Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 17184 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 17184 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 27720/2017 proposto da:
COMUNE DI MILANO, in persona del legale rappres. p.t, rappres. e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura speciale in atti,
-ricorrente-
-contro-
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t;
-intimata- avverso la sentenza n. 1659/2017 de lla Corte d’Appello di Milano , pubblicata in data 18.04.2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16.05.2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Co n sentenza del 18.4.2017, la Corte d’appello di Milano rigettava l’appello del Comune di Milano avverso la sentenza del Tribunale che aveva dichiarato l’inesistenza del diritto di credito dello s tesso ente nei confronti della RAGIONE_SOCIALE a titolo di cosap per il 2002.
Al riguardo, il Tribunale aveva affermato che, pur in presenza di occupazioni verificatesi nel 2002, era applicabile il regolamento del 2000 che non contemplava il mezzo pubblicitario ‘gonfalone’, posto che solo dal 2003 il C omune aveva ritenuto di assoggettare tali forme d’installazioni al canone osap, attraverso il regolamento del 26.3.2002, seppure in forma ridotta rispetto agli altri mezzi di pubblicità.
La Corte territoriale osservava che: dal comportamento tenuto dalle parti successiva mente all’emanazione dell’atto concessorio si desumeva la volontà dei contraenti di ritenere applicabile il regolamento comunale del 2000 – non avendo le parti nulla pattuito riguardo alla sopravvenienza della nuova disciplina di cui al regolamento comunale del 2002 – che nulla stabiliva sul canone relativo ai gonfaloni, a differenza del regolamento successivo; l’inerzia del C omune nel richiedere il pagamento del canone, pur non intesa come rinuncia al credito, era prova del fatto che lo stesso ente non ritenesse che il regolamento del 2000 fosse titolo idoneo per richiedere il pagamento del relativo canone; era altresì da considerare l’incertezza c omplessivamente dimostrata dal Comune, anche dopo l’emanazione della concessione, in merito alla debenza, o meno, del canone e della sua quantificazione (avendo chiesto il pagamento del canone cinque anni dopo l’installazione applicando il regolamento del 200 0 in un primo momento, e poi quello del 2002, con il diverso criterio dei metri lineari, dimezzando la somma ingiunta); dal comportamento complessivo del
Comune era dunque desumibile che quest’ultimo ritenesse iniquo il criterio di determinazione del canone in base al regolamento del 2000, dimostrando ciò che le parti intendessero, prima del 2002, non dovuto il canone stesso in quanto non rientrante tra quelli previsti da quest’ultimo regolamento.
Il Comune di Milano ricorre in cassazione, avverso la suddetta sentenza, con due motivi. Non è costituita la RAGIONE_SOCIALE
Il Pubblico Ministero ha depositato requisitoria, chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione degli artt. 63 d.lgs n. 446/97, del regolamento cosap, 9, c.7, d.lgs n. 507/93, 115, c.1, cpc, 1362, 1366 e 1375 cc, nonché omesso esame di fatto decisivo, per aver la Corte d’appello ritenuto provata la volontà delle parti di applicare il regolamento del 2000, posto che gli impianti erano stati installati nel 2002 – oltre a tre giorni nel 2001 – per cui sarebbe stato da applicare il regolamento del 2002, entrato in vigore dall’1.1.2002.
Il secondo motivo denunzia violazione del medesimo art. 63, del regolamento cosap, del citato art. 9 e degli artt. 1362, 1366 e 1375 cc, in quanto fino al 2001 tutti gli impianti pubblicitari rientravano nell’ambito applicativo del regolamento del 2000 senza nessuna distinzione, mentre il regolamento del 2002 aveva modificato solo il coefficiente moltiplicatore per i gonfaloni, fondato sulla misura della superficie in metri lineari e non in metri quadrati (a differenza degli altri mezzi pubblicitari).
Il ricorrente assume altresì che la Corte territoriale sarebbe incorsa in errore, in quanto il silenzio o l’inerzia del C omune non potevano essere interpretati come manifestazioni tacite della volontà di non ritenere dovuto il credito cosap, il cui pagamento era previsto dalla legge e dai regolamenti.
Il primo motivo, che sviluppa molteplici ed eterogenee critiche, è inammissibile
Anzitutto, va osservato che non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (Cass., n. 640/2019; n. 7187/2022).
Nella specie, attraverso la denunzia di violazione di legge, il ricorrente censura di fatto l’interpretazione della Corte d’appello circa la volontà comunale d’applicare il regolamento del 2022, contestando che la Corte avesse ritenuto iniquo il criterio di determinazione del cosap in base ai criteri contemplati dal regolamento del 2000.
Inoltre, la violazione dell’art. 115 cpc non ricorre . Invero, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass., n. 26739/2024).
Al riguardo, il ricorrente ha formulato una generica doglianza, senza allegare una specifica critica fondata sull’art. 115 cpc.
Né sussiste l’omesso esame del fatto, di cui la Corte territoriale ha chiaramente tenuto conto, mentre la violazione delle norme ermeneutiche non è censurata correttamente, non essendone stata prospettata la
relativa violazione, avendo il ricorrente piuttosto sollecitato un diverso apprezzamento dei fatti di causa.
Il secondo motivo è fondato.
L’art. 63 del d. Igs. 15 dicembre 1997, n. 446 (come modificato dall’art. 31 della legge 23 dicembre 1998, n. 448), prescrive, al primo comma, che: “i comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell’articolo 52, escludere l’applicazione, nel proprio territorio, della tassa per occupazione di spazi ed aree pubbliche, di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507. I comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell’articolo 52, prevedere che l’occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile, comprese le aree destinate a mercati anche attrezzati, sia assoggetta in sostituzione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo alto di concessione in base a tariffa’.
Al riguardo, occorre rilevare che l’art. 2, comma 1, regolamento C.O.S.A.P., approvato con delibera 11/2000 (trascritto nel controricorso del Comune, pagg. 4-5), prevedeva l’assoggettamento al canone delle occupazioni di qualsiasi natura effettuate, anche senza titolo, nelle strade, nei corsi, nelle piazze e, comunque, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile del Comune.
La successiva delibera 21/2002, modificando l’art. 5, comma 2 del regolamento, menzionò espressamente i gonfaloni, gli striscioni e gli stendardi, precisando che la relativa base imponibile andava determinata con riferimento ai metri lineari, base imponibile già vigente per tutti i mezzi di occupazione degli impianti pubblicitari, in forza dell’art. 5, comma 5,
regolamento già in vigore per gli anni 2000 e 2001, e modificata, con la detta delibera 21/2002, per gli altri mezzi di occupazione (diversi, cioè, da striscioni, gonfaloni e stendardi), stabilendosi che la superficie di occupazione era rappresentata dalla proiezione verticale al suolo del mezzo di occupazione. Ora, non essendo tale criterio applicabile a gonfaloni, striscioni e stendardi, la modifica dell’art. 5, comma 2, del regolamento, lasciò, invece, intatto per gli stessi il previgente criterio dei metri lineari.
Pertanto, non vi fu alcuna introduzione di un nuovo presupposto oggettivo del canone, rappresentato dall’occupazione a mezzo di striscioni, gonfaloni o stendardi, ma solo una precisazione sul mantenimento, per tali mezzi pubblicitari, del precedente criterio di determinazione della base imponibile (i metri lineari di occupazione); criterio, invece, modificato solo per gli altri strumenti pubblicitari con la delibera 21/2002.
In altri termini, come rilevato dal Comune, fino al 2001 tutti gli impianti pubblicitari rientravano nell’ambito applicativo del regolamento del 2000 senza nessuna distinzione (e dunque anche i gonfaloni), mentre il regolamento del 2002 aveva modificato solo il coefficiente moltiplicatore per i gonfaloni, fondato sulla misura della superficie in metri lineari e non in metri quadrati (a differenza degli altri mezzi pubblicitari).
Il presupposto oggettivo del canone, rappresentato dalla occupazione del suolo pubblico e degli spazi sovrastanti (art. 38, commi 1 e 2, d.lgs. 15.11.1993, n. 507), era, pertanto, integrato anche dalla installazione di striscioni, gonfaloni e stendardi, indipendentemente dalla espressa menzione che ne potesse fare il regolamento comunale attuativo (prima della modifica dovuta alla delibera 21/2002), il quale, di certo, non poteva escludere talune specifiche occupazioni dall’assoggettamento al canone, sostitutivo della T.ORAGIONE_SOCIALE. (art. 63, comma 1, d.lgs. 446/1997).
Invero, il cosap risulta configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici ed è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilizzazione particolare o eccezionale che ne trae il singolo, ed è irrilevante la mancanza di una formale concessione quando vi sia un’occupazione di fatto del suolo pubblico (Cass., n. 16395/2021; Cass., n. 17296 del 27/06/2019; Cass., n. 18037 del 06/08/2009; Cass., n. 3710 dell’8/02/2019; Cass., n. 10733 del 04/05/2018; Cass., n. 1435 del 19/01/2018; n. 509/2022).
Nella specie, l’occupazione di stendardi e gonfaloni riguarda gli spazi sovrastanti il suolo pubblico, rilievo che conferma l’assunto a tenore della quale la modifica del 2002 del regolamento del 2000 integrava un principio (relativo appunto alla debenza del canone per tutte le forme di occupazioni di suolo pubblico, compresi i mezzi ad esso sovrastanti come stendardi e gonfaloni) già contemplato in linea di principio dal precedente regolamento, essendo dunque priva di fondatezza la tesi secondo la quale tale regolamento non avrebbe sancito l’obbligo di pagamento per tale forma di occupazione del suolo pubblico.
La giurisprudenza di questa Corte (Cass., n.3710/2019, 18769/2017 e n. 9240/2022), ha affermato, infatti, che il diritto al canone trova la sua fonte nel provvedimento concessorio, ma non può essere considerato oggetto di trattativa privata: l’obbligazione di corrispondere il canone nasce (non con l’accertamento, ma) con l’occupazione del demanio pubblico, con o senza titolo; ed il diritto al canone e la sua determinazione non possono essere oggetto di rinuncia.
Invero, una pur deplorevole inerzia del Comune nell’esazione del canone non rileva se non protratta oltre i termini di prescrizione del credito. Il
diritto al cosap non può essere considerato oggetto di trattativa privata (Cass., n. 18171/2022, n. 29455/2018; n. 18679/2017) e comunque non è ipotizzabile una rinunzia al credito per facta concludentia , essendo in tal caso richiesta per la pubblica amministrazione la forma scritta (Cass., n. 11673/2017).
Per quanto esposto, in accoglimento del secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello, anche in ordine alle spese.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il primo motivo ed accoglie il secondo.
Cassa la sentenza impugnata, nei sensi di cui in motivazione, e rinvia la , in diversa composizione, anche in ca usa alla Corte d’appello di Milano ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio della I Sezione civile il 16 maggio