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Carenza di interesse: ricorso inammissibile

Una società immobiliare impugna un avviso di accertamento per società non operative. Durante il giudizio in Cassazione, aderisce a una definizione agevolata. La Corte dichiara il ricorso inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, poiché l’adesione, pur se non perfettamente documentata, dimostra la volontà di non proseguire la lite.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Carenza di Interesse: Quando l’Adesione alla Rottamazione Ferma il Ricorso

L’adesione a una definizione agevolata dei debiti tributari può avere conseguenze dirette e decisive sui contenziosi in corso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come tale scelta possa determinare una carenza di interesse alla prosecuzione del giudizio, portando alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, anche in assenza di una formale rinuncia.

I Fatti di Causa

Una società immobiliare, proprietaria di un edificio di interesse storico-artistico in ristrutturazione, riceveva un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate. L’amministrazione finanziaria contestava alla società la qualifica di ‘non operativa’ per l’anno d’imposta 2006, recuperando a tassazione un reddito minimo presunto. La società si opponeva, sostenendo che l’impossibilità oggettiva di mettere a reddito l’immobile, a causa dei complessi lavori di restauro e delle necessarie autorizzazioni, giustificasse la mancata produzione di ricavi.

Il contenzioso attraversava i primi due gradi di giudizio con esiti alterni. Inizialmente, la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva le ragioni della società, ma la Commissione Tributaria Regionale, in appello, riformava la decisione a favore dell’Agenzia delle Entrate. La società, ritenendo errata la sentenza di secondo grado, proponeva quindi ricorso per Cassazione, basandosi su vizi procedurali e sulla violazione della normativa sulle società di comodo.

La Svolta: l’Adesione alla Rottamazione

Durante la pendenza del giudizio di legittimità, la società decideva di aderire alla cosiddetta ‘rottamazione quater’, una forma di definizione agevolata prevista dalla legge, pagando in un’unica soluzione le somme relative alla cartella di pagamento derivante dall’accertamento impugnato. Tuttavia, per un presunto errore, non formalizzava l’impegno, previsto dalla legge, a rinunciare al giudizio pendente.

L’impatto della carenza di interesse sul ricorso

Il nodo cruciale della vicenda, sul quale la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi, non riguarda più il merito della questione (se la società fosse o meno operativa), ma l’effetto processuale della sua adesione alla definizione agevolata. L’atto di aderire a una sanatoria e pagare le somme richieste, anche senza una formale rinuncia, manifesta una volontà incompatibile con la prosecuzione della lite? Questo comportamento determina una sopravvenuta carenza di interesse ad ottenere una pronuncia sul ricorso?

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte, con la sua ordinanza, ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno stabilito che, sebbene la documentazione prodotta non provasse in modo incontrovertibile il perfezionamento della definizione agevolata per lo specifico atto impugnato, la condotta della ricorrente era inequivocabile. L’aver manifestato la volontà di aderire alla rottamazione e aver ribadito la mancanza di interesse alla prosecuzione del giudizio è stato ritenuto un comportamento concludente.

Secondo la Corte, la dichiarazione di adesione alla definizione agevolata, ritualmente depositata in atti, è di per sé indicativa del venir meno dell’interesse alla decisione del ricorso. Questo comporta, in ogni caso, l’inammissibilità dell’impugnazione per carenza di interesse sopravvenuta. La Corte ha richiamato consolidata giurisprudenza secondo cui l’interesse ad agire (e a impugnare) deve sussistere non solo al momento della proposizione della domanda, ma per tutta la durata del processo. Quando questo interesse viene a mancare, il giudizio non può più proseguire verso una decisione di merito.

Infine, a causa delle alterne vicende processuali nei gradi precedenti, la Corte ha disposto la compensazione integrale delle spese legali tra le parti. Ha inoltre escluso l’obbligo per la ricorrente di versare il ‘doppio contributo unificato’, poiché la causa di inammissibilità è sorta dopo la proposizione del ricorso.

Conclusioni

La decisione in esame offre un importante spunto pratico per i contribuenti e i loro difensori. L’adesione a una qualsiasi forma di definizione agevolata non è una scelta neutra dal punto di vista processuale. Anche in assenza di una rinuncia esplicita e formale al contenzioso, tale adesione può essere interpretata dal giudice come una manifestazione inequivocabile della volontà di porre fine alla controversia, determinando una carenza di interesse che preclude l’esame nel merito del ricorso e ne causa l’inammissibilità.

Cosa succede a un ricorso in cassazione se il contribuente aderisce a una definizione agevolata (rottamazione)?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse. Secondo la Corte, l’adesione alla sanatoria dimostra che il ricorrente non ha più un interesse concreto a ottenere una decisione sulla lite, anche se non viene formalizzata una rinuncia al giudizio.

È necessario presentare una formale rinuncia al giudizio dopo aver aderito alla rottamazione affinché il ricorso sia inammissibile?
No, non è strettamente necessario. La Corte ha ritenuto che la sola dichiarazione di adesione alla definizione agevolata, depositata in atti, sia sufficiente a manifestare il venir meno dell’interesse a proseguire la causa, determinandone l’inammissibilità.

Se il ricorso è dichiarato inammissibile per carenza di interesse sopravvenuta, il ricorrente deve pagare il doppio del contributo unificato?
No. La Corte ha chiarito che, quando la causa di inammissibilità (come la rinuncia o la carenza di interesse) sorge dopo la proposizione del ricorso, non sussistono i presupposti per condannare il ricorrente al pagamento del cosiddetto ‘doppio contributo unificato’.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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