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Canoni non riscossi: quando si pagano le tasse?

La Corte di Cassazione ha stabilito che i canoni non riscossi derivanti da un contratto di locazione per un immobile a uso non abitativo costituiscono reddito imponibile fino a quando il contratto non viene formalmente risolto o convalidato uno sfratto. La natura fittizia dell’accordo o l’inutilizzabilità del bene sono irrilevanti ai fini fiscali.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Canoni non riscossi: Vanno sempre dichiarati? La Cassazione chiarisce

I canoni non riscossi rappresentano un problema significativo per i proprietari di immobili. La domanda cruciale è: si devono pagare le tasse su un reddito che, di fatto, non è mai stato percepito? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale per le locazioni a uso non abitativo, chiarendo quando e perché questi canoni formano reddito imponibile.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato riguarda una contribuente che aveva ricevuto un avviso di accertamento fiscale per l’anno d’imposta 2006. L’accertamento si basava sulla registrazione di un contratto di locazione, con efficacia retroattiva dal 2003, relativo a un immobile rustico situato in zona agricola.

La proprietaria si era opposta, sostenendo che il contratto fosse puramente fittizio. Secondo la sua difesa, l’accordo era stato stipulato al solo fine di permettere alla locataria di ottenere dal Comune il cambio di destinazione d’uso dell’immobile per avviare un’attività commerciale. La contribuente affermava di non aver mai ricevuto alcun canone, né di aver mai consegnato le chiavi del bene, che peraltro era un locale rustico e inutilizzabile.

Il giudice di primo grado aveva respinto il ricorso della contribuente, ritenendo irrilevante la mancata percezione dei canoni. Al contrario, la corte d’appello le aveva dato ragione, giudicando verosimile la natura fittizia del contratto, data l’inutilizzabilità dell’immobile. L’Agenzia delle Entrate ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

La Tassazione dei Canoni non Riscossi per Immobili non Abitativi

La questione giuridica centrale verteva sull’interpretazione dell’articolo 26 del d.P.R. 917/1986 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi). L’Agenzia delle Entrate sosteneva che, in base a tale norma, i redditi fondiari sono sempre imponibili e i canoni derivanti da un contratto di locazione, anche se non riscossi, devono essere computati fino a quando non intervenga una sentenza che accerti la morosità ai fini dello sfratto.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ribadendo un orientamento consolidato. I giudici hanno chiarito che, per gli immobili locati a fini diversi da quello abitativo, il reddito è determinato sulla base del canone pattuito nel contratto, indipendentemente dalla sua effettiva percezione.

Il principio cardine è che il criterio di imputazione del reddito è la titolarità del diritto reale e non l’effettiva riscossione. In altre parole, finché esiste un contratto di locazione valido ed efficace, il proprietario ha il diritto di pretendere il canone, e questo diritto genera reddito tassabile.

Questa regola si applica fino a quando non interviene una causa di estinzione del contratto, come la risoluzione per inadempimento o un provvedimento di convalida di sfratto. Solo da quel momento in poi i canoni non riscossi cessano di essere considerati reddito imponibile. La deroga prevista per le locazioni abitative (introdotta dall’art. 8 della L. 431/1998), che consente di non tassare i canoni non percepiti a partire dall’intimazione di sfratto per morosità, non si estende alle locazioni commerciali.

Conclusioni

La decisione della Cassazione conferma un principio rigoroso per i proprietari di immobili a uso commerciale, artigianale o industriale. La semplice morosità dell’inquilino non è sufficiente a escludere la tassazione dei canoni. Per evitare di pagare imposte su redditi mai incassati, il locatore deve attivarsi legalmente per ottenere la risoluzione del contratto o la convalida dello sfratto. La natura fittizia dell’accordo, se non formalmente accertata, non ha rilevanza fiscale. Questa pronuncia serve da monito: la gestione dei contratti di locazione non abitativi richiede un’attenta e tempestiva azione legale in caso di inadempimento per evitare conseguenze fiscali negative.

I canoni di locazione non riscossi per un immobile non abitativo devono essere dichiarati e tassati?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, i canoni derivanti da locazioni non abitative concorrono a formare il reddito imponibile anche se non percepiti, fino a quando non interviene la risoluzione del contratto o un provvedimento di convalida di sfratto.

La condizione di inutilizzabilità di un immobile o la natura fittizia del contratto escludono la tassazione dei canoni?
No. La sentenza chiarisce che il criterio di imputazione del reddito è la titolarità del diritto a percepire il canone, che deriva da un contratto valido e registrato. Le circostanze di fatto, come l’inutilizzabilità del bene o le intenzioni simulate delle parti, sono irrilevanti ai fini fiscali se non portano alla formale estinzione del rapporto contrattuale.

Cosa deve fare il proprietario di un immobile non abitativo per non pagare le tasse sui canoni non riscossi?
Il proprietario deve intraprendere un’azione legale per ottenere la risoluzione formale del contratto di locazione o un provvedimento giudiziale di convalida dello sfratto per morosità. Solo dal momento in cui il contratto cessa legalmente di esistere, i canoni non percepiti non saranno più soggetti a tassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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