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Cartella di pagamento atto impositivo: sì alla sanatoria

Una società in liquidazione ha impugnato una cartella di pagamento che contestava l’uso di un credito IRAP. Successivamente, ha richiesto una definizione agevolata, negata dall’Agenzia delle Entrate perché riteneva la cartella un mero atto di riscossione. La Corte di Cassazione ha stabilito che la cartella di pagamento è un atto impositivo quando, come in questo caso, è il primo atto a comunicare la pretesa fiscale al contribuente. Di conseguenza, la cartella era ammissibile alla sanatoria, portando all’estinzione del giudizio.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Cartella di Pagamento Atto Impositivo: la Cassazione Conferma l’Accesso alla Sanatoria

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia tributaria: una cartella di pagamento, se è il primo atto con cui il Fisco contesta una pretesa, va considerata un cartella di pagamento atto impositivo. Questa qualificazione apre le porte alla possibilità per il contribuente di accedere alle procedure di definizione agevolata, come la cosiddetta ‘pace fiscale’. Analizziamo insieme la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso: un Credito d’Imposta Conteso

Una società consortile si vedeva recapitare una cartella di pagamento a seguito di un controllo automatizzato. L’Agenzia delle Entrate contestava l’utilizzo in compensazione di un credito IRAP, sostenendo che la relativa dichiarazione fosse stata presentata tardivamente. La società impugnava la cartella, ottenendo ragione sia in primo che in secondo grado. I giudici di merito ritenevano infatti illegittima l’iscrizione a ruolo tramite controllo automatizzato, poiché la tardività della dichiarazione non preclude di per sé il diritto al credito, se questo è effettivamente esistente.

La Svolta: la Domanda di Definizione Agevolata

Mentre il contenzioso pendeva in Cassazione, il consorzio presentava domanda di ‘definizione agevolata delle liti’, prevista dal D.L. 119/2018. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate respingeva l’istanza con una motivazione netta: la cartella di pagamento in questione era un mero atto di riscossione, e non un atto impositivo, e quindi non rientrava tra gli atti ‘sanabili’. A fronte di questo diniego, la società proponeva un nuovo ricorso, che la Cassazione ha deciso di esaminare in via prioritaria.

La Questione Giuridica: quando una cartella di pagamento è un atto impositivo?

Il cuore della controversia risiede nella natura della cartella di pagamento. È solo uno strumento per riscuotere un debito già definito altrove o può essere essa stessa l’atto che ‘impone’ per la prima volta una pretesa al contribuente? La Corte di Cassazione, richiamando un autorevole precedente delle Sezioni Unite (sentenza n. 18298/2021), ha fornito una risposta chiara. Ciò che conta non è la discrezionalità dell’ufficio nell’emettere l’atto, ma il fatto che esso sia il primo a rendere edotto il contribuente della pretesa fiscale.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha stabilito che quando una cartella di pagamento, emessa a seguito di controlli automatizzati, non si limita a liquidare le imposte dichiarate ma contesta il merito di una pretesa del contribuente – come il diritto a un credito d’imposta – essa assume a tutti gli effetti la natura di atto impositivo. In pratica, è l’atto che ‘impone’ per la prima volta un pagamento non previsto dal contribuente, comunicandogli le ragioni della pretesa. In questo caso, la contestazione non riguardava un semplice errore di calcolo, ma la fondatezza stessa del credito utilizzato in compensazione. Pertanto, la cartella di pagamento atto impositivo era pienamente ammissibile alla definizione agevolata.

Le Conclusioni

Accogliendo il ricorso contro il diniego della sanatoria, la Corte ha tratto le dovute conseguenze. Poiché la società aveva correttamente presentato la domanda di definizione agevolata e pagato la prima rata, il presupposto del contenzioso originario era venuto meno. Di conseguenza, la Corte ha dichiarato estinto il giudizio. Questa decisione rafforza la tutela del contribuente, chiarendo che la sostanza dell’atto prevale sulla sua forma. Se una cartella di pagamento è il veicolo con cui il Fisco avanza per la prima volta una pretesa sostanziale, essa deve essere trattata come un atto impositivo, con tutte le garanzie e le opportunità che ne derivano, inclusa la possibilità di accedere a strumenti di pace fiscale.

Una cartella di pagamento emessa dopo un controllo automatizzato è sempre e solo un atto di riscossione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se la cartella è il primo atto con cui l’amministrazione finanziaria contesta nel merito la pretesa del contribuente (ad esempio, disconoscendo un credito d’imposta), essa assume la natura di un atto impositivo.

Una cartella di pagamento qualificata come atto impositivo può essere inclusa in una sanatoria o ‘pace fiscale’?
Sì. Proprio perché considerata un atto impositivo, la cartella rientra tra gli atti per i quali è possibile richiedere la definizione agevolata prevista dalle normative speciali, come quella introdotta dal D.L. 119/2018.

Cosa accade al processo tributario in corso se il contribuente ottiene la definizione agevolata della lite?
Se la richiesta di definizione agevolata viene accolta e il contribuente adempie ai relativi obblighi di pagamento, il giudizio pendente sulla stessa pretesa fiscale viene dichiarato estinto, ponendo fine alla controversia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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