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Buona fede importatore: la Cassazione sui dazi

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9088/2024, ha chiarito i limiti della buona fede importatore nel contesto dei dazi doganali. Il caso riguardava una società che importava tonno dalla Colombia beneficiando di tariffe preferenziali, successivamente contestate dall’Agenzia delle Dogane per non conformità delle merci alle regole di origine. La Corte ha rigettato il ricorso della società, sottolineando che l’appartenenza a un gruppo che controlla l’intera filiera produttiva e la disponibilità di tutta la documentazione escludono la possibilità di invocare la buona fede. La sentenza ribadisce che la diligenza richiesta a un operatore professionale è qualificata e impone un dovere di verifica attiva, non potendo l’esenzione dai dazi basarsi su un errore dell’esportatore ma solo su un errore attivo delle autorità doganali.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Buona Fede Importatore: Quando Non Basta per Evitare i Dazi Doganali

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 9088 del 5 aprile 2024 offre un’importante lezione sulla buona fede importatore e sulla diligenza professionale richiesta agli operatori del commercio internazionale. La Corte ha stabilito che non è sufficiente dichiararsi in buona fede per essere esentati dal pagamento a posteriori dei dazi doganali, specialmente quando l’azienda fa parte di un gruppo che controlla l’intera catena di produzione e commercializzazione. Questo caso evidenzia come la consapevolezza e la verifica attiva siano obblighi imprescindibili per chi importa merci nell’Unione Europea.

I Fatti di Causa

Una società europea, attiva nell’importazione di prodotti ittici, aveva importato per anni (dal 2005 al 2008) partite di tonno da imprese colombiane, usufruendo delle preferenze tariffarie generalizzate concesse dall’UE ai paesi in via di sviluppo. Tali preferenze consentivano di pagare dazi ridotti o nulli.

Successivamente, l’Agenzia delle Dogane, a seguito di indagini dell’OLAF (Ufficio Europeo per la Lotta Antifrode), contestava la validità di tali agevolazioni. Le indagini avevano rivelato che il tonno non rispettava i requisiti di origine previsti, in particolare per quanto riguarda la composizione degli equipaggi delle navi da pesca. Di conseguenza, l’Agenzia emetteva atti impositivi per recuperare i dazi non versati.

Ne scaturiva un contenzioso che, dopo vari gradi di giudizio, giungeva in Cassazione. La società importatrice sosteneva di aver agito in buona fede, fidandosi dei certificati forniti dagli esportatori colombiani, e di non avere gli strumenti per verificare le irregolarità a monte della filiera.

L’Analisi della Corte: la buona fede importatore alla prova dei fatti

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando la decisione della Commissione Tributaria Regionale. Il punto cruciale della sentenza risiede nella valutazione della diligenza e della buona fede dell’operatore economico.

I giudici hanno sottolineato che la società importatrice non era un’entità isolata, ma faceva parte di un vasto gruppo societario che gestiva e controllava l’intera filiera produttiva e commerciale, “dalla pesca fino alla commercializzazione del prodotto finito”. Questa circostanza è stata ritenuta decisiva. Secondo la Corte, l’appartenenza a un tale gruppo implicava che la società avesse, o avrebbe dovuto avere, piena conoscenza di tutte le fasi del processo, incluse le modalità di pesca e la composizione degli equipaggi.

Inoltre, è emerso che alla società ricorrente era stata fornita “copia di tutta la documentazione di acquisto della materia prima e vendita del prodotto finito”. Questi elementi, secondo la Corte, erano sufficienti a dimostrare che l’azienda era consapevole, o avrebbe dovuto esserlo, delle incongruenze che precludevano l’accesso al regime tariffario preferenziale.

La Diligenza Qualificata dell’Operatore Professionale

La sentenza ribadisce un principio fondamentale del diritto doganale: all’importatore professionale è richiesta una diligenza qualificata (ex art. 1176, comma 2, c.c.). Questo significa che non può limitarsi a una fiducia passiva nei documenti forniti dall’esportatore. Ha il dovere di adottare tutte le cautele necessarie per assicurarsi che la merce importata sia conforme alle normative. Questo include, se necessario, la richiesta di informazioni aggiuntive e la verifica attiva delle condizioni che danno diritto alle agevolazioni.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione su diversi pilastri giuridici. In primo luogo, ha chiarito l’ambito di applicazione della clausola di esonero prevista dall’art. 220 del Codice Doganale Comunitario. Tale norma consente di non procedere al recupero a posteriori dei dazi solo se l’errore è imputabile a un comportamento attivo delle autorità doganali e se l’importatore ha agito in buona fede e con la dovuta diligenza.

Nel caso di specie, l’errore non derivava da un’azione delle autorità doganali, bensì da dichiarazioni inesatte fornite dalle società esportatrici. La giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea è costante nel ritenere che il rischio di comportamenti scorretti dei fornitori rientra nel normale rischio commerciale, contro cui gli operatori economici devono tutelarsi tramite clausole contrattuali.

In secondo luogo, la Corte ha conferito pieno valore probatorio ai rapporti redatti dall’OLAF, equiparandoli alle relazioni amministrative degli ispettori degli Stati membri. Le risultanze di tali indagini sono state considerate elementi sufficienti a fondare la pretesa dell’amministrazione finanziaria.

Infine, è stato escluso che la società potesse dirsi in buona fede, proprio in virtù del suo inserimento in una vasta operazione commerciale “interamente gestita e controllata dal gruppo”, che le permetteva di avere una visione completa e dettagliata dell’intera filiera.

Le Conclusioni

La sentenza n. 9088/2024 della Cassazione costituisce un monito importante per tutti gli importatori. La buona fede importatore non è uno scudo automatico contro il recupero dei dazi. Per potersene avvalere, l’operatore deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza professionale, un dovere che si intensifica in presenza di strutture societarie complesse e integrate. L’appartenenza a un gruppo che controlla la filiera, lungi dall’essere un’attenuante, diventa un fattore che aggrava la posizione dell’importatore, presumendone una conoscenza approfondita che rende difficile sostenere di aver agito in incolpevole affidamento.

Quando un importatore può invocare la buona fede per evitare il pagamento a posteriori dei dazi doganali?
Secondo la sentenza, un importatore può invocare la clausola di esonero basata sulla buona fede (ex art. 220 Codice Doganale Comunitario) solo quando il mancato pagamento dei dazi è dovuto a un errore attivo commesso dalle stesse autorità doganali, e non da dichiarazioni inesatte dell’esportatore o di altri soggetti privati. Inoltre, l’importatore deve dimostrare di aver rispettato tutti i suoi obblighi di diligenza professionale.

Quale livello di diligenza è richiesto a un importatore professionale?
La Corte ha ribadito che a un importatore professionale è richiesta una “diligenza qualificata”. Questo significa che non può limitarsi a ricevere passivamente i documenti, ma deve assumere un ruolo attivo nel verificare la correttezza delle informazioni e la sussistenza delle condizioni per beneficiare di regimi agevolati, soprattutto quando vi sono dubbi sulla conformità della merce.

L’appartenenza a un gruppo societario che controlla la filiera produttiva incide sulla valutazione della buona fede?
Sì, in modo decisivo. La sentenza ha stabilito che l’inserimento dell’importatore in un gruppo che gestisce e controlla l’intera operazione commerciale, dalla materia prima al prodotto finito, è un elemento che gioca a suo sfavore. Tale circostanza fa presumere una piena consapevolezza di tutte le fasi del processo, rendendo di fatto inapplicabile l’esimente della buona fede basata sull’ignoranza delle irregolarità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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