contribuente (che, peraltro, non ha dedotto alcuna concreta lesione dei suoi diritti conseguente a tale designazione).
Le spese di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 9.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2024.