Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27276 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5   Num. 27276  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17535/2023 R.G. proposto da : COGNOME NOME, elettivamente domiciliato  in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
 contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (P_IVA) che lo rappresenta e difende
-resistente e ricorrente incidentale-
avverso  SENTENZA  di  COMM.TRIB.REG.    ROMA  n.  4406/2023 depositata il 17/07/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO CHE
 COGNOME  ricorre  contro  la  sentenza  della  Corte  giustizia tributaria II grado del Lazio n. 4406/23, dep. il 17/07/2023.
 Il  primo  grado  di  giudizio  si  era  concluso  con  la  sentenza  n. 4551/22  del  14.04.2022,  con  la  quale  la  Commissione  Tributaria Provinciale  di  Roma  aveva  rigettato  il  ricorso  del  contribuente avverso  l’NUMERO_DOCUMENTO  di  accertamento  nNUMERO_DOCUMENTO ,  relativo  a canoni di locazione non dichiarati derivanti da un immobile concesso in godimento ad uso diverso.
 L’appello  del  contribuente  è  stato  invece  parzialmente  accolto dalla sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, nella parte in cui sarebbe emerso un reddito complessivo di € 35.600,00 e non di € 38.152,00 come invece accertato dall’ente impositore.
 Avverso  detta  decisione  propone  ricorso  per  Cassazione  il contribuente, sulla scorta di due motivi di impugnazione.
 Resiste  con  controricorso  l’RAGIONE_SOCIALE,  la  quale  ha altresì proposto ricorso incidentale.
 E’  stata,  quindi,  fissata  udienza  in  camera  di  consiglio  per  il successivo 10 settembre 2025.
CONSIDERATO CHE
L’unico motivo di ricorso è così indicato dal ricorrente:
Violazione e mancato rispetto -ai sensi dell’art. 360 n.3 c.p.c. della regola di non imputazione dei redditi, derivanti da contratti di locazione di immobili a uso diverso, che non siano stati percepiti,
dettata  dal  combinato  disposto  dell’art.  26,  comma  1,  dpr  n. 917/1986 con l’art.  53  della  Costituzione,  per  cui  il  carico  fiscale doveva  essere  ragguagliato  alla  ‘capacità  contributiva’,  cioè  alla effettiva ricchezza a disposizione del contribuente e non commisurata  a  canoni  non  percepiti  a  causa  della  morosità  del conduttore.
Vi  è  altresì  ricorso  incidentale  dell’ufficio,  basato  su  di  un  unico mezzo così compendiabile:
Violazione e falsa applicazione dell’art. 26 D.P.R. 917/86 e degli artt.  2697  e  2704  c.c.,  in  relazione  all’art.  360,  comma  1,  n.  3) c.p.c., in quanto il Giudice di seconde cure ha errato nell’escludere il  recupero  a  tassazione  dei  canoni  per  i  mesi  di  settembre  e ottobre 2015, in quanto il contribuente ha fornito una scrittura di riconsegna dell’immobile priva di data certa.
 Iniziando  dal  ricorso  principale,  occorre  rilevare  che  il  motivo proposto dal contribuente è infondato.
Afferma l’art. 26, comma 1, TUIR che ‘I redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale, salvo quanto stabilito dall’articolo 30, per il periodo di imposta in cui si è verificato il possesso. I redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito, purché la mancata percezione sia comprovata dall’intimazione di sfratto per morosità o dall’ingiunzione di pagamento. Ai canoni non riscossi dal locatore nei periodi d’imposta di riferimento e percepiti in periodi d’imposta successivi si applica l’articolo 21 in relazione ai redditi di cui all’articolo 17, comma 1, lettera n-bis). Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell’ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto
per morosità è riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare’.
Nel  caso  di  specie  è  pacifico  che  l’immobile  locato  dal  COGNOME avesse destinazione diversa da quella abitativa.
Sez. 5, sent. n. 651 del 18/01/2012, aveva affermato che in tema di imposte sui redditi, in base al combinato disposto dagli artt. 23 e 34 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, il reddito degli immobili locati per fini diversi da quello abitativo – per i quali opera, invece, la deroga introdotta dall’art. 8 della legge 9 dicembre 1988, n. 431 – è individuato in relazione al reddito locativo fin quando risulta in vita un contratto di locazione, con la conseguenza che anche i canoni non percepiti per morosità costituiscono reddito tassabile, fino a che non sia intervenuta la risoluzione del contratto o un provvedimento di convalida dello sfratto.
Regola fondamentale, quindi, è rappresentata dalla rilevanza reddituale dei canoni da locazione ad uso commerciale o diverso, indipendentemente dalla loro effettiva percezione, durante la vigenza contrattuale, tanto è vero che la più recente Sez. 5, ord. n. 16981 del 13/08/2020, ha stabilito che in tema di IRPEF, anche il reddito fondiario derivante dalla locazione di un immobile sottoposto a pignoramento concorre alla formazione del reddito complessivo del debitore esecutato, a norma dell’art. 26 (già 23), comma 1, T.U.I.R., indipendentemente dalla percezione dei canoni.
Va considerato -così rispondendo anche alla sollecitazione relativa ad una presunta violazione dell’art. 53 Cost effettuata dal ricorrente -che la disposizione richiamata è già stata, in un recente passato, oggetto di scrutinio di costituzionalità, in quanto con ordinanza del 16 aprile 2019 la CTR della Toscana aveva sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 53, primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 1, «seconda parte», del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 ‘nella parte in cui, in particolare, nel prevedere che il reddito dei
canoni non percepiti dai soggetti che possiedono immobili a titolo di proprietà non concorre alla formazione del reddito, subordina detta previsione alla sola conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore’.
Orbene, la Corte cost., dopo aver ricordato che la Corte di cassazione ha reiteratamente affermato che, dato il tenore della norma, la deroga introdotta dalla l. n. 431/98 non può essere estesa ai contratti di locazione ad uso non abitativo, ovverosia destinati ad uso ufficio e ad uso commerciale. Tale provvedimento, pertanto, dopo aver ritenuto che ‘il criterio di imputazione del reddito di locazione in questi casi prescinde, dunque, dalla effettiva percezione dei canoni (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 18 gennaio 2012, n. 651; più recentemente, Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 14 aprile 2022, n. 12254)’, ha dichiarato inammissibile per difetto di rilevanza la questione, posto che l’ordinanza remittente ha sollevato il dubbio di legittimità ‘senza prendere in alcun modo in considerazione quella singolare asimmetria rispetto ai contratti di locazione ad uso non abitativo che, come si è descritto in precedenza, ha caratterizzato lo sviluppo dell’ordinamento’ (Corte cost. 23/06/2022, n. 196).
Peraltro, prima della rinumerazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni del TUIR, la norma de qua era contenuta all’art. 23, rispetto al quale la Corte cost. 02/08/2000, n. 362, aveva dichiarato l’infondatezza di plurimi dubbi di costituzionalità, rilevando che ‘la capacità contributiva, quale idoneità alla obbligazione di imposta, desumibile dal presupposto economico al quale l’imposta è collegata, può essere ricavata, in linea di principio, da qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore, salvo il controllo di costituzionalità, sotto il profilo della palese arbitrarietà e manifesta irragionevolezza (v., da ultimo, sentenze n. 143 del 1995, n. 315 del 1994 e n. 42 del 1992), ipotesi che qui non ricorrono’.
Ciò posto, la sentenza impugnata appare in linea con i precedenti di questa Corte, cui questo collegio intende dare continuità.
Si legge infatti nella motivazione che ‘dal calcolo soprariportato non possono essere escluse, come ritenuto dall’appellante, i canoni relativi ai mesi di luglio e agosto 2015 in quanto anche se gli stessi non fossero stati corrisposti, ai sensi dell’articolo 26 del TUIR, il reddito imponibile degli immobili locati è quello risultante dal contratto di locazione, a nulla rilevando la concreta percezione degli stessi. In base alla medesima disposizione, il reddito degli immobili locati per uso diverso dall’abitativo è individuato in relazione al reddito locativo fin quando risulta in vita un contratto di locazione, con la conseguenza che anche i canoni non percepiti dal conduttore costituiscono reddito tassabile fino a che non sia intervenuta la risoluzione del contratto, che nel caso specifico è avvenuta in data 15/09/2015. L’attribuzione alla risoluzione consensuale del contratto di locazione di un effetto naturalmente retroattivo è peraltro escluso, in via generale, dalla disposizione di cui all’art. 1458 c.c., comma 1, (dettata in tema di risoluzione per inadempimento ma applicabile, salva diversa volontà RAGIONE_SOCIALE parti, anche alla risoluzione consensuale), secondo la quale, nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite, cosicché – per quanto nella specie rileva – non viene meno l’obbligo di pagamento del canone di locazione per il periodo precedente alla risoluzione, durante il quale il conduttore ha goduto (o avrebbe potuto godere) della disponibilità dell’immobile locato. L’accordo transattivo registrato nel maggio 2016 con il quale il contribuente ha rinunciato al pagamento RAGIONE_SOCIALE mensilità di luglio ed agosto 2015, ha una rilevanza esclusivamente inter partes che non produce effetti sulla ripresa a tassazione operata dall’Ufficio’.
Non  sussiste,  pertanto,  l’invocata  violazione  di  legge  dedotta  dal ricorrente principale.
incidentale
Occorre a questo punto occuparsi del ricorso proposto dall’ufficio, il quale, a ben vedere, risulta inammissibile.
Esso censura, infatti, la sentenza impugnata nella sola parte in cui ha espunto dal reddito imponibile due mensilità di canone -per i mesi  di  ottobre  e  novembre  2015 -dopo  aver  accertato  che  la risoluzione contrattuale era intervenuta nel settembre dello stesso anno  e  che  il  locale,  successivamente,  per  i  mesi  di  ottobre  e novembre, era rimasto ‘sfitto’.
Pertanto, pur richiamandosi formalmente ad un vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c., in realtà il motivo pretende inammissibilmente di ottenere  in  questa  sede  un  ulteriore  grado  di  giudizio  sui  fatti accertati dal giudice del merito ed una rivisitazione RAGIONE_SOCIALE prove già esaminate  dalla  CTR  di  Roma  con  motivazione  che  non  appare illogica o apparente.
Tale conclusione discende da una condivisibile ed assolutamente costante giurisprudenza per la quale ‘deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme’ (Sez. 2, ord. n. 10927 del 23/04/2024); in precedenza anche Sez. U, sent. n. 34476 del 27/12/2019 ha affermato esplicitamente che ‘è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito’. Peraltro, l’irrilevanza dei suddetti provvedimenti penali (che non sono provvedimenti di assoluzione nel merito come affermato dal ricorrente) è stata saggiata affrontata dalla decisione impugnata con una motivazione adeguata
e supera certamente il minimo costituzionale, non potendo perciò, essere nuovamente rimessa in discussione.
In definitiva, pertanto,  sia il ricorso principale  che  quello incidentale devono essere respinti, con conseguente compensazione  RAGIONE_SOCIALE  spese  del  giudizio,  attesa  la  soccombenza reciproca.
Occorre,  infine,  dare  atto  dei  presupposti  per  il  raddoppio  del contributo  unificato,  se  ed  in  quanto  dovuto  per  legge,  a  carico della parte ricorrente principale.
Quanto all’impugnazione incidentale, poiché invece il rigetto concerne la parte ammessa  alla prenotazione a debito del contributo  unificato  per  essere  amministrazione  pubblica  difesa dall’Avvocatura  RAGIONE_SOCIALE  dello  Stato,  non  si  applica  l’art.  13, comma 1- quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La  Corte,  rigetta  il  ricorso  principale  e  dichiara  inammissibile  il ricorso incidentale.
Compensa le spese processuali del presente giudizio.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. 115/2002, inserito dall’art. 1, comma  17,  della l. n. 228/2012, dà atto della sussistenza  dei  presupposti  per  il  versamento,  a  carico  della  sola parte ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo  unificato,  nella  misura  prevista  per  il  ricorso,  se  ed  in quanto dovuto per legge.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  del  10  settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME