Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30963 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 30963 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 03/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29211/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura in calce al ricorso, elettivamente domiciliata presso lo studio COGNOME ed associati in Roma alla INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso la stessa domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 3908/2016 depositata in data 17/06/2016, non notificata; udita la relazione della causa nell ‘ adunanza camerale del 4/10/2024 tenuta dal consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
L’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Roma, emetteva due avvisi di accertamento nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, in relazione alle somme a quest’ultima attribuite in forza di un contratto intercorso con la RAGIONE_SOCIALE. RAGIONE_SOCIALE, conduttrice di un immobile del quale ella era proprietaria, recuperando a imposizione maggior reddito a fini Ires e Irap per l’anno di imposta 2009 e a fini Iva per l’anno di imposta 2010.
La Commissione tributaria provinciale (CTP) di Roma rigettava i ricorsi, proposti separatamente e poi riuniti, evidenziando che i canoni di locazione di immobili non abitativi devono essere sempre dichiarati anche se non riscossi fino a quando non avvenga la risoluzione del contratto, per cui i canoni del 2009 del primo trimestre 2010 dovevano concorrere come ricavi alla formazione del reddito di impresa, in base al principio di competenza, anche se non riscossi e non fatturati; in merito al recupero IVA la società avrebbe dovuto assoggettare a IVA i canoni di locazione, ai sensi dell’art. 6, comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972.
La Commissione tributaria regionale del Lazio (CTR) rigettava l’appello della società . In particolare, i giudici del gravame evidenziavano che l’accordo tra RAGIONE_SOCIALE e Anagnina con cui era risolto, alla data del 24 marzo 2010, il contratto di locazione (accordo prodotto in appello) non poteva qualificarsi come transazione, mancando le reciproche concessioni tra le parti, e che l’indennizzo risarcitorio versato dalla prima alla seconda doveva considerarsi pagamento dei canoni dell’anno 2009 e dei primi tre mesi del 2010 e quindi adempimento del contratto medesimo, con conseguente rilevanza ai fini dell’imposizione diretta e indiretta ; evidenziavano altresì che l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro emesso dall’Agenzia delle entrate , e invocato dalla società a fondamento della
effettiva natura di transazione dell’accordo , era stato poi annullato in autotutela dall’ufficio. Specificavano che pertanto, tenuto conto delle ulteriori pertinenti argomentazioni del giudice di primo grado, l’avviso di accertamento era legittimo.
Contro tale decisione la società propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
L ‘ Agenzia delle entrate resiste con controricorso. La causa è stata fissata per l’adunanza camerale de l 4/10/2024.
CONSIDERATO CHE
1 . Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., la società contribuente lamenta violazione e fa lsa applicazione dell’art. 1965 cod. civ. laddove la CTR ha ritenuto che mancasse, nell’accordo in questione, il requisito delle reciproche concessioni; premesso infatti che i sacrifici di ordine patrimoniale nella transazione possono avere contenuto estremamente variabile e che essi devono essere rivolti a prevenire o porre fine ad una lite e precisato che le rinunce non devono espressamente riportate nel contratto ma è sufficiente che siano desumibili dal rapporto, nel caso di specie l ‘ Anagnina aveva rinunciato ad azionare il decreto ingiuntivo già ottenuto per i canoni del 2008 e ad agire per il risarcimento di tutti i danni subiti, accettando peraltro un importo inferiore ai canoni scaduti e rimasti inadempiuti.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 cod. civ., laddove la CTR ha omesso di dare rilievo al senso letterale delle parole utilizzate nell’accordo, ove si fa espresso riferimento alla natura transattiva.
I due motivi sono inammissibili.
2.1. Per come emerge dalla sentenza di appello che richiama la sentenza di primo grado, la ripresa fiscale è stata effettuata in
applicazione del principio per cui trattandosi di immobili merce, i canoni di locazione sono ricavi, per cui si applica l’art. 109, comma 2, t.u.i.r., e quindi essi sono soggetti a imposizione anche se non riscossi o fatturati; l’accordo invocato dalla società proverebbe la vigenza del contratto fino al 24/03/2010.
Il principio affermato da questa Corte (Cass. 21/10/2020, n. 22606; analogamente Cass. 21/11/2019, n. 30372) è, infatti, nel senso che «In tema di redditi di impresa, i ricavi derivanti dai canoni di locazione devono considerarsi conseguiti, ai sensi dell’art. 109, comma 2, lett. b), TUIR, alla data di maturazione dei medesimi, in quanto, fino all’eventuale risoluzione del contratto, non possono essere qualificati come componenti positivi dei quali non sia certa l’esistenza o la determinazione dell’ammontare, a prescindere dalla concreta corresponsione (Cass. 11/05/2018, n. 11556; in senso conforme, con riferimento al reddito fondiario derivante dalla locazione di immobili ad uso commerciale: Cass. 18/01/2012, n. 651; 28/09/2016, n. 19240)».
Questa è la motivazione principale della CTP richiamata dalla CTR laddove afferma che «tenuto conto delle ulteriori pertinenti argomentazioni del giudice di primo grado, l’avviso di accertamento è legittimo» e ne riporta ampiamente il contenuto nella parte espositiva dello svolgimento processuale.
Con tale argomentazione i due motivi non si confrontano affatto, neanche spiegando perché, pur essendo in presenza di un accordo transattivo, esso avrebbe avuto effetti sulla data di cessazione del rapporto contrattuale.
2.2. A tale ragione di inammissibilità se ne accompagna una ulteriore in relazione al primo motivo.
Premesso che l’affermazione della CTR è corretta laddove afferma che per aversi transazione ai sensi dell’art. 1965 cod. civ. occorre che
le parti operino reciproche concessioni, il motivo sconta patente ragione di inammissibilità laddove deduce che la CTR avrebbe dovuto riconoscere il carattere transattivo dell’accordo in base a «tutta la documentazione fornita dalla ricorrente nel corso del giudizio», senza alcuna ulteriore precisazione; inoltre essa si limita a descrivere una asserita rinuncia della RAGIONE_SOCIALE ad una parte del credito, attraverso l’introduzione di dati di fatto che non è chiaro se si ricavino a meno dall’accordo in questione.
2.3. Anche il secondo motivo sconta un’ulteriore ragione di inammissibilità.
Costante orientamento di questa Corte ritiene che, in tema di interpretazione del contratto, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto; il rilievo da assegnare alla formulazione letterale dev’essere verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, e le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al loro coordinamento a norma dell’art. 1363 cod. civ., dovendosi intendere per «senso letterale delle parole» tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole; il giudice deve collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (di recente Cass. 29/04/2024, n. 11475).
Nel caso di specie, il motivo contiene una generica affermazione di prevalenza del significato letterale delle parole, omettendo ogni indicazione concreta delle espressioni o delle clausole la cui interpretazione da parte della CTR debba essere considerata irrispettosa della predetta regola.
3. Pertanto il ricorso va respinto.
Alla soccombenza segue condanna al pagamento delle spese di lite.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a pagare in favore dell’Agenzia delle entrate le spese di lite che liquida in euro 7.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2024.