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Cartella di pagamento atto impositivo: la Cassazione

Una società, cessionaria di un ramo d’azienda, ha ricevuto una cartella di pagamento per debiti della cedente. L’Agenzia delle Entrate ha negato la definizione agevolata, sostenendo che la cartella fosse un mero atto di riscossione. La Cassazione ha stabilito che, per il cessionario, la cartella di pagamento è il primo atto che impone il debito, qualificandosi quindi come atto impositivo. Di conseguenza, il diniego è stato annullato e il giudizio dichiarato estinto, confermando l’accesso della società alla definizione agevolata.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Cartella di pagamento come atto impositivo: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un tema cruciale per le operazioni di M&A e, in particolare, per le cessioni di ramo d’azienda. La questione centrale è se una cartella di pagamento atto impositivo possa essere considerata tale quando notificata al cessionario per debiti tributari del cedente. La risposta affermativa della Corte apre importanti scenari per la difesa del contribuente, specialmente in relazione alle procedure di definizione agevolata delle liti.

I fatti del caso

Una società operante nel settore dei servizi ambientali, dopo aver acquisito un ramo d’azienda da un’altra impresa, si vedeva notificare una cartella di pagamento per debiti tributari che, in origine, appartenevano alla società cedente. La società acquirente contestava la propria responsabilità, sostenendo che il debito non fosse relativo al ramo d’azienda trasferito.

Mentre il contenzioso era pendente, la società presentava domanda di definizione agevolata della lite, versando la prima rata dell’importo dovuto. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate respingeva la richiesta, argomentando che la cartella di pagamento fosse un semplice atto di riscossione, e non un atto impositivo, e che quindi non rientrasse tra quelli “definibili” secondo la normativa.

La cartella di pagamento è un atto impositivo per il cessionario?

Il cuore della controversia legale risiede nella qualificazione giuridica della cartella di pagamento notificata al cessionario. Secondo l’Amministrazione Finanziaria, l’atto era puramente esecutivo, una mera richiesta di pagamento di un debito già accertato nei confronti del soggetto originario (il cedente). Per la società, invece, la cartella rappresentava il primo e unico atto con cui la pretesa fiscale veniva avanzata nei suoi confronti, assumendo di fatto una natura impositiva.

Questa distinzione non è puramente formale. Riconoscere la natura impositiva dell’atto è il presupposto fondamentale per poter accedere a strumenti di difesa e a procedure conciliative, come la definizione agevolata, che sono precluse per gli atti di mera riscossione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto la tesi della società, basando la propria decisione su un principio di diritto ormai consolidato, espresso anche dalle Sezioni Unite. Secondo i giudici, per stabilire se un atto sia impositivo, non bisogna guardare al margine di discrezionalità dell’Amministrazione, ma alla circostanza che esso sia il primo atto con cui il contribuente viene a conoscenza della pretesa fiscale.

Nel caso specifico del cessionario di un ramo d’azienda, la cartella di pagamento è un atto impositivo a tutti gli effetti. Essa, infatti, costituisce il primo provvedimento che estende la responsabilità per il debito originario a un nuovo soggetto, il quale ha il diritto di contestarne il fondamento. La società, opponendosi, non lamentava vizi formali della cartella, ma la stessa sussistenza della propria responsabilità solidale, mettendo in discussione il merito della pretesa tributaria.

La Corte ha affermato che un atto che “impone” per la prima volta una prestazione a un contribuente ha natura impositiva e, di conseguenza, la controversia che ne scaturisce è pienamente ammissibile alla definizione agevolata.

Le conclusioni

Accogliendo il ricorso contro il diniego di condono, la Corte di Cassazione ha dichiarato estinto l’intero giudizio. Avendo la società correttamente presentato la domanda di definizione agevolata e pagato la prima rata, le condizioni previste dalla legge per chiudere la lite erano state soddisfatte. La decisione del Fisco di negare l’accesso alla procedura è stata quindi ritenuta illegittima.

Questa ordinanza ha importanti implicazioni pratiche: rafforza la tutela del cessionario d’azienda, riconoscendogli il diritto di contestare nel merito le pretese tributarie ereditate e di avvalersi degli strumenti deflattivi del contenzioso. Si conferma che non è la forma dell’atto (cartella di pagamento) a definirne la natura, ma la sua funzione sostanziale nel rapporto tra Fisco e contribuente.

Una cartella di pagamento notificata al cessionario di un ramo d’azienda è un atto impugnabile nel merito?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che per il soggetto cessionario, la cartella ha natura impositiva, poiché è il primo atto con cui la pretesa fiscale viene avanzata nei suoi confronti. Pertanto, può essere impugnata per contestare il fondamento stesso della responsabilità tributaria.

Perché la qualificazione della cartella come ‘atto impositivo’ era fondamentale in questo caso?
Era fondamentale perché la normativa sulla definizione agevolata delle liti (il cosiddetto ‘condono’) ammette solo le controversie originate da atti impositivi. Qualificando la cartella in tal modo, la Corte ha riconosciuto il diritto della società ad accedere a tale procedura, contrariamente a quanto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate.

Qual è stato l’esito finale del contenzioso a seguito della decisione della Corte?
La Corte ha accolto il ricorso della società contro il diniego della definizione agevolata. Avendo accertato che la società aveva correttamente presentato la domanda e pagato la prima rata, il giudizio tributario originario è stato dichiarato estinto, ponendo fine alla controversia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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