Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16858 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16858 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 34685/2019 R.G. proposto da :
ROMA COGNOME, rappresentato e difeso dall’ AVVOCATURA RAGIONE_SOCIALE ROMA nella persona dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
GRUPPO RAGIONE_SOCIALE
-intimato-
avverso la SENTENZA della Commissione tributaria regionale per il Lazio sede di ROMA n. 2183/2019 depositata il 10/04/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/06/2025 dal
Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso innanzi alla CTP territorialmente competente contro l’avviso di accertamento n. 18 del
13/11/2015 emesso per il recupero del Canone Iniziative Pubblicitarie (CIP) per l’annualità 2014, sostenendo che nel giugno 2012 aveva già rimosso tutti gli impianti pubblicitari indicati come “senza scheda” nella Nuova Banca Dati del Comune di Roma, affermando di aver versato il canone solo per gli impianti effettivamente presenti, sicché Roma Capitale non fera legittimata a chiedere il CIP per tutti gli impianti indicati, in violazione degli artt. 12 del D.lgs. 507/93 e 62 del D.lgs. 446/97. Inoltre, ha contestato l’illegittimità degli aumenti del canone, la carenza di motivazione dell’avviso di accertamento, nonché la violazione dello Statuto del contribuente e dei principi di buona fede e collaborazione da parte della pubblica amministrazione.
La Commissione Tributaria Provinciale con sentenza n. 20.394/2017 ha respinto il ricorso proposto dalla società ricorrente, ritenendo che era stata proprio la società ricorrente a dichiarare nella Nuova Banca Dati i propri impianti pubblicitari e che non avesse mai comunicato all’Amministrazione alcuna modifica negli anni successivi.
Avverso tale sentenza ha proposto appello la società RAGIONE_SOCIALE riproponendo, sostanzialmente, le stesse censure già avanzate in primo grado.
La CTR, con la sentenza in epigrafe indicata, ha accolto l’appello, ritenendo che, ai sensi dell’art. 62 del D.Lgs. 446/97, sono soggette al pagamento del canone le iniziative pubblicitarie che incidono sull’arredo urbano o sull’ambiente e che la mera presenza nella Banca Dati o la sola autorizzazione non sono sufficienti a sostenere la pretesa impositiva, essendo determinante l’effettiva realizzazione dell’impianto.
Avverso la suddetta sentenza di gravame, Roma Capitale ha proposto ricorso per cassazione affidato a n. 2 motivi.
L’intimato non ha depositato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 62. comma del d.lgs n. 446/1999; del regolamento recante le norme in materia di esposizione della pubblicità e di pubbliche affissioni di cui alla deliberazione di assemblea capitolina n. 50 del 30 luglio 2014 di Roma Capitale; delle deliberazioni di giunta capitolina n. 116/2013 e 425/2013 in riferimento all’art. 360, c. 1, n. 3 c.p.c., nonché l’illogicità manifesta.
1.1. Ad avviso di Roma Capitale l’emissione dell’avviso di accertamento per il 2014 era giustificata dalla presenza degli impianti nella Nuova Banca Dati e dalla mancanza di comunicazioni formali di rimozione da parte di ODP Pubblicità.
1.2. Inoltre, nel giugno 2014 il Consiglio di Stato aveva respinto i ricorsi di ODP RAGIONE_SOCIALE contro l’ordinanza di rimozione degli impianti “senza scheda” inseriti nella Nuova Banca Dati, il che implica che tali impianti esistessero ancora nel 2014, rendendo illogico supporre che fossero stati rimossi già nel 2012. Infine, Roma Capitale fa anche riferimento a una diffida del 4 febbraio 2014 inviata a ODP Pubblicità per la rimozione degli impianti ancora esistenti, il che contrasta con l’affermazione della CTR sulla loro inesistenza.
1.3. La censura è inammissibile perché non si può prospettare una censura di violazione di legge sulla base di accertamenti in fatto (in tesi) erronei: come ripetutamente rimarcato dalla Corte, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità.
Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass., 27 luglio 2023, n. 22938; Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., 11 gennaio 2016, n. 195; Cass., 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. Sez. U., 5 maggio 2006, n. 10313; Cass., 11 agosto 2004, n. 15499).
1.4. Nel caso di specie questa Corte dovrebbe verificare se sussistessero o meno i cartelli pubblicitari in contestazione, con verifica che certamente esula dai poteri del giudice di legittimità.
1.5. La censura quindi, per come prospettata, non può essere accolta.
Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente contesta la violazione falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’articolo 360, c. 1, n. 3 c.p.c., nonché l’illogicità’ manifesta. L’Amministrazione comunale aveva depositato in giudizio una diffida inviata via PEC il 4 febbraio 2014 alla RAGIONE_SOCIALE, contenente l’elenco dettagliato degli impianti pubblicitari da rimuovere ancora presenti sul territorio a quella data. Ciò dimostrerebbe che tali impianti erano effettivamente esistenti almeno fino a quel momento. Inoltre, la società aveva impugnato davanti al TAR e poi al Consiglio di Stato la delibera n. 425/2013 di Roma Capitale, che prevedeva la rimozione degli impianti ‘senza scheda’ inseriti nella Nuova Banca Dati. Il ricorso è stato respinto con sentenza del 18 settembre 2014, confermando la legittimità dell’azione del Comune.
2.1. Poiché alla data del 18 giugno 2014 gli impianti risultavano ancora presenti (altrimenti il ricorso sarebbe stato improcedibile per carenza di interesse), ad avviso della ricorrente risulterebbe
incomprensibile come la Commissione Tributaria Regionale abbia potuto affermare il contrario nella sentenza impugnata. Tale affermazione, secondo la difesa, costituisce una palese violazione dell’art. 115 c.p.c., che impone al giudice di basarsi sulle prov e fornite dalle parti.
2.2. Il motivo, per come formulato, va più correttamente ricondotto al n. 5 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c.
2.3. In assenza di c.d. doppia conforme, effettivamente si riscontra l’omessa valutazione della diffida per rimuovere i cartelli, la quale dimostrerebbe per la ricorrente la presenza nell’anno di imposta dei cartelloni.
2.4. Tale elemento, determinante ed oggetto di contestazione, non è stato analizzato dal giudice del gravame. Costituisce invece un elemento di necessaria valutazione al fine di verificare quali fossero quelli effettivamente esistenti e, quindi, suscettibili di pagamento del tributo.
2.5. Deve quindi essere accolto il relativo motivo.
In conclusione, il ricorso va accolto limitatamente al motivo n.2, e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, il 13/06/2025.