Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1149 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1149 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16362/2018 R.G. proposto da:
OSPEDALE COGNOME, elettivamente domiciliata in AVEZZANO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (DGRPLA69R05A515I) -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende -controricorrente- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA n. 10115/2017 depositata il 01/12/2017. Udita la relazione svolta nelle camere di consiglio del 08/11/2024, del 12/12/2024 e del 08/01/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Regionale della Campania ( hinc: CTR), con la sentenza n. 10115/23/17 depositata in data 01/12/2017, ha rigettato l’appello proposto dalla sig.ra NOME COGNOME contro la sentenza n. 996/2016, con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Benevento aveva rigettato il ricorso proposto dalla contribuente contro la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA speditale per IVA, IRES, IRAP in relazione all’anno d’imposta 2007, a seguito della sentenza n. 11027/50/14 emessa dalla medesima CTR in relazione all’avviso di accertamento sotteso alla cartella impugnata e derivato, a sua volta, da quello relativo alla RAGIONE_SOCIALE partecipata dalla parte appellante.
La CTR ha ritenuto l’appello infondato, evidenziando come, nel caso di specie, fosse stato correttamente applicato l’art. 68 d.lgs. 31/12/1992, n. 546 in esito all’accertamento sotteso e confermato dalla sentenza n. 11027/50/14 cit.
2.1. Ha ritenuto inammissibili le contestazioni della cartella derivate dall’accertamento e generiche quelle riferite alla cartella stessa, oltre che smentite dai documenti esistenti nel processo.
2.2. Ha infine rilevato che il dato della ristretta base sociale, pur sussumibile in quello di una mera presunzione dell’automatica traslazione dei ricavi non contabilizzati dalla società ai soci, appare pregnante, in quanto non contraddetto in alcun modo da elementi probanti di segno contrario.
Contro la sentenza della CTR la contribuente ha proposto ricorso in cassazione con sei motivi.
L’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Entrate Riscossione hanno resistito con controricorso.
Ritenuto che:
Con il primo motivo di ricorso è stata contestata la nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 52 d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
1.1. La ricorrente eccepisce, con tale motivo, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 52 d.lgs. n. 546 del 1992. Ha esposto che il contribuente ha presentato ricorso innanzi alla CTR, con contestuale istanza di sospensione dell’atto impugnato. Nella fattispecie, tuttavia, la CTR non ha fissato l’udienza per la trattazione dell’istanza di sospensione. Tuttavia, la ricorrente, nel presentare l’appello chiedeva la contestuale istanza di sospensione dell’esecuzione della sentenza ai sensi degli artt . 47 e 52 d.lgs. n. 546 del 1992 e la sospensione delle sanzioni ex art. 19, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997.
Con il secondo motivo è stata contestata l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
2.1. La ricorrente rileva che la CTR, senza esaminare la documentazione probatoria prodotta dal contribuente nel corso del giudizio e senza esaminare le eccezioni in fatto ed in diritto, ha
respinto l’appello. Non è stata, neppure, rilevata la mancata costituzione in giudizio dell’Agenzia Entrate Riscossione. Contesta, poi, la difettosa motivazione della CTR, ritenendola solo apparente. Riproduce da pag. 15 a pag. 37, unitamente a una serie di considerazioni, la trascrizione di alcuni documenti, a partire da quelli volti ad avallare la ricostruzione di parte ricorrente, secondo la quale la sentenza n. 177/2/13 della Commissione Tributaria di Benevento sarebbe stata interessata sia dall’appello proposto dalla stessa contribuente (definito con la sentenza n. 11027/50/14, v. pag. 17 del ricorso), sia dall’appello pendente all’epoca della presentazione del ricorso in cassazione -proposto da RAGIONE_SOCIALE Viene, quindi, contestato che la sentenza evocata nella cartella di pagamento impugnata avrebbe accolto l’appello dell’Ufficio sul presupposto non veritiero della definitività dell’accertamento nei confronti di RAGIONE_SOCIALE che aveva, invece, presentato separato appello.
La ricorrente contesta, poi, come l’avviso di accertamento notificatole sia lo stesso notificato alla società: tale atto non accerta alcun reddito a fini IRPEF, ma contiene la richiesta di pagamento di IRES, IRAP e IVA non dovuta dai contribuenti persone fisiche. L’accertamento notificato al contribuente sarebbe, inoltre, privo di motivazione, limitandosi a richiamare solamente l’art. 115, comma 8, t.u.i.r. (v. pag. 26 del ricorso in cassazione).
L’atto di accertamento notificato non attribuisce, poi, in nessun modo, neanche in via presuntiva, la distribuzione di utili extrabilancio ai soci, tanto è vero che viene richiesto agli stessi il pagamento di IRES, IVA e IRAP. L’art. 115 t.u.i.r. discipli na, tuttavia, il regime di trasparenza per le società di capitali, mentre l’art. 116 t.u.i.r. regola il regime di trasparenza per le società a responsabilità limitata di ristrette dimensioni e a ristretta base proprietaria.
Considerato che il contribuente è persona fisica non si applica, quindi, l’art. 115 t.u.i.r., riferito alle società di capitali.
Con il terzo motivo è stata contestata la violazione dell’art. 115, comma 8, t.u.i.r. , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
3.1. La ricorrente r ileva che l’art. 115 t.u .i.r. trova applicazione solamente nel caso delle società di capitali e non per le persone fisiche come nel caso in esame. Nell’atto notificato al contribuente non viene attribuito alcun presunto maggior reddito ai fini IRPEF, ma vengono richieste le stesse imposte chieste alla società e, precisamente, le seguenti: IRES, IRAP e IVA. Evidenzia, a tal fine che quella relativa alla cd. trasparenza fiscale è un’opzione applicata , nel caso di specie, in modo illegittimo dall’ufficio .
Con il quarto motivo è stata contestata la nullità della sentenza ex art. 36, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 e degli artt. 112 cod. proc. civ. e 118 d. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
4.1. Con tale motivo viene contestato che la sentenza sia viziata da ultrapetizione ed extrapetizione, avendo interferito sul potere dispositivo delle parti, alterando gli elementi obiettivi dell’azione. Ribadisce, poi, che l’avviso di accertamento notific ato al contribuente è lo stesso notificato alla società.
Con il quinto motivo viene contestata la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 116 cod. proc. civ., dell’art. 167 cod. proc. civ. e dell’art. 23 d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, co d. proc. civ., rilevando che la CTR non ha posto a fondamento della decisione le prove proposte dal contribuente.
Con il sesto motivo di ricorso è stata contestata la violazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
6.1. La ricorrente ha rilevato che l’onere della prova ricade sull’ente impositore , che deve provare la propria pretesa, in primo luogo con la motivazione dell’atto e, successivamente, in sede giurisdizionale, con la legittimità delle richieste. Evidenzia, poi, che i giudici non hanno rilevato che l’operato quantum
dell’ufficio è illegittimo, in quanto la presunzione opera sul debeatur e non già sull’accertamento dell’ an .
In via preliminare occorre dare atto che la comunicazione di cui all’art. 377 c.p.c. è stata correttamente effettuata dalla Cancelleria di questa Corte in data 18/07/2024 (anteriormente alla nomina dell’avv. COGNOME avvenuta con procura speciale del 31/07/2024) all’avv. NOME COGNOME originario difensore della parte ricorrente ma cancellata dall’Albo degli avvocati ed il cui indirizzo PEC non è stato, quindi, rinvenuto in Reginde, mediante deposito della comunicazione in cancelleria ex art. 16, comma 6, del d.l. n. 179/2012, conv. con modif. dalla legge n. 221/2012, ed è stata in ogni caso anche inviata all’indirizzo pec indicato dal predetto difensore nel ricorso per cassazione.
7.1. Sempre in via preliminare deve essere dichiarata l’inammissibilità del controricorso depositato dall’Agenzia delle entrate -Riscossione, dal momento che il ricorso in cassazione è stato notificato a quest’ultima (come dichiarato a pag. 1 del controricorso dell’agente della riscossione ) in data 31/05/2018, mentre il controricorso è stato consegnato all’UNEP , per la notificazione alla contribuente (odierna parte ricorrente), in data 11/07/2018, cioè una volta spirato il termine di quaranta giorni previs to dall’art. 370 cod. proc. civ., nella versione anteriore al d.lgs.
10/10/2022, n. 149, applicabile ratione temporis al caso in esame. Ai sensi e per gli effetti dell’art. 370, ultimo comma, cod. proc. civ., occorre precisare, infine, come, entrambe le controricorrenti (Agenzia delle Entrate e Agenzia delle entrate -Riscossione) abbiano dichiarato che il ricorso in cassazione è stato notificato a entrambe in data 31/05/2018 (v. pag. 1 di entrambi i controricorsi).
Passando all’esame dei motivi di ricorso, tutti presentano un profilo di inammissibilità, dal momento che non si confrontano con la ratio della sentenza impugnata incentrata sull’art. 68 d.lgs. n. 546 del 1992. In sostanza, nel caso di specie la cartella è ricondotta a una sentenza di secondo grado che ha visto la contribuente quale parte soccombente, in un procedimento in cui era stato impugnato l’avviso di accertamento. Ora, è evidente che le censure relative alla pretesa impositiva esercitata con l’at to presupposto devono essere esaminate nell’ambito del diverso giudizio che si occupa direttamente di quest’ultimo, mentre nel caso di specie i motivi di impugnazione non possono che riguardare la sola cartella emessa ai sensi dell’art. 68 d.lgs. n. 546 del 1992. Quest’ultima è, infatti, diretta emanazione della sentenza impugnata ed è legata al credito tributario così come accertato nell’ambito di tale sentenza come risulta dalla stessa formulazione dell’art. 68, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 547 del 1992, secondo la quale il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato per il residuo ammontare determinato dalla sentenza della corte di giustizia tributaria di secondo grado, senza poter essere scalfito da un’eventuale riproposizione, nella presente sede, di censure già spese (o spendibili) nei confronti dell’avviso di accertamento.
8.1. Oltre a quanto appena rilevato il primo motivo è inammissibile, nella misura in cui evoca un’ipotesi di nullità totalmente irrituale, dal momento che è la tutela cautelare -quale è
tipicamente la misura sospensiva dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado ex art. 52, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 -ad essere strumentale alla decisione finale e non il contrario.
Peraltro, questa Corte ha affermato che in tema di contenzioso tributario, non viola il diritto di difesa del contribuente il giudice che, senza ritardo, decida il merito della causa senza pronunciarsi sull’istanza di sospensione dell’atto impugnato, in quanto l’art. 47, comma 7, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 prevede che “gli effetti della sospensione cessano alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado”, sicché non è ipotizzabile alcun pregiudizio per la mancata decisione sull’istanza cautelare che, pur se favorevole, sarebbe comunque travolta dalla decisione di merito. (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 8510 del 09/04/2010 (Rv. 612389 – 01).
8.2. Il secondo motivo è inammissibile, considerato che la sentenza impugnata conferma integralmente la sentenza di primo grado e l’art. 348 ter, quarto e quinto comma, cod. proc. civ., applicabile, ratione temporis, al caso in esame limita il ricorso in ca ssazione ai motivi 1), 2), 3) e 4) dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ. nell’ipotesi di sentenza d’appello che confermi la decisione di primo grado.
8.3. Il terzo motivo è inammissibile, nella misura in cui la questione relativa alle imposte chieste in sede di avviso di accertamento non può riguardare il presente giudizio, ma il giudizio che attiene all’atto presupposto.
8.4. Il quarto e il quinto motivo, oltre che generici, sono inammissibili in quanto funzionali a sollecitare una diversa valutazione delle risultanze istruttorie.
In merito al quinto motivo occorre richiamare, poi, quanto già precisato da questa Corte, secondo la quale, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione
degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass., 01/03/2022, n. 6774; v. anche Cass., 17/01/2019, n. 1229).
Peraltro, la violazione del principio di non contestazione deve essere dedotta in modo specifico, indicando i fatti non contestati e riproducendo le parti degli atti di merito da cui risulta che il fatto non era stato contestato.
In merito al principio di non contestazione questa Corte ha, inoltre, rilevato che l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione. Ne consegue che, ove il giudice abbia ritenuto “contestato” uno specifico fatto e, in assenza di ogni tempestiva deduzione al riguardo, abbia proceduto all’ammissione ed al conseguente espletamento di un mezzo istruttorio in ordine all’accertamento del fatto stesso, la successiva allegazione di parte, diretta a far valere l’altrui pregressa “non contestazione”, diventa inammissibile (Cass., 27/10/2019, n. 27490; v. anche Cass., 07/02/2019, n. 3680).
Con riferimento al sesto motivo è, poi, consolidato l’orientamento secondo il quale, i n tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da
quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass., 23/10/2018, n. 26769 e, recentemente, v. anche Cass., 15/10/2024, n. 26739).
10. Alla luce di quanto sin qui evidenziato -dato atto di quanto già evidenziato sub 7.1. in relazione all’inammissibilità del controricorso depositato dall’Agenzia delle entrate Riscossione – il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della (sola) Agenzia delle Entrate.
10.1. Nessuna statuizione deve essere presa in merito alle spese di lite tra la ricorrente e l’Agenzia delle entrate Riscossione.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Dichiara inammissibile il controricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate -Riscossione, perché notificato oltre il termine di legge; Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 08/11/2024 e a seguito di riconvocazione in