Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2275 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2275 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24566/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) e rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 1538/2020 depositata il 27/02/2020,
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
1. RAGIONE_SOCIALE ha impugnato dinanzi al Tribunale di Tivoli l’atto di accertamento per omessa dichiarazione, con contestuale irrogazione di sanzioni, relativo al canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (anno 2008) del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
2. La domanda è stata accolta in primo grado, per cui il Tribunale, previa disapplicazione dell’atto di accertamento, ha accertato che nulla è dovuto da RAGIONE_SOCIALE a titolo di RAGIONE_SOCIALE
3. All’esito dell’appello, però, la domanda è stata rigettata. La Corte di appello di Roma ha evidenziato che RAGIONE_SOCIALE è un soggetto diverso dallo Stato, per cui non può beneficiare, anche in considerazione dell’attività imprenditoriale svolta, dell’esenzione di cui gode quest’ultimo, da interpretarsi in modo rigoroso e restrittivo, e che non vi è alcun giudicato sull’inapplicabilità della sanzione.
4. Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, formulando cinque motivi, e ha depositato successiva memoria, in cui ha citato giurisprudenza del Consiglio di Stato e di merito.
5. La RAGIONE_SOCIALE (ente per la riscossione) si è costituita con controricorso ed ha depositato successiva memoria.
6. La causa è stata trattata all’adunanza camerale del 16 gennaio 2024.
CONSIDERATO CHE:
1. La ricorrente ha dedotto: 1) la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., delle leggi n. 463 del 1955, n. 729 del 1961, n. 385 del 1968, degli artt. 52 e 63, comma 1, del d.lgs. n. 446 del 1997, degli artt. 1, 2 e 3 del Regolamento c.o.s.a.p. di RAGIONE_SOCIALE, stante l’assenza del presupposto applicativo del canone richiesto, visto che il canone è dovuto relativamente ai beni appartenenti al demanio o patrimonio indisponibile del RAGIONE_SOCIALE, mentre lo spazio sovrastante la strada in esame non appartiene più al demanio del RAGIONE_SOCIALE (in base alle leggi statali a cui è riconducibile la ricostruzione dell’autostrada e la sottrazione definitiva di tale spazio all’uso generalizzato della cominutà locale ed ai poteri ed alla disponibilità dell’ente territoriale) ed è usato dalla società RAGIONE_SOCIALE in virtù non di concessione comunale, ma di una convenzione con l’allora concedente RAGIONE_SOCIALE (ed oggi vigente con il M.i.t.), 2) la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., dell’art. 63, comma 1, del d.lgs. n. 446 del 1997 e 33, lett. q, del regolamento C.o.s.a.p. del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, essendo riconducibile l’occupazione del suolo pubblico allo Stato, in quanto effettuata per realizzare un interesse generale della collettività, connesso alla realizzazione e gestione delle infrastrutture, ed essendo, pertanto, RAGIONE_SOCIALE una longa manus dell’amministrazione pubblica statale, alla cui disciplina deve essere sottoposta, anche in ossequio al diritto dell’Unione europea, che non tollererebbe l’applicazione di un trattamento diverso e discriminatorio in considerazione della proprietà pubblica o privata del concessionario; 3) la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., degli artt. 30 e 31 del regolamento RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, difettando uno dei presupposti del canone e, cioè, la effettiva
sottrazione della strada all’uso pubblico; 4) la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ., dell’art. 112 cod.proc.civ., essendosi la Corte di appello prounciata, in ordine alla sanzione, su un’asserita eccezione di giudicato, che non è stata mai formulata da RAGIONE_SOCIALE; 5) la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., dell’art. 63, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997, non potendo essere applicata alcuna sanzione per l’omessa denuncia, tenuto conto della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. e della omessa riconducibilità dell’illecito di cui all’art. 34, comma 2, del regolamento c.o.s.a.p. del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, quantomeno nei suoi elementi essenziali, ad una disposizione legislativa, con conseguente problema di legittimità costituzonale, oltre alla circostanza che la denuncia non è dovuta visto, che l’occupazione è riconducibile non ad una concessione, ma alle previsioni di legge relative alla realizzazione dell’autostrada, e che la stessa Corte di appello fa confusione tra la sanzione per l’omessa denuncia e per l’omesso pagamento.
2.I primi tre motivi, che si presentano connessi, in quanto vertono sui presupposti del canone richiesto e sulla eventuale esensione, possono essere trattati congiuntamente.
2.I primi tre motivi, che si presentano connessi, in quanto vertono sui presupposti del canone richiesto e sulla eventuale esenzione, possono essere trattati congiuntamente.
Ai sensi dell’art. 63 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, ratione temporis vigente, le province e i comuni possono, con regolamento adottato a norma dell’articolo 52, prevedere che l’occupazione, sia permanente che temporanea di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile, comprese le aree destinate a mercati anche attrezzati, sia assoggettata al pagamento di un
canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa.
Contrariamente alla tesi prospettata da parte ricorrente sussiste pienamente, nel caso in esame, il presupposto dell’occupazione di un’area del demanio comunale.
2.1.In ordine alla titolarità dell’area, sebbene la realizzazione della rete autostradale sia stata prevista ed approvata con provvedimenti legislativi, ciò non ha comportato automaticamente il trasferimento della proprietà delle strade interessate allo Stato ed il conseguente passaggio di quelle comunali e provinciali nel demanio statale, al contrario essendo necessario un procedimento di espropriazione o la conclusione di accordi con effetti traslativi. L’art. 822 cod.civ. prevede, del resto, che le strade, le autostrade e le strade ferrate fanno parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato e, cioè, rientrano nel demanio pubblico statale meramente eventuale, sicché è ben possibile la strada su cui insiste il cavalcavia dell’autostrada (e lo spazio sovrastante) appartenga ad altro ente. L’art. 12, ultimo comma, della l. n. 729 del 1961, vigente ratione temporis , nel prevedere che gli enti proprietari potranno prescrivere esclusivamente le cautele da osservare e le opere provvisionali da eseguire durante la costruzione delle opere, conferma la possibile appartenenza del tratto di strada ad Amministrazioni diverse dallo Stato, quali gli enti territoriali. Peraltro, le leggi relative alla realizzazione dell’autostrada, invocate da RAGIONE_SOCIALE, sono anteriori all’istituzione della cRAGIONE_SOCIALE, nella cui regolamentazione il legislatore non vi ha fatto alcun riferimento e non ha, dunque, affatto escluso dalla fattispecie impositiva l’occupazione delle strade comunali e provinciali avvenuta per la realizzazione della rete autostradale. Né è dirimente l’assenza di poteri di rimozione o riappropiazione da parte del RAGIONE_SOCIALE, che caratterizza anche le
occupazioni avvenute in base a provvedimento concessorio, nell’ipotesi di fisiologico espletamento del rapporto.
In definitiva, occorre distinguere la proprietà della strada su cui insiste il pontone o cavalcavia dell’autostrada da quella di quest’ultimo manufatto: la prima resta di titolarità dell’ente territoriale, in assenza di un atto di trasferimento, pur essendo la seconda di proprietà statale. Non si configura, infatti, una ipotesi di accessione invertita a favore dello Stato, che non è contemplata dalla legge.
2.2.Per quanto concerne il requisito dell’occupazione, questa Corte ha già affermato che il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche costituisce il corrispettivo dell’utilizzazione particolare (o eccezionale) di beni pubblici e non richiede un formale atto di concessione, essendo sufficiente l’occupazione di fatto dei menzionati beni, sicché la società, concessionaria statale, che abbia realizzato e gestito un’opera pubblica, occupando di fatto spazi rientranti nel demanio comunale o provinciale, è tenuta al pagamento del canone, non assumendo rilievo il fatto che l’opera sia di proprietà statale, poiché la condotta occupativa è posta in essere dalla società nello svolgimento, in piena autonomia, della propria attività d’impresa (Cass., Sez. 1, 10 giugno 2021, n. 16395). E’, dunque, sufficiente l’utilizzazione del bene da parte di un soggetto diverso dall’ente pubblico titolare, mentre risulta indifferente la strumentalità di tale utilizzazione alla realizzazione di un pubblico interesse, in assenza di una specifica ipotesi di esenzione.
2.3.Né rileva, a fini dell’esenzione invocata, la realizzazione dell’opera pubblica (autostrada) in virtù di concessione dello Stato, restando il concessionario un soggetto formalmente e sostanzialmente distinto dal concedente.
Sul punto deve, in primo luogo, sottolinearsi che il concessionario può essere considerato longa manus dell’Amministrazione pubblica solo laddove ricorrano i requisiti dell’ in house providing , come configurati dalla giurisprudenza e dalle direttive comunitarie e come recepiti dalla nostra legislazione e, cioè, in particolare i requisiti del controllo analogo (ovvero di un controllo pubblico analogo a quello esercitato dall’amministrazione sulle proprie strutture) e della destinazione dell’oltre l’80% delle attività della persona giuridica controllata allo svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da soggetti dalla stessa controllati.
A ciò si aggiunga che, anche laddove la ricorrente fosse una società in house , la scelta della forma privata comporta la necessaria applicazione del regime privatistico, al fine di non alterare il regime della concorrenza, con l’applicazione delle sole deroghe necessarie all’espletamento del compito pubblico assegnato o di quelle connesse alla sostanziale soggettività pubblica (ad es., applicazione delle regole sul reclutamento del personale; possibilità di attribuzione dei lavori senza ricorrere al procedimento di evidenza pubblica, salvo che nei settori speciali). L’art. 6 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea dispone, difatti, che gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche o delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusiva, alcuna misura contraria alle norme dei trattati, sicché la società ricorrente, anche laddove fosse una società in house, non potrebbe beneficiare dell’esenzione riconosciuta allo Stato.
Alla medesima soluzione è già pervenuta Cass., Sez. 1, 29 maggio 2023, n. 15010, secondo cui il canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche è sempre dovuto dalla concessionaria incaricata della gestione del servizio autostradale in relazione al viadotto ricompreso nell’infrastruttura, poiché il fine e il vincolo di
natura pubblicistica che pur contrassegnano l’opera gestita non valgono a rendere la concessionaria – che persegue in autonomia un proprio fine di lucro -una mera “longa manus” dell’amministrazione statale, non potendo perciò fruire delle esenzioni riservate alle occupazioni di suolo attuate da parte di quest’ultima.
Il quarto motivo, avente ad oggetto la violazione dell’art. 112 cod.proc.civ., riguardo alla pronuncia sulla eccezione di giudicato non formulata, è infondato, posto che la esclusione del giudicato rientra tra le questioni preliminari che il giudice può affrontare d’ufficio, a prescindere dalla formulazione di una rituale ed effettiva eccezione in tal senso.
Il quinto motivo, avente ad oggetto l’assenza dei presupposti della sanzione e la violazione del principio di legalità, specificità e tassatività, è infondato.
Il giudice di merito ha ricondotto la previsione del regolamento del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, in ordine all’illecito contestato ed alla sanzione applicata, all’art. 63, comma 2, lett. g e g-bis, d.lgs. n. 446 del 1997, così escludendo la violazione dei principi di legalità, specificità e tassatività. La conclusione è corretta, tenuto conto che la lett. gbis dell’art. 63 richiamato dispone espressamente che i regolamenti comunali in materia prevedano le sanzioni amministrative relativamente alle condotte in violazione dell’obbligo di pagamento RAGIONE_SOCIALE, tra cui sicuramente può includersi la mancata comunicazione/denuncia dell’occupazione (legittima o illegittima), senza alcun problema di indeterminatezza/indeterminabilità della fattispecie o, quantomeno, dei suoi elementi essenziali, sufficienti a soddisfare la riserva relativa di legge di cui all’art. 23 Cost.
A ciò si aggiunga che la previsione regolamentare non è stata nè trascritta né riprodotta, in violazione del principio di
autosufficienza, per la cui applicazione ai regolamenti comunali si rinvia a Cass., 20 luglio 2018, n. 19360, secondo cui qualora con il ricorso per cassazione si deducano vizi relativi a regolamenti comunali, è necessario – in virtù del principio di autosufficienza che le disposizioni rilevanti siano trascritte o allegate, in quanto per le norme giuridiche di rango secondario non opera il principio iura novit curia .
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte: rigetta il ricorso; della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 5.000,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi ed oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri condanna la ricorrente al pagamento, in favore accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 16/01/2024.