Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6946 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6946 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/03/2025
Oggetto:
Cartella di pagamento cartacea
o digitale –
Omessa sottoscrizione del funzionario competente – Conseguenze – Invalidità – Esclusione – Fondamento.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21164/2020 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro-tempore, entrambe rappresentate e difese ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato , presso i cui uffici sono domiciliate in Roma, INDIRIZZO
– controricorrenti – avverso la sentenza della C.T.R. del Lazio, n. 6623/2019, depositata il 27.11.2019 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6.3.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con ricorso proposto alla Commissione tributaria provinciale di Roma, la RAGIONE_SOCIALE impugnava la cartella esattoriale, notificata mediante posta elettronica certificata, con cui le era stato intimato il pagamento d ell’ Irap per l’anno 2012, oltre a sanzioni ed interessi.
In primo grado, la C.t.p. accoglieva il ricorso del contribuente, ritenendo illegittima la cartella impugnata, in quanto priva della firma digitale con estensione ‘p7m’ ed attesa la mancata attestazione di conformità all’originale.
L’appello proposto dall’Agenzia delle entrate veniva integralmente accolto dalla C.t.r., che riteneva legittima la cartella impugnata, essendo equivalenti le firme digitali in CAdES e in PAdES ed avendo comunque l’atto raggiunto il suo scopo. Inoltre, nel merito, assorbito in primo grado, riteneva insussistente la violazione dell’obbligo di motivazione con riferimento agli interessi applicati, trovandosi il contribuente nella condizione di poter conoscere i presupposti della pretesa fiscale. Affermava, infi ne, l’irrilevanza dell ‘omesso invio dell’invito bonario, n on essendo tale incombente previsto ai fini della validità della cartella di pagamento.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione la società contribuente, sulla base di due motivi, ulteriormente illustrati con il deposito di memoria.
L’Agenzia delle entrate e l’Agenzia delle entrate riscossione resistevano con controricorso.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di doglianza, la RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 21, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 82 del 2005; 60, comma 7, del d.P.R. n. 600 del 1973; 26, comma 2, del d.P.R. n. 602 del 1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; la violazione e falsa applicazione degli artt. 7, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché 115 e 116 c.p.c., in relazione
all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.; la violazione e falsa applicazione degli artt. 137, 156 e 160 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avendo errato la C.t.r. nel ritenere che la cartella di pagamento impugnata non necessitasse di sottoscrizione con firma digitale qualificata, che contenesse una firma PAdES e che la sua notificazione avesse comunque raggiunto lo scopo.
Con il secondo motivo di doglianza, la RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della l. n. 212 del 2000; 3 della l. n. 241 del 1990; 156 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avendo errato la C.t.r. nel ritenere che gli interessi calcolati nella cartella di pagamento non necessitassero di motivazione in ordine alle modalità di calcolo.
Con il terzo motivo di doglianza, la RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 6 della l. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avendo errato la C.t.r. nel ritenere che valida la cartella impugnata, sebbene non preceduta dalla comunicazione dell’esito del controllo automatizzato.
Con il controricorso, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia delle entrate riscossione sostengono l’infondatezza di entrambi i motivi di doglianza, atteso che la cartella notificata via pec non era una copia, ma l’originale informatico del documento, e, quindi, non era necessaria alcuna attestazione di conformità, né la firma digitale della stessa. Quanto alle modalità di calcolo degli interessi, osservano che la cartella di pagamento ha un contenuto vincolato. Infine, sostengono che non era necessaria la preventiva comunicazione dell’esito dei controlli, trattandosi di imposta dichiarata e non versata dal contribuente.
Il primo motivo di doglianza è articolato su tre profili, tra di loro strettamente connessi, tutti afferenti alla firma digitale della
cartella impugnata ed alla validità della sua notificazione a mezzo posta elettronica certificata.
Orbene, il primo profilo è infondato, con conseguente assorbimento dei restanti due.
Ed invero, con riferimento alla sottoscrizione delle cartelle di pagamento, recentemente questa Corte ha affermato che, in tema di riscossione delle imposte sul reddito, l’omessa sottoscrizione della cartella esattoriale da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, sia nel caso in cui la stessa sia redatta e notificata su supporto cartaceo, sia quando il documento, originariamente analogico, sia stato poi trasmesso in forma digitale, sia ove sia stata redatta fin dall’origine e notificata in forma digitale, poiché la sua esistenza non dipende dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, ma dalla inequivocabile riferibilità all’organo amministrativo titolare del potere di emettere l’atto, tanto più che, a norma dell’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo l’apposito modello approvato con d.m., che non prevede la sottoscrizione dell’agente, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice (Cass. n. 19327/2024, Rv. 67164201). Tale principio si pone in linea di continuità a quanto in precedenza affermato da Cass. (Cass. n. 30948/2019, Rv. 65634301, secondo cui, in caso di notifica a mezzo PEC, la copia su supporto informatico della cartella di pagamento, in origine cartacea, non deve necessariamente essere sottoscritta con firma digitale, in assenza di prescrizioni normative di segno diverso (conf.: Cass. n. 35541/2023, Rv. 66986802).
5.1. Ed infatti, l’art. 26, comma secondo, del d.P.R. n. 602 del 1973 come aggiunto dall’art. 38, comma 4, lettera b), del d.l. n. 78 del 2010, convertito con modificazioni, dalla l. n. 122 del 2010, nel testo applicabile ratione temporis , prevede che la notifica della
cartella di pagamento «può essere eseguita, con le modalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, 2 di 6 a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo risultante dagli elenchi a tal fine previsti dalla legge. Tali elenchi sono consultabili, anche in via telematica, dagli agenti della riscossione. Non si applica l’articolo 149-bis del codice di procedura civile» . A sua volta l’art. 1, lett. f), del d.P.R. n. 68 del 2005, definisce il messaggio di posta elettronica certificata, come «un documento informatico composto dal testo del messaggio, dai dati di certificazione e dagli eventuali documenti informatici allegati» . La lett. i-ter), dell’art. 1 del CAD inserita dall’art. 1, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 235 del 2010, poi, definisce «copia per immagine su supporto informatico di documento analogico» come «il documento informatico avente contenuto e forma identici a quelli del documento analogico» , mentre la lett. iquinquies), dell’art. 1 del medesimo CAD – inserita dall’art. 1, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 235 del 2010, nel definire il «duplicato informatico» parla di «documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario» .
5.2. Dunque, come chiarito nella suindicata pronuncia n. 30948/2019, la notifica della cartella di pagamento può avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC un documento informatico, che sia duplicato informatico dell’atto originario (il c.d. “atto nativo digitale”), sia mediante una copia per immagini su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la c.d. “copia informatica”).
Nel caso in esame, pacificamente il concessionario della riscossione ha provveduto ad inserire nel messaggio di posta elettronica certificata un documento informatico in formato PDF ( portable document format ), realizzato in precedenza mediante la copia per immagini di una cartella di pagamento composta in origine su carta.
5.3. Non ha, dunque, errato la C.t.r. nel ritenere valida la cartella di pagamento impugnata, pur essendo, sul punto, necessario correggere la motivazione, dando continuità al principio di diritto affermato con la citata Cass. n. 19327/2024. Va, infatti, esclusa la denunciata illegittimità della notifica della cartella di pagamento eseguita a mezzo posta elettronica certificata, per la decisiva ragione che era nella sicura facoltà del notificante allegare, al messaggio trasmesso alla contribuente via PEC, un documento informatico realizzato in forma di copia per immagini di un documento in origine analogico.
Non essendo necessaria alcuna sottoscrizione della cartella di pagamento, sia essa in formato cartaceo, ovvero in formato digitale, sono irrilevanti gli ulteriori profili di doglianza sollevati con il primo motivo di ricorso.
Per contro, risulta fondato il secondo motivo di doglianza, con cui la società ricorrente lamenta l’omessa motivazione della cartella impugnata in ordine alle modalità di calcolo degli interessi applicati.
Orbene, a tal riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte, risolvendo un contrasto interpretativo con la sentenza n. 22281/2022 (Rv. 665273-01), hanno affermato che la cartella di pagamento, allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il quantum del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata – con riguardo al calcolo degli interessi nel frattempo maturati – attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo per gli ulteriori accessori, indicazione che soddisfa l’obbligo di motivazione prescritto dall’art. 7 della l. n. 212 del 2000 e dall’art. 3 della l. n. 241 del 1990. Se, invece, la cartella costituisce il primo atto riguardante la pretesa per interessi, al fine di soddisfare l’obbligo di motivazione essa deve indicare, oltre all’importo monetario richiesto, la base normativa relativa agli interessi reclamati – la quale può anche
essere implicitamente desunta dall’individuazione specifica della tipologia e della natura degli interessi oggetto della pretesa ovvero del tipo di tributo a cui questi accedono – e la decorrenza dalla quale gli accessori sono dovuti, senza che sia necessaria la specificazione dei singoli saggi periodicamente applicati o delle modalità di calcolo.
Nella suindicata pronuncia, è stato altresì specificato che l’atto impositivo, se carente nella motivazione riguardante gli interessi richiesti in via contestuale al debito d’imposta, è affetto da invalidità parziale con riferimento alla parte relativa ai soli accessori, in applicazione del generale principio di conservazione dell’atto nella parte, autonoma, non inficiata dal difetto di motivazione (Rv. 665273-02).
6.1. La questione esaminata dalle Sezioni Unite, oggetto dell’ordinanza interlocutoria n. 31960/2021, concerne va un contrasto sull’obbligo di motivazione, ai sensi dell’art. 7 della l. n. 212 del 2000, della cartella di pagamento in relazione agli interessi richiesti per ritardato pagamento dei tributi, specialmente nel caso in cui la cartella sia il primo atto con cui è avanzata la pretesa per gli accessori di un debito tributario accertato con sentenza passata in giudicato.
Nel bilanciamento, da un lato, del diritto di difesa del contribuente e, dall’altro, degli interessi, anch’essi di rango costituzionale, correlati al recupero delle entrate volontariamente non versate dal contribuente e da questi dovute, le Sezioni Unite hanno graduato l’obbligo motivazionale. In particolare, hanno distinto a seconda che la cartella di pagamento richieda al contribuente interessi mai prima determinati e pretesi dall’ente accertatore; che la cartella segua un atto prodromico nel quale sono già stati computati gli interessi per il ritardato pagamento; ovvero che si tratti di controllo automatizzato ex artt. 36-bis del d.P.R. n. 602 del 1973 e 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972.
6.2. In esito ai controlli automatizzati il contribuente è, di regola, in grado di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, sicché l’onere di motivazione è assolto mediante il mero richiamo alla dichiarazione fiscale, anche con riferimento al debito per i vari tributi e per i relativi interessi. Tuttavia, le Sezioni Unite osservano che il riferimento agli elementi della dichiarazione esclude la necessità di una specifica motivazione soltanto con riguardo alla decorrenz a dell’obbligazione che il contribuente può agevolmente individuare, mentre l’emittente della cartella è tenuto a fornire precisa indicazione del parametro normativo in base al quale si è proceduto al computo degli interessi pretesi. Qualora, poi, la cartella di pagamento costituisca atto di rettifica (con le forme del controllo automatizzato) dei risultati della dichiarazione, la stessa costituisce esercizio di una vera e propria potestà impositiva e, dunque, l’atto deve essere congru amente motivato -anche con riferimento agli interessi -al fine di rendere edotto il contribuente dei fatti su cui si fonda la pretesa; in tale evenienza, la cartella deve esplicitare la decorrenza degli interessi e la disciplina positiva che ne regola il quantum, mentre non sono indispensabili precisazioni sui tassi di interesse via via determinati normativamente, né sulle modalità di calcolo.
6.3. La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei suindicati principi affermati dalle Sezioni Unite, limitandosi ad affermare che, nell’ipotesi in cui v engano richiesti interessi per ritardato pagamento, il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni di diritto della pretesa fiscale. Ha errato, quindi, la C.t.r. nel ritenere assolto l’obbligo motivazionale a carico del concessionario, senza indagare sul tipo di cartella impugnata e, in particolare, se essa sia stata o meno preceduta da un atto prodromico in cui erano già stati computati gli interessi per il ritardato pagamento, ovvero se sia stata emessa all’esito di un controllo automatizzato (come risulta nel caso di
specie), graduando di conseguenza il minimo di motivazione necessario.
Risulta, invece, inammissibile il terzo motivo di doglianza, con il quale la società contribuente deduce l’invalidità della cartella di pagamento impugnata, in quanto non preceduta dal preventivo avviso bonario, con comunicazione dell’esito del controllo automatizzato.
A tal riguardo, questa Corte ha affermato che l ‘emissione della cartella di pagamento con le modalità previste dall’art. 36-bis, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, e dall’art. 54 bis, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, non richiede di regola la preventiva comunicazione dell’esito del controllo al contribuente, salvo che la procedura di liquidazione automatizzata non si limiti a rilevare meri errori materiali e richieda rettifiche preventive dei dati contenuti nella dichiarazione, nel qual caso la sua omissione, a seconda che sussistano o meno incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, può costituire mera irregolarità, non incidente sulla validità della cartella di pagamento, oppure può comportarne la nullità ex art. 6, comma 5, della l. n. 212 del 2000 (Cass. n. 1711/2018, Rv. 64692201). E’ stato anche affermato che, i n materia di riscossione, ai sensi degli artt. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, l’invio al contribuente della comunicazione di irregolarità, al fine di evitare la reiterazione di errori e di consentire la regolarizzazione degli aspetti formali, è dovuto solo ove dai controlli automatici emerga un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero un’imposta o una maggiore imposta, mentre tale adempimento non è prescritto in caso di omessi o tardivi versamenti; in ogni caso, la relativa omissione determina una mera irregolarità e non preclude, una volta ricevuta la notifica della cartella, di corrispondere quanto dovuto con riduzione della sanzione (Cass. n. 17479/2019, Rv. 65473201).
7.1. Ciò posto, nel caso in esame, la ricorrente non deduce di trovarsi in uno dei casi in cui, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità sopra riportata, la cartella automatizzata deve essere preceduta dalla comunicazione di invito bonario, ma sostiene che la stessa sarebbe sempre necessaria, al fine di garantire al contribuente di contraddire sulle pretese fiscali e di usufruire delle agevolazioni previste dalla legge.
Così impostato, il motivo di doglianza si appalesa inammissibile, in quanto non si confronta con la sentenza impugnata, laddove, conformemente ai principi di diritto suindicati, afferma che il previo invito bonario è necessario solo ove sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione. Inoltre, la censura risulta carente del requisito della specificità, non chiarendo se, nel caso in esame, il controllo automatizzato abbia riscontrato meri errori materiali della dichiarazione del contribuente, ovvero vi abbia apportato delle rettifiche.
In conclusione, dunque, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, rigettato il primo e dichiarato inammissibile il terzo, la sentenza impugnata va cassata ed il giudizio va rinviato innanzi al giudice a quo , affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nel senso sopra indicato, nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, rigettato il primo e dichiarato inammissibile il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio innanzi alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame, nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione tributaria della Corte, in data 6.3.2025.
La Presidente NOME COGNOME