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Buona Fede IVA: non basta il pagamento tracciabile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 28506/2025, ha stabilito che per dimostrare la buona fede IVA e legittimare la detrazione in caso di operazioni con ‘missing traders’, non è sufficiente provare la regolarità dei pagamenti o la congruità dei prezzi. È necessario che l’imprenditore dimostri di aver adottato la massima diligenza nel verificare l’affidabilità del fornitore, specialmente in presenza di indizi di frode come la totale assenza di una struttura aziendale da parte di quest’ultimo.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Buona Fede IVA: Pagamenti Tracciabili non Bastano a Salvare dalla Frode

In un contesto economico dove le frodi fiscali, in particolare quelle legate all’IVA, sono sempre più sofisticate, la Corte di Cassazione torna a tracciare i confini della responsabilità dell’acquirente. Con una recente ordinanza, i giudici hanno ribadito un principio fondamentale: per dimostrare la propria buona fede IVA e avere diritto alla detrazione, non basta provare di aver pagato regolarmente e a prezzi di mercato. È richiesta una diligenza attiva nel verificare l’affidabilità dei propri partner commerciali. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava a una società la detrazione dell’IVA relativa a operazioni commerciali intrattenute con fornitori successivamente qualificati come missing traders, ovvero società ‘cartiere’ create al solo scopo di evadere l’imposta. Si trattava, secondo l’Amministrazione finanziaria, di operazioni soggettivamente inesistenti.

La Commissione Tributaria Regionale (CTR), in seconda istanza, aveva dato ragione al contribuente. Secondo i giudici di merito, sebbene i fornitori fossero effettivamente delle entità fittizie, la società acquirente aveva dimostrato la propria buona fede. Le prove a sostegno erano due: l’effettività dei pagamenti, avvenuti con mezzi tracciabili, e la congruità dei prezzi di acquisto, in linea con le medie di mercato. Per la CTR, questi elementi erano sufficienti a escludere un coinvolgimento, anche solo colposo, dell’azienda nella frode.

L’Onere della Prova nella Buona Fede IVA

L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la decisione della CTR dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando una violazione delle norme sulla ripartizione dell’onere della prova. Secondo la difesa erariale, una volta che l’Ufficio fornisce elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti sull’esistenza di un meccanismo fraudolento (come la totale assenza di struttura organizzativa, di personale e di mezzi dei fornitori), la palla passa al contribuente. A quest’ultimo spetta l’arduo compito di dimostrare non solo di non aver partecipato alla frode, ma di aver fatto tutto il possibile per non esservi coinvolto, agendo con la massima diligenza.

La questione centrale, quindi, non è se il contribuente abbia ottenuto un vantaggio diretto dalla frode (come la retrocessione dell’IVA), ma se avrebbe potuto, con un comportamento prudente, accorgersi di operare con un soggetto inaffidabile.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto integralmente le ragioni dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza della CTR. I giudici hanno chiarito che, nel contesto di operazioni soggettivamente inesistenti, la prova richiesta all’Amministrazione finanziaria si articola in due punti:
1. Dimostrare l’alterità soggettiva: Provare, anche tramite presunzioni, che il soggetto che ha emesso la fattura non è il reale venditore, ma una mera ‘cartiera’.
2. Dimostrare la consapevolezza (o la colpa) del cessionario: Provare che l’acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione IVA.

Una volta che l’Ufficio ha assolto a questo onere, in particolare dimostrando che il fornitore era una ‘scatola vuota’, la prova contraria a carico del contribuente diventa molto rigorosa. La Corte ha specificato che elementi come la regolarità dei pagamenti o l’assenza di un acquisto sottocosto sono circostanze non dirimenti. Questi aspetti, infatti, non escludono affatto che l’imprenditore accorto avrebbe potuto e dovuto nutrire sospetti sulla reale natura della controparte commerciale.

La buona fede del contribuente non può essere dimostrata limitandosi agli aspetti formali della transazione. È necessario provare di aver adottato tutte le cautele esigibili da un operatore economico diligente, come ad esempio verificare l’esistenza di una sede operativa, di personale o di una storia commerciale credibile del fornitore.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione rafforza un orientamento ormai consolidato e lancia un messaggio chiaro a tutte le imprese: la lotta alle frodi IVA richiede la collaborazione attiva di tutti gli operatori economici. La scelta dei partner commerciali non può essere superficiale. Ignorare evidenti campanelli d’allarme, come l’assenza di una minima struttura aziendale da parte di un fornitore che movimenta grandi quantità di merce, costituisce una violazione del dovere di diligenza. Di conseguenza, il diritto alla detrazione dell’IVA viene meno, poiché si presume che l’acquirente, pur non partecipando attivamente alla frode, abbia colposamente contribuito a realizzarla, omettendo i dovuti controlli.

Quando una transazione è considerata ‘soggettivamente inesistente’?
Una transazione è ‘soggettivamente inesistente’ quando l’operazione economica (cessione di beni o prestazione di servizi) è realmente avvenuta, ma è stata documentata da una fattura emessa da un soggetto diverso da quello che ha effettivamente venduto il bene o prestato il servizio.

Per detrarre l’IVA in caso di frode, è sufficiente dimostrare di aver pagato regolarmente la fattura?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la regolarità dei pagamenti (anche se tracciabili) e la congruità del prezzo non sono elementi sufficienti a dimostrare la buona fede dell’acquirente. Questi aspetti formali non escludono la colpa dell’imprenditore che non ha verificato l’affidabilità del fornitore.

Cosa deve fare un’azienda per dimostrare la propria buona fede IVA ed evitare contestazioni?
Un’azienda deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto. Ciò significa adottare cautele concrete per verificare la reale struttura e operatività dei propri fornitori, specialmente se nuovi o se le condizioni commerciali appaiono anomale. Ignorare indizi che suggeriscono che il fornitore possa essere una ‘cartiera’ (come la mancanza di una sede, di dipendenti o di attrezzature) può far perdere il diritto alla detrazione dell’IVA.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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