Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16850 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16850 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18369/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME e COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
-controricorrente-
nonché contro
COMUNE DI NAPOLI
-intimato- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 10542/2018 depositata il 03/12/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.La società RAGIONE_SOCIALE impugnava il diniego relativo ad istanza di rimborso per il pagamento di canoni ritenuti non dovuti per gli anni 2009- 2013 per la somma di euro 91.954,78, oltre interessi maturati, nonché per il rimborso di euro 37.209,24 per le annualità 2014 -2015, assumendo di aver versato l’imposta di pubblicità in misura superiore a quella prevista dalla legge. In particolare, sosteneva che la tariffa ordinaria fissata dal d.lgs. n. 507 del 1993, in forza dell’articolo 11 della legge 449 del 1997 poteva essere aumentata dai Comuni fino a un massimo del 50%; tale norma veniva poi abrogata dall’articolo 23 del d.l. n. 83 del 2012, rimuovendo dal nostro ordinamento la facoltà di aumento dell’imposta annuale a partire dall’anno 2013.
Deduceva altresì che, alla luce di tale disciplina normativa, il Comune di Napoli tassava la pubblicità sugli impianti applicando sulla tariffa ordinaria un’ulteriore aumento del 20% ai sensi del citato articolo 11 e nel contempo con il Piano Generale degli impianti del 1999, approvato con delibera del consiglio comunale del 24 settembre 1999 n. 296, stabiliva che, in sostituzione della tassa per l’occupazione di spazi su aree pubbliche abolita dal 1 gennaio 1999 con d.lgs. n. 446 del 1997, solo per coloro che occupano aree del demanio o del patrimonio disponibile del comune ovvero per le strade comunque situate all’interno del centro abitato, viene determinato un canone espresso in metri quadri non di proiezione ma di superficie pubblicitaria.
La commissione tributaria provinciale di Napoli respingeva il ricorso del contribuente, mentre la commissione tributaria regionale della Campania adita dalla società contribuente, nel confermare la decisione di prime cure, respingeva l’impugnazione della società.
A fondamento del decisum, il giudice del gravame rilevava che: –
il Comune di Napoli con la deliberazione n. 419/1999 non aveva escluso l’applicazione dell’imposta comunale sulla pubblicità (hinc: I.C.P.), sostituendola con il C.I.M.P. (canone di installazione dei mezzi pubblicitari), non avendo adottato il regolamento attuativo previsto dall’art. 62 d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (per il C.I.M.P.), «essendo necessaria l’adozione di un regolamento attuativo previsto solo in prospettiva futura»;
detta ultima deliberazione del consiglio comunale (n. 419/1999), che aveva approvato il Piano Generale degli Impianti (P.G.I.), infatti, non aveva introdotto il canone di installazione dei mezzi pubblicitari di cui all’art. 62 d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (C.I.M.P.), ma il canone per la locazione dei luoghi pubblici necessari all’installazione degli impianti pubblicitari compresi nel P.G.I. di Napoli, in luogo della tassa per l’occupazione di spazi su aree pubbliche, canone questo che si era aggiunto all’I.C.P., avendo natura e presupposti di applicabilità diversi;
tale canone sostitutivo dell’imposta comunale (comprendente in sé un tributo ed un canone concessorio) aveva accorpato sia l’imposta comunale di pubblicità, che il canone di locazione sulla scorta di una medesima base di calcolo, costituita dalla superficie pubblicitaria, da non confondere, quindi, con il C.I.M.P., che costituiva invece un tributo interamente sostitutivo dell’I.C.P.;
il progressivo aumento del canone di locazione (stabilito, ai sensi dell’art. 3 delle norme transitorie del citato piano, nella misura del 30% nel 2000, del 60% nel 2001 e del 100% nel 2002) non andava assolutamente confuso con l’aumento tariffario (stabilito nei limiti del 25% rispetto alla tariffa dell’I.C.P. fissata nel 1998)
previsto dal citato art. 62 per il C.I.M.P., il che rendeva infondato il motivo di appello concernente la dedotta violazione della riserva di legge e «del principio di irretroattività» (così nella sentenza impugnata); – l’ordinanza sindacale n. 223 del 31 dicembre 2001 non aveva introdotto il regime tariffario del C.I.M.P., ma si era limitato a convertire in euro le tariffe (espresse in lire) dei canoni pubblicitari, per cui risultava irrilevante la sentenza del T.A.R. n. 9438/2004, che aveva annullato tale ordinanza;
la determinazione del già menzionato canone dell’I.C.P. non aveva comportato maggiorazioni superiori (del 25%) rispetto alle tariffe originarie di cui all’art. 12 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, aggiornate con deliberazione del consiglio comunale n.80/1998, essendosi aggiunto detto canone all’I.C.P. con un aumento del 20%, il cui cumulo doveva considerarsi consentito dall’art. 9, comma 7, d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507;
-nella fattispecie, pertanto, l’istanza di rimborso risultava destituita di fondamento in quanto «per la zona Rossa, che qui interessa», il Comune di Napoli aveva dato applicazione all’imposta comunale sulla pubblicità nei limiti della tariffa legittimamente vigente cui si era aggiunto un canone di locazione, con la prevista riduzione di esso canone di locazione nel caso di collocazione degli impianti pubblicitari su suolo privato»; e la contribuente, nei versamenti eseguiti, si era doverosamente attenuta a detti importi; che dal materiale documentale acquisito agli atti è possibile rilevare che nell’anno 1994 il consiglio comunale di Napoli con deliberazione n. 354 approvava il regolamento per l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità in attuazione del d.lgs. n. 507 del 1993 e successivamente con deliberazione n. 80 del 1998, il consiglio comunale di Napoli aumentava le tariffe base dell’imposta comunale sulla pubblicità del 20% in conformità a quanto disposto dall’articolo 11 della legge n. 449 del 1997. Nel 1999, con deliberazione n. 419, il consiglio comunale di Napoli approvava il
piano generale degli Impianti pubblicitari. Non escludendo l’applicazione dell’imposta comunale sulla pubblicità, ma introducendo in luogo di essa il canone di cui all’art. 62 d.lgs. n. 446/1997, accorpato, con regolamento, al canone per l’occupazione delle aree pubbliche… sotto il nome di canone sostitutivo dell’imposta comunale che non va confuso con il CIMP>. In conclusione, la Corte distrettuale rigettava il gravame.
Avverso la decisione n. 10542/2018, la società contribuente propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. La società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione replica con controricorso.
MOTIVI DI DIRITTO
1.Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 62 del d.lgs. 15 novembre 1997, n. 446, nonché dell’art. 12 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.. Si critica la decisione impugnata in quanto il Comune di Napoli ha escluso l’applicazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e ha disposto l’applicazione del canone sostitutivo dell’imposta sulla base delle tariffe aumentate di oltre il 25% di cui all’ordinanza del 31 dicembre 2001, annullata definitivamente dalla sentenza del TAR Campania n. 9438 del 14 giugno 2004; che, pertanto, il canone sostitutivo dell’imposta sulla pubblicità applicato dal Comune supera il limite di legge fissato dal cit. art. 62, comma 2, lett. d) rappresentato dal 25% in più delle tariffe dell’imposta comunale sulla pubblicità deliberate prima della sostituzione dell’imposta con il successivo canone. Si soggiunge , tra l’altro, che l’art. 23 d.l. n. 83/2012 ha disposto l’abrogazione dell’art. 11 legge n. 449/1997 e pertanto è venuta meno la facoltà delle amministrazioni comunali di aumentare l’imposta comunale sulla pubblicità sino al 50% prevista dalla norma abrogata, che, a decorrere dall’anno 2013 le tariffe sono riportate a quelle fissate nel capo I del d.lgs. n. 507/1993, quindi da detta annualità il canone sostitutivo
dell’imposta (CIMP) non può superare il 25% in più delle tariffe comunali fissate nel capo I d.lgs. n. 507/1993; – che, pertanto, il Comune di Napoli ha escluso con atto normativo regolamentare (PGI) l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità a favore di un canone sostitutivo della stessa di cui la sentenza impugnata non ha preso atto.
2. Il secondo strumento di ricorso denuncia la violazione dell’art. 62 del d.lgs. 15 novembre 1997, n. 446, nonché degli art. 5 e 7 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.; per avere la Corte distrettuale affermato che il canone per l’imposta sulla pubblicità e quello di locazione sono stati accorpati sotto la denominazione canone sostitutivo dell’imposta comunale, avendo le due imposte la medesima base imponibile costituita dalla superficie pubblicitaria. Si argomenta che l’affermazione contrasta con il contenuto del piano Generale degli impianti là dove l’ente locale ha escluso l’applicazione sul proprio territorio dell’imposta pubblicitaria di cui al Capo I d.lgs. n. 507/1993, dal primo gennaio 2002, abrogando il regolamento Affissione e pubblicità approvato con delibera consiliare n. 358 del 27 settembre 1994 e successive modifiche, nonché la delibera consiliare n. 287 del 5 giugno 1978 e quella commissariale n. 1338 del 3 dicembre 1993 relative ai canoni per gli impianti pubblicitari all’interno degli stabilimenti comunali. Pertanto, il nuovo canone CIMP sarebbe stato introdotto dal Comune di Napoli nel 1994 con PGI nel quale è agevole riscontrare le caratteristiche di un regolamento, essendo riconoscibili gli elementi di cui al cit. art. 62, il quale prevede che .
3. Il terzo mezzo di ricorso, proposto ai sensi dei nn. 3 e 5 dell’art. 360, primo comma, c.p.c., denuncia la violazione dell’art. 62 d.lgs. 15 dicembre 1997 n. 446 ed omessa e insufficiente motivazione; la società contribuente reitera le difese svolte con i primi due motivi di ricorso richiamando nuovamente il PGI e l’ordinanza del 31 dicembre 2001 annullata dal T.A.R. Campania. Dall’altra si afferma che la sentenza d’appello in realtà riproduce il testo di un controricorso del Comune depositato in altro giudizio, insistendo sulla circostanza che l’imposta comunale sulla pubblicità non ha la medesima base di calcolo del canone di locazione dei luoghi pubblici, la cui tariffa non è predeterminata dalla legge, mentre quella sulla pubblicità è stabilita dall’art. 12 d.lgs. n. 507/1993. In ogni caso, si sostiene che nel giudizio di merito si era dedotta l’illegittimità della parametrazione del canone di locazione alla superficie della esposizione del cartello in luogo della occupazione dalla proiezione a terra della superficie di esposizione del cartello pubblicitario, in guisa che l’art. 3 del PGI doveva essere disapplicato o considerato abrogato in virtù dell’art. 4 delle Preleggi in quanto a seguito della modifica con legge n. 388/2000 dell’art. 9 d.lgs. n. 507/1993, il quale stabilisce che il pagamento dei canoni di locazione o di concessione va commisurata alla effettiva occupazione del suolo pubblico del mezzo pubblicitario. Sulla questione sottoposta al giudice di merito, nulla è stato statuito in sentenza, omettendo il decidente di esaminare . In altri termini, nel non prendere in considerazione l’abrogazione implicita del PGI, la CTR avrebbe
omesso di esaminare la relativa eccezione, in violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.
L’ultimo strumento di impugnazione prospetta ancora una volta la violazione dell’art. 62 del d.lgs. 15 novembre 1997, n. 446, nonché degli art. 5, 7, 38 e 42 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.; per avere il giudice regionale affermato che il canone applicato è dato da una componente tributaria ( ICP) e una non tributaria(canone di locazione degli spazi pubblicitari), con la conseguenza che avrebbe dovuto dichiarare il difetto di giurisdizione rispetto al canone di locazione dei luoghi pubblici aggiunto all’imposta sugli impianti pubblicitari. Insistendo che in realtà l’unica interpretazione possibile della natura del canone in oggetto non sia quella del cumulo die fattispecie, ma esclusivamente un unico canone, il CIMP, istituito ai sensi dell’art. 62 d.lgs. n. 446/1997.
Disattesa l’eccezione di inammissibilità per la rispondenza della modalità di notifica del ricorso alle norme codicistiche, non trovando applicazione nel giudizio di legittimità le norme del processo tributario (d.lgs. n. 546/1992), il ricorso, pur nell’articolazione di motivi in gran parte sovrapponibili, è destituito di fondamento.
6.Le prime tre censure, da divisarsi congiuntamente, sono inammissibili, prima ancora che infondate.
6.1. La ragione del contendere, tra le parti, rinviene, come anticipato, dal silenzio rifiuto che si è formato su di un’istanza di rimborso presentata dalla contribuente. Detta istanza è fondata ( causa petendi ) «sulle eccedenze (rispetto al limite ex lege nella determinazione del CIMP) indebitamente riscosse dal Comune>.
Oggetto del contenzioso, infatti, è il canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari (CIMP) che sarebbe stato introdotto sul territorio comunale con il Piano Generale degli Impianti del 1999 a sensi e per gli effetti dell’art. 62 del d.lgs. n. 446/1997 e ss.mm. a
decorrere dall’anno 2002 e determinato sulla base delle tariffe di cui all’ordinanza sindacale 31.12.2001, peraltro annullata con sentenza passata in giudicato del TAR Campania».
6.2.Il titolo dell’istanza di rimborso si identificava con l’indebito impositivo correlato alla disciplina del canone per l’installazione di mezzi pubblicitari, disciplina che, all’art. 62, comma 2, lett. d) ed f), d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, contempla una potestà impositiva del Comune da correlare ad un trattamento di tariffa ad ogni modo non superiore del 25% rispetto alla tariffa fissata per l’imposta comunale sulla pubblicità ovvero da ridurre «di almeno un terzo rispetto agli analoghi mezzi pubblicitari installati su beni pubblici» ; ora è del tutto evidente che, secondo i contenuti decisori propri (sopra ripercorsi) della gravata sentenza, dall’esclusione di una siffatta fattispecie impositiva -in quanto il Comune di Napoli non aveva istituito il canone (CIMP) di cui all’art. 62, cit., e diversamente aveva dato applicazione all’imposta comunale sulla pubblicità cui si era aggiunto un canone di locazione (previsto nel Piano Generale degli Impianti) da ricondurre al d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 9, comma 7,conseguiva l’infondatezza dell’istanza di rimborso che, come detto, trovava il proprio titolo in una fattispecie impositiva che non si era realizzata.
6.3. Posto, allora, che non è condivisibile la censura secondo la quale il giudice del gravame avrebbe fatto coesistere il canone di locazione (previsto dall’art. 3 del PGI) col canone per l’installazione di mezzi pubblicitari (CIMP) – perché il senso della pronuncia impugnata risiede nell’aver escluso, nella fattispecie, l’adozione del canone per l’installazione di mezzi pubblicitari (CIMP) -va rilevato che, come la Corte ha in più occasioni rimarcato, l’interpretazione di un atto amministrativo, risolvendosi nell’accertamento della
volontà della P.A., è riservata al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e immune dalla violazione delle norme sull’interpretazione dei contratti, applicabili anche agli atti amministrativi, tenendo conto dell’esigenza di certezza dei rapporti e del buon andamento della P.A, così che (Cass., 23 febbraio 2022, n. 5966; Cass. Sez. U., 25 luglio 2019, n. 20181; Cass., 23 luglio 2010, n. 17367; Cass., 24 gennaio 2007, n. 1602). Nella fattispecie, in conclusione, si deduce un vizio di qualificazione giuridica della fattispecie che si risolve nella (mera) riproposizione di argomenti già sottoposti all’esame del giudice del merito; riproposizione che, a sua volta, non offre una qualche ricostruzione degli specifici contenuti degli atti evocati né dà conto dei criteri di ermeneutica (in ipotesi) violati rispetto alla qualificazione giuridica della fattispecie operata dalla gravata sentenza (Cass. n. 32055/2023).
7.Le questioni insite nella introduzione del CIMP in luogo dell’ICP sono state esaminate e decise da questa Corte (in termini: Cass, 14 luglio 2023, n. 20218 Cass., Sez. 5^, 17 novembre 2021, n. 35089; Cass., Sez. 5^, 18 novembre 2021, n. 35336; Cass., Sez. 5^, 24 4 gennaio 2022, n. 1951) con argomentazioni in punto di diritto che il collegio ritiene di confermare e ribadire -per quanto possa rilevare – anche in questa sede.
7.1. In disparte che non sussistono importi di tariffa predeterminati «sulla base della legge» ché, difatti, l’art. 62, comma 2, lett. d),
reca (solo) la predeterminazione dei relativi criteri di determinazione che, ad ogni modo, sono rimessi alla potestà regolamentare del Comune – è (del tutto) evidente che, in termini generali, alle previsioni del Piano generale degli impianti deve riconoscersi una valenza essenzialmente pianificatoria (in tali termini rilevante, peraltro, nella stessa disciplina dell’imposta comunale sulla pubblicità; v. Corte Cost., 17 luglio 2002, n. 355) e che l’istituzione del canone per l’installazione di mezzi pubblicitari avrebbe richiesto l’adozione di una conseguente disciplina regolamentare che – seppur prevista dalla legislazione nazionale secondo un contenuto regolatorio sostanzialmente omologo a quello della imposta comunale sulla pubblicità, «quanto agli elementi strutturali e procedimentali che li caratterizzano» (così Corte Cost., 8 maggio 2009, n. 141; v., altresì, Cass., 24 gennaio 2022, n. 1951, in motivazione) – per come assume lo stesso giudice del gravame, nella fattispecie non è stata adottata; così che, in difetto del regolamento previsto dall’art. 62, cit., non potrebbe che trovare applicazione la disciplina sulla imposta comunale sulla pubblicità (d.lgs. n. 507 del 1993).
7.2.Con l’adozione del piano generale degli impianti pubblicitari, il Comune provvede alla razionale distribuzione sul territorio degli impianti pubblicitari, indicando i siti ove è possibile collocare gli stessi. Il piano generale degli impianti pubblicitari costituisce, dunque, l’indefettibile presupposto per il rilascio delle autorizzazioni per impianti pubblicitari, dal momento che, in assenza di precise scelte compiute a monte (in sede di pianificazione), non potrebbe orientarsi l’attività autorizzatoria in maniera coerente con l’esigenza di un’equilibrata protezione della variegata trama dei molteplici interessi – di natura urbanistica, edilizia, economica, culturale, viaria – tra loro interferenti e che in diversa misura vengono in rilievo nell’attività pubblicitaria. In definitiva, riconducendo le
fattispecie alle classificazioni introdotte dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, si può ritenere che (Cons. Stato, Sez. 5^, 21 giugno 2007, n. 3389).
7.3. L’atto generale, a differenza di quello normativo, non pone alcuna disciplina generale e astratta dei rapporti giuridici e non innova l’ordinamento giuridico ed è rivolto alla cura concreta d’interessi pubblici, seppure a destinatari indeterminati. Al contrario, l’atto normativo integra una fonte secondaria rispetto all’atto legislativo, che integra una fonte primaria, disciplina in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente innovativa rispetto all’ordinamento giuridico esistente, e lo fa con precetti che presentano i caratteri della generalità e dell’astrattezza, intesi essenzialmente come ripetibilità nel tempo dell’applicazione delle norme e non determinabilità dei soggetti cui si riferiscono (Cons. stato, Sez. 4^, 16 febbraio 2012, n. 812; Cons. stato, Sez. 4^, 28 febbrai2012, n. 1120; Cons. Stato, Ad. Plen., 4 maggio 2012, n. 9).
7.4.In linea di principio, il prelievo tributario ICP/CIMP è cumulabile con il canone concessorio non tributario, data la diversità del titolo di pagamento e considerato che lo stesso legislatore ha espressamente stabilito per l’ICP, all’art. 9, comma 7, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, che: «Qualora la pubblicità sia effettuata su impianti installati su beni appartenenti o dati in godimento al Comune, l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità non esclude quella della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, nonché il pagamento di canoni di locazione o di concessione commisurati, questi ultimi, alla effettiva occupazione del suolo pubblico del mezzo pubblicitario» (in senso analogo, nella precedente disciplina dell’ICP, l’art. 18 del d.P.R. 27 ottobre 1972,
n. 639, stabiliva che: «Qualora la pubblicità sia effettuata su beni di proprietà comunale o dati in godimento al Comune, ovvero su beni appartenenti al demanio comunale, la corresponsione della imposta non esclude il pagamento di eventuali canoni di affitto o di concessione, né l’applicabilità della tassa per l’occupazione dello spazio ed aree pubbliche») (tra le tante: Cass., Sez. 5^,27 luglio 2012, n. 13476; Cass., Sez. 5^, 11 maggio 2017, n. 11673; Cass., Sez. Un., 18 settembre 2017, n. 21545; Cass., Sez. 5^, 24 gennaio 2022, n. 1951 – vedasi anche: Cons. Stato, Sez. 5^, 22 ottobre 2015, n. 4857).
7.5.La diversità dei presupposti rende cumulabili anche i tributi alternativi ICP/CIMP, da un lato, e i prelievi TOSAP/COSAP, dall’altro: del resto, la disciplina legislativa -nell’ipotesi di occupazione di beni pubblici a fini pubblicitari – espressamente non esclude che la TOSAP o il COSAP si cumulino con l’ICP (comma 7 dell’art. 9 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507; comma modificato dal comma 55 dell’art. 145 della legge 23 dicembre 2000, n. 388) e prevede, anzi, che la tariffa del CIMP sia «comprensiva» della RAGIONE_SOCIALE o del COSAP (comma 2, lett. d, dell’art. 62 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446; lettera modificata dal comma 5, lett. b, dell’art. 10 della legge 28 dicembre 2001, n. 448).
7.6. Ciò detto, nella vicenda in disamina, sulla scorta delle risultanze processuali, si evince che: – con delibera adottata dal Consiglio Comunale il 26 febbraio 1998, n. 80, il Comune di Napoli aveva deciso di applicare, per l’anno d’imposta oggetto dell’atto impositivo opposto, alla tariffa ICP (fissata per i Comuni di classe I^ nella misura di £ 32.000/mq.) la maggiorazione del 20% ai sensi dell’art. 11, comma 10, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (a tenore del quale: «10. Le tariffe e i diritti di cui al capo I del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, e successive modificazioni, possono essere aumentati dagli enti locali fino ad un massimo del 20 per cento a decorrere dal 1° gennaio 1998 e fino
ad un massimo del 50 per cento a decorrere dal 1° gennaio 2000 per le superfici superiori al metro quadrato, e le frazioni di esso si arrotondano al mezzo metro quadrato»), determinandone l’importo nella misura di £38.400/mq., che è stato confermato fino al 31 dicembre 2001 con delibera adottata dal Consiglio Comunale l’11 maggio 2001, n. 5; – con delibera adottata dal Consiglio Comunale il 24 settembre 1999, n. 296, che è stata confermata con delibera adottata dal Consiglio Comunale il 15 ottobre 1999, n. 419, ai sensi dell’art. 3, comma 3, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, il Comune di Napoli ha approvato il Piano Generale degli Impianti (PGI), il quale disciplina l’individuazione della tipologia degli impianti pubblicitari pubblici e privati e la loro distribuzione sul territorio di competenza, sulla base dell’art. 9, comma 7, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, nel testo novellato dall’art. 145, comma 55, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (a tenore del quale: «7. Qualora la pubblicità sia effettuata su impianti installati su beni appartenenti o dati in godimento al comune, l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità non esclude quella della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, nonché il pagamento di canoni di locazione o di concessione commisurati, questi ultimi, alla effettiva occupazione del suolo pubblico del mezzo pubblicitario»); – con ordinanza adottata dal Sindaco il 31 dicembre 2001, n. 223, il Comune di Napoli ha ‘ordinato’ l’approvazione delle tariffe dei canoni pubblicitari ed affissionali «in attuazione delle regole già sancite con decorrenza dal 1.1.2002 dal Piano Generale degli Impianti»; -indi, con sentenza depositata dal T.A.R. della Campania, Sez. 3^, il 14 giugno 2004, n. 9438 (poi passata in giudicato), quest’ultima ordinanza è stata annullata sul rilievo che, «contrariamente alle allegazioni difensive dell’amministrazione resistente, non può ritenersi meramente esecutivo del piano generale degli impianti in quanto il raffronto dei canoni previsti dal PGI a regime per il 2002 con quelli determinati dall’atto impugnato
non comporta una sicura rispondenza, immediatamente verificabile (…)».
7.7. Ora, è pacifico che l’annullamento del regolamento comunale (o, comunque, di una delibera comunale che, pur indirizzandosi ad una pluralità di destinatari, abbia comunque contenuto inscindibile) da parte del giudice amministrativo ha efficacia erga omnes, rimuovendone ex tunc la valenza normativa oltre i limiti soggettivi dell’art. 2909 cod. civ. Per cui, ove l’atto annullato costituisca lo strumento con cui l’ente comunale, avvalendosi di una facoltà riservatagli dal legislatore, eserciti la scelta discrezionale di dettare il regime normativo o tariffario di un tributo locale di nuova istituzione (come, nel caso di specie, del CIMP), si ripristina la disciplina previgente del tributo locale destinato ad essere abrogato (come, nel caso di specie, dell’ICP).
7.8. Ne discende, quindi, che la carenza del regolamento istitutivo del CIMP e l’annullamento in sede giudiziale della tariffa CIMP impedivano l’operatività, dal 1° gennaio 2002, della relativa disciplina (secondo la previsione della delibera approvativa del PGI), consentendo l’ultrattività della previgente disciplina dell’ICP.
8.Si pone l’ulteriore questione della compatibilità del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP) con altri canoni concessori. Ora, seppure in tema di TOSAP, questa Corte ha più volte dato risposta favorevole al quesito, affermando che la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP) è compatibile(art. 17, comma 63, della legge 15 maggio 1997, n. 127) con il pagamento di un canone concessorio, provento di natura e fondamento del tutto diversi dal primo, ed è, quindi, dovuta dal concessionario, a meno che il Comune non abbia esercitato il potere facoltativo di ridurla o annullarla (Cass., Sez. 5^, 5 novembre 2004, n. 21215; Cass., Sez. 5^, 27 ottobre 2006, n. 23244; Cass., Sez. 5^, 15 settembre 2009, nn. 19841, 19842 e 19843; Cass., Sez. 5^, 5 luglio 2017, nn. 16538, 16539 e 16540;
Cass., Sez. 5^, 18 febbraio 2020, n. 4078), è vero che la debenza o l’esclusione della TOSAP non dipendono essenzialmente dall’esistenza di un atto di concessione, dal momento che la tassa è dovuta, ai sensi dell’art. 38 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, anche in caso di occupazione senza titolo o abusiva; in secondo luogo, tassa e canone di concessione hanno natura e finalità diverse, quindi non sono fra loro incompatibili, come si ricava indirettamente dall’art. 17, comma 63, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e poi dall’art. 63 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, che lasciano in facoltà dell’ente di escludere la tassa relativamente ai beni su cui grava un canone di concessione non ricognitorio (Cass., Sez. 5^, 27 ottobre 2006, n. 23244; Cass., Sez. 5^, 18 febbraio 2020, n. 4078). Questo principio, di carattere generale, ben può valere anche con riferimento al canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP), istituito dall’art. 63 del d.lgs. 15 novembre1997, n. 446, nel testo novellato dall’art. 31 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Cass., Sez. 2^, 3 maggio 2018, n. 10499).
8.1. Nella specie, il giudice di appello ha ritenuto che il Comune di Napoli abbia disposto l’accorpamento del canone di locazione/occupazione con l’ICP.
8.2.Ed invero, non essendo stata approvata (con apposito regolamento) la normativa di attuazione ex art. 62 del d.lgs. 15 novembre 1997, n. 446, per l’introduzione del CIMP, a prescindere dalla mera riserva del Comune di Napoli sulla sua adozione con decorrenza dall’1 gennaio 2002, che costituiva la manifestazione di un’intenzione meramente ‘programmatica’ della relativa istituzione, resta ancora in vigore l’ICP, dopo l’annullamento dell’ordinanza emanata dal Sindaco del Comune di Napoli il 31 dicembre 2001, n. 223, da parte del giudice amministrativo (con sentenza passata in giudicato), ragion per cui il limite fissato dall’art. 62, comma 2, lett. d, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446,
nel testo novellato dall’art. 10, comma 5, lett. b), della legge 28 dicembre 2001, n. 448, non poteva valere anche per la determinazione del canone per l’occupazione di spazi pubblici, di cui la contribuente era obbligata alla corresponsione in aggiunta all’ICP.
9.Infine, il terzo motivo di ricorso laddove si censurano le modalità di calcolo del canone di locazione si rivela inammissibile, poiché, pur avendo proposto la relativa censura in sede di appello, non si dimostra né la relativa formulazione già con il ricorso introduttivo del giudizio né si trascrive e si allega al ricorso per cassazione l’atto impositivo da cui inferire il metodo di calcolo della locazione.
9.1. In tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza, che impone l’indicazione espressa degli atti processuali o dei documenti sui quali il ricorso si fonda, va inteso nel senso che occorre specificare anche in quale sede processuale il documento risulta prodotto, poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso è rintracciabile, sicché la mancata ‘localizzazione’ del documento basta per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, senza necessità di soffermarsi sull’osservanza del principio di autosufficienza dal versante ‘contenutistico’ (cfr. a riguardo Corte di Cass., sez. trib., ord. 02 maggio 2023, n. 11392). Appena è il caso di ricordare come tali principi abbiano ricevuto l’espresso avallo della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr., per tutte, Sez. Un., Sentenza n. 16887 del 05/07/2013), le quali, dopo aver affermato che la prescrizione dell’art. 366, n. 6, c.p.c., è finalizzata alla precisa delimitazione del thema decidendum , attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente, onde non può ritenersi sufficiente in proposito il mero
richiamo di atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi (Sez. Un., Sentenza n. 23019 del 31/10/2007), hanno poi ulteriormente chiarito che il rispetto della citata disposizione del codice di rito esige che sia specificato in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti prodotto, dovendo poi esso essere anche allegato al ricorso a pena d’improcedibilità, in base alla previsione del successivo art. 369, comma 2, n. 4 (cfr. Sez. Un., Sentenza n. 28547 del 02/12/2008). Con l’ulteriore precisazione che, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito e si trovi nel fascicolo di parte, l’onere della sua allegazione può esser assolto anche mediante la produzione di detto fascicolo, ma sempre che nel ricorso si specifichi la sede in cui il documento è rinvenibile (cfr. Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010, e, con particolare riguardo al tema dell’allegazione documentale, Sez. Un., Sentenza n. 22726 del 03/11/2011; Cass. n. 21346/2024). Il ricorrente non ha adempiuto a tale onere, violando il rispetto del principio di autosufficienza dell’impugnazione, sia da un punto di vista contenutistico omettendo di trascrivere l’atto impositivo e di produrlo, sia sotto il profilo della localizzazione, non essendo specificato ove nel processo sono rintracciabili i documenti cui ci si riferisce nella doglianza sollevata.
10.Con l’ultima censura si evoca un inesistente difetto di giurisdizione atteso che, come anticipato, il giudice del gravame, così come il giudice del primo grado, hanno pronunciato sull’impugnazione di un silenzio rifiuto opposto dal Comune di Napoli alla domanda di rimborso della quota parte, indebitamente versata, del canone per l’installazione di mezzi pubblicitari di cui al d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 62. E, come statuito dal Giudice delle Leggi (Corte Cost., 8 maggio 2009, n. 141), e dalle Sezioni Unite della Corte (Cass. Sez. U., 7 maggio 2010, n. 11090;
Cass. Sez. U., 3 novembre 2009, n. 23195) detto canone costituisce una mera variante dell’imposta comunale sulla pubblicità e conserva, quindi, la qualifica di tributo propria di quest’ultima, per cui le controversie aventi ad oggetto la sua debenza spettano alla giurisdizione delle commissioni tributarie. Secondo, dunque, il criterio del petitum sostanziale – alla cui stregua la giurisdizione si determina sulla base della domanda, dovendosi avere riguardo, ai fini del riparto di giurisdizione, non già alla prospettazione compiuta dalle parti, bensì al petitum sostanziale che va identificato, non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, quanto, soprattutto, in funzione della causa petendi , ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio, da individuarsi con riguardo ai fatti allegati (v., ex plurimis, Cass. Sez. U., 19 novembre 2019, n. 30009; Cass. Sez. U., 9 febbraio 2015, n. 2360; Cass. Sez. U., 11 ottobre 2011, n. 20902) – criterio che, nella giurisdizione tributaria, risulta mediato, così come nella fattispecie, dal provvedimento impugnabile dell’amministrazione (v. Cass. Sez. U., 21 marzo 2006, n. 6224), cosicché non poteva dubitarsi della giurisdizione adita in relazione al provvedimento impugnato ed alla pretesa impositiva oggetto dell’istanza di rimborso.
11. Segue il rigetto del ricorso.
Le spese seguono il criterio della soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere alla società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione le spese del presente giudizio che liquida in euro 5.880,00 per compensi, oltre 200,00 euro per esborsi, rimborso forfettario ed accessori come per legge.
v.to l’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012; – dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della